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Regula Pastoralis di San Gregorio Magno

09.01.2014 20:38

 

 

 

( dalla Regula Pastoralis )

La guida delle anime sia discreta nel suo silenzio e utile con la sua parola affinché non dica ciò che bisogna tacere e non taccia ciò che occorre dire. Giacché come un parlare incauto trascina nell’errore, così un silenzio senza discrezione lascia nell’errore coloro che avrebbero potuto essere ammaestrati.

Infatti, spesso, guide d’anime improvvide e paurose di perdere il favore degli uomini hanno gran timore di dire liberamente la verità; e, secondo la parola della Verità, non servono più alla custodia del gregge con lo zelo dei pastori ma fanno la parte dei mercenari (cf. Gv. 10, 13), poiché, quando si nascondono dietro il silenzio, è come se fuggissero all’arrivo del lupo.

Per questo infatti, per mezzo del profeta, il Signore li rimprovera dicendo: Cani muti che non sanno abbaiare (Is. 56, 10). Per questo ancora, si lamenta dicendo: Non siete saliti contro, non avete opposto un muro in difesa della casa d’Israele, per stare saldi in combattimento nel giorno del Signore (Ez. 13, 5).

Salire contro è contrastare i poteri di questo mondo con libera parola in difesa del gregge; e stare saldi in combattimento nel giorno del Signore è resistere per amore della giustizia agli attacchi dei malvagi. Infatti, che cos’è di diverso, per un Pastore, l’avere temuto di dire la verità dall’avere offerto le spalle col proprio silenzio?

Ma chi si espone in difesa del gregge, oppone ai nemici un muro in difesa della casa di Israele. Perciò di nuovo viene detto al popolo che pecca: I tuoi profeti videro per te cose false e stolte e non ti manifestavano la tua iniquità per spingerti alla penitenza(Lam. 2, 14). È noto che nella lingua sacra spesso vengono chiamati profeti i maestri che, mentre mostrano che le cose presenti passano, insieme rivelano quelle che stanno per venire. Ora, la parola divina rimprovera costoro di vedere cose false, perché mentre temono di scagliarsi contro le colpe, invano blandiscono i peccatori con promesse di sicurezza: essi non svelano le iniquità dei peccatori perché si astengono col silenzio dalle parole di rimprovero. In effetti le parole di correzione sono la chiave che apre, poiché col rimprovero lavano la colpa che, non di rado, la persona stessa che l’ha compiuta ignora.

Perciò Paolo dice: (Il vescovo) sia in grado di esortare nella sana dottrina e di confutare i contraddittori (Tit. 1, 9). Perciò viene detto per mezzo di Malachia: Le labbra del sacerdote custodiscano la scienza e cerchino la legge dalla sua bocca,perché è angelo del Signore degli eserciti (Mal. 2, 7).

Perciò per mezzo di Isaia il Signore ammonisce dicendo: Grida, non cessare, leva la tua voce come una tromba (Is. 58, 1). E invero chiunque si accosta al sacerdozio assume l’ufficio del banditore perché, prima dell’avvento del Giudice che lo segue con terribile aspetto, egli lo preceda col suo grido.

Se dunque il sacerdote non sa predicare, quale sarà il grido di un banditore muto? Ed è perciò che lo Spirito Santo, la prima volta, si posò sui Pastori in forma di lingue (Atti, 2, 3), poiché rende subito capaci di parlare di Lui, coloro che ha riempiti.

Perciò viene ordinato a Mosè che il sommo sacerdote entrando nel tabernacolo si accosti con tintinnio di campanelli, abbia cioè le parole della predicazione, per non andare con un colpevole silenzio incontro al giudizio di colui che lo osserva dall’alto. (…) I campanelli sono inseriti nelle sue vesti, perché insieme al suono della parola, anche le opere stesse del sacerdote proclamino la via della vita.

Ma quando la guida delle anime si prepara a parlare, ponga ogni attenzione e ogni studio a farlo con grande precauzione, perché se si lascia trascinare a un parlare non meditato, i cuori degli ascoltatori non restino colpiti dalla ferita dell’errore; e mentre forse egli desidera di mostrarsi sapiente non spezzi stoltamente la compagine dell’unità.

Perciò infatti la Verità dice: Abbiate sale in voi e abbiate pace tra voi (Mc. 9, 49). Col sale è indicata la sapienza del Verbo. Pertanto chi si sforza di parlare sapientemente, tema molto che il suo discorso non confonda l’unità degli ascoltatori. Perciò Paolo dice: Non sapienti più di quanto è opportuno, ma sapienti nei limiti della sobrietà (Rom. 12, 3). 

Perciò nella veste del sacerdote, secondo la parola divina, ai campanelli si uniscono le melagrane (Es. 28, 34). E che cosa viene designato con le melagrane se non l’unità della fede?

Infatti, come nelle melagrane i molti grani dell’interno sono protetti da un’unica buccia esterna, così l’unità della fede protegge tutti insieme gli innumerevoli popoli che costituiscono la Santa Chiesa e che si distinguono all’interno per la diversità dei meriti. Così, affinché la guida delle anime non si butti a parlare da incauto, come già si è detto, la Verità stessa grida ai suoi discepoli: Abbiate sale in voi e abbiate pace tra voi, come se attraverso la figura della veste del sacerdote dicesse: Aggiungete melagrane ai campanelli affinché, in tutto ciò che dite abbiate a conservare con attenta considerazione l’unità della fede.

Inoltre, le guide delle anime debbono provvedere con sollecita cura, non solo a non fare assolutamente discorsi perversi e falsi, ma a non dire neppure la verità in modo prolisso e disordinato, perché spesso il valore delle cose dette si perde quando viene svigorito, nel cuore di chi ascolta, da una loquacità inconsiderata e inopportuna.

(…)  Perciò anche Paolo, quando esorta il discepolo ad insistere nella predicazione dicendo: Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che giudicherà i vivi e i morti, per il suo avvento e il suo regno, predica la parola, insisti opportunamente, importunamente (2 Tim. 4, 1-2); prima di dire importunamente premise opportunamente, perché è chiaro che nella considerazione di chi ascolta, l’importunità appare in tutta la sua qualità spregevole se non sa esprimersi in modo opportuno.

 

Dal sito

https://oblatiorationabilis.blogspot.it/2014/01/il-parlare-e-il-tacere-secondo-un.html

La Rivoluzione con la nuova religione di Robespierre

12.11.2013 17:54

 

La Rivoluzione con la nuova religione di Robespierre

Molti sostengono che Robespierre fu il "grande difensore della religione", ma è davvero così?

Al suo nome, Maximilien Robespierre, è legato il periodo del "Terrore", o conosciuto come "Regime del Terrore" che ancora oggi fa discutere molti storici, divisi fra loro, se affidare al soggetto la palma del martirio laico, la palma dell'utopista, o quella dell'assassino e dittatore, se non altro dittatore di un pensiero perverso sul concetto di democrazia.

Un fatto mette d'accordo gli storici: è noto come nel momento di maggior intransigenza , gli stessi capi di certe Rivoluzioni finirono per commettere crimini indiscutibilmente molto più cruenti. Fra questi è classificato Robespierre.

Presentandosi come "l'incorruttibile" e guadagnandosi la fiducia del popolo - opponendosi a tutti i privilegi concessi a nobili e borghesi, inizia la sua ascesa verso il vero potere, quello della ragione asservita alla sua idea di politica, di Stato e persino di religione. All'inizio del 1789 affermava infatti che: "E' tempo che questa idea di Dio, sfruttata così per lungo tempo per assicurare ai capi degli imperi una potenza illimitata e mostruosa, serva infine a ricordare i diritti imprescrittibili degli uomini; è tempo di riconoscere che la stessa autorità divina che ordina ai re di essere giusti, proibisce ai popoli di essere schiavi".

Senza dubbio egli si batte per questioni nobili quali il diritto di voto per tutti, l'istruzione gratuita e obbligatoria, per la libertà di stampa, per l'uguaglianza sociale, tuttavia questi diritti spariscono se a chiederli sono i credenti, nella specie soprattutto del Cattolico. L'odio verso la Chiesa sarà un crescendo inesorabile che scatenerà una durissima repressione contro la Chiesa.

Divenuto presidente nel 1790 del movimento giacobino e temendo una congiura militare, cercherà di evitare una Rivoluzione che fuoriesca dai confini evitando così una propaganda interventista dei girondini, favorevoli a dichiarare guerra all'Austria.

La sua ascesa è inarrestabile. Diventa il protettore dei sanculotti e dei giacobini e, contemporaneamente, rafforza anche l'esercito per tenere sotto tiro i controrivoluzionari, e provvede ad una politica del controllo sull'economia di Stato.

Sono i padroni del Terrore.

Con la caduta della monarchia nell'agosto 1792, Robespierre è fra i votanti a favore dell'esecuzione del re Luigi XVI e, costringendo i moderati ad abbandonare la cosiddetta Convenzione nazionale, diventa di fatto il capo della Rivoluzione Francese.

Alcuni dicono che egli fu contrario alla pena capitale, ma è così?

Giusto per capire la furbizia di Robespierre, così  votò al "processo-non-processo":

[Parlando ai giudici della condanna a morte di Luigi XVI di Francia] "Non c'è nessun processo da fare, Luigi non è un accusato. Voi non siete dei giudici. Voi siete soltanto, e non potete essere altro, degli uomini che rappresentano la Nazione. Non dovete emettere una sentenza contro od a favore di un uomo, ma dovete prendere un provvedimento di salute pubblica, dovete compiere l'atto che salverà la nazione. Un re detronizzato in una repubblica può servire solo a due scopi: o a turbare la tranquillità dello Stato e mettere a rischio la libertà o a consolidarle entrambe. (discorso del 3 dicembre 1792 di Robespierre ai giudici in occasione del processo a Luigi XVI)

Ecco, nessun processo, ma di fatto si processava; nessuna sentenza, ma di fatto la si emetteva "un provvedimento di salute pubblica" non una condanna a morte, perché un re detronizzato vivo avrebbe messo a rischio la libertà, quindi è meglio epurare....

 

Da questo momento inizia una epurazione senza precedenti: Robespierre opera una metodica cancellazione di qualsiasi opposizione alla Rivoluzione avanzando con il suo "il fine giustifica sempre i mezzi". Preoccupato comunque dai controrivoluzionari e deciso a dare un colpo mortale alla monarchia e all'Ancien Regime, avvia il meglio conosciuto come "Terrore rosso" - riferito a distinguerlo dal periodo del "Terrore bianco" eseguito prima e dopo l'opera di Robespierre - attraverso il quale intendeva eliminare fisicamente tutti i possibili rivali della Rivoluzione. Il numero dei morti accertati si aggira attorno alle 70.000, in maggioranza appartenenti alla media borghesia, ma il numero dei morti, tenuto conto delle esecuzioni senza giudizio, come a Nantes e a Tolone, è da stimare ben oltre il numero storico tramandato.

Robespierre era certamente, in fondo al suo cuore ed alla sua ragione, un credente, e riteneva la sua Rivoluzione anche una difesa verso la religione, quella che intendeva lui, ossia, una religione senza una istituzione.

Il 9 novembre 1792 il filosofo Caritat, marchese di Condorcet, sul giornale "Chronique de Paris", di tendenza girondina, scrisse che Robespierre era il "capo di una setta", un "predicatore" che "sale sui banchi e parla di Dio e della Provvidenza".

Rispose Robespierre: "è un prete e non sarà mai altro che un prete".

 

"Bisogna distinguere tra il clero e l'idea di religione", disse: "Nessuna potenza ha il diritto di sopprimere il culto costituito sino a che il popolo non se ne sia esso stesso disingannato".

Certo, per Robespierre occorre rispettare la libertà di coscienza. Nonostante tutto i preti sono i testimoni dei "dogmi incisi negli animi". Se "la Dichiarazione dei diritti dell'uomo fosse fatta a pezzi dalla tirannia, la ritroveremmo ancora" contenuta per l'essenziale nella fede in Dio. Dio è "colui che crea tutti gli uomini per l'uguaglianza e la felicità", "colui che protegge l'oppresso", colui il cui culto si identifica con il culto della giustizia.

Di conseguenza ecco la sua soluzione: intervenire direttamente sulle menti del popolo: "il culto non si sopprime, ma è il popolo che può, disingannandosi, sopprimerlo nelle sue istituzioni". In sostanza basta avere l'idea di un Dio Creatore e praticare la sua giustizia affidata al Cesare giusto, tutto il resto è solo problema.

Il 5 ottobre (14 vendemmiaio) 1793 la Convenzione introduce il nuovo calendario rivoluzionario, senza riferimenti alla religione cristiana. Data di partenza il 22 settembre 1792, inizio della Repubblica. Robespierre è contrario, ma non certo per difendere la Chiesa, è contrario allo  scopo di abolire la domenica, non certo per motivi religiosi.

Il 16 ottobre (25 vendemmiaio) viene ghigliottinata la regina Maria Antonietta. Tra le carte di Robespierre viene trovato un libro di preghiere della regina. All'alba, prima della morte, Maria Antonietta vi aveva scritto "Mio Dio, abbi pietà di me! I miei occhi non hanno più lacrime per piangere per voi miei poveri figli; addio, addio!".

Vi ricordiamo che il saluto "addio" in passato aveva un significato davvero teologico, era "A-Dio", il saluto fra i martiri, un arrivederci in Dio, consapevoli che la morte che stavano affrontando in difesa della Fede, apriva loro le porte dell'eterna Vita.

Il 10 novembre (20 brumaio del calendario rivoluzionario) la Convenzione partecipò alla festa della Ragione in Notre Dame sconsacrata. Tutte le chiese di Parigi vennero chiuse.

Il 21 novembre (1 frimaio) Robespierre reagisce. "L'ateismo è aristocratico - La fede in Dio è popolare". Con il pretesto di distruggere la superstizione, dice, alcuni voglio fare dell'ateismo una specie di religione. Bisogna opporsi a coloro che "pretendono di turbare la libertà dei culti in nome della libertà e di attaccare il fanatismo con un nuovo fanatismo". Conclude: "Proscrivere il culto? La Convenzione non ha mai fatto questo passo temerario né mai lo farà".

 

Robespierre condanna senza dubbio l'ateismo in quanto immorale e pertanto aristocratico, legato ad un sistema di cospirazione contro la repubblica, ma al tempo stesso condanna, in tacito sistema, l'Istituzione della Chiesa arrivando ad imporre un "nuovo catechismo della ragione" e a fissare le nuove feste; non nomina mai "Gesù Cristo" ma arriva a proclamare l'idea dell' "Essere Supremo" e, se vogliamo, una prima forma di sincretismo religioso, un Essere Supremo  valido per tutti e non "presentato" da una Istituzione particolare quale la Chiesa.

Scrive: "L'idea dell'Essere Supremo e dell'immortalità dell'anima è un continuo richiamo alla giustizia: essa è quindi sociale e repubblicana".

Così il 7 maggio (18 floreale) 1794 Robespierre presenta un rapporto sulle feste decadarie. Un decreto stabilì il nuovo catechismo in quindici articoli, ecco alcuni:

Articolo 1: "Il popolo francese riconosce l'esistenza dell'Essere Supremo e dell'immortalità dell'anima".

Articoli 2 e 3: Il solo culto che si conviene all'Essere Supremo è la pratica dei doveri dell'uomo. Odio verso i tiranni, rispetto dei deboli, pratica della giustizia.

Articoli da 4 a 10: Istituzione di nuove feste (36 l'anno, 3 al mese, 1 per decadì) per celebrare la Repubblica, la Verità, la Giustizia, la Natura, il Genere umano, il Pudore, la Bontà, il Coraggio, la Frugalità, lo Stoicismo, l'Età virile, l'Amor patrio, l'Odio dei tiranni, la Fede coniugale, il Disinteresse, la Felicità, l'Infelicità, l'Agricoltura, l'Industria, ecc.

Nell'articolo 15 venne fissata la prima festa in onore dell'Essere Supremo per l'8 giugno 1794 (20 pratile), ebbe come coincidenza la domenica di Pentecoste, ma non fu certo la Festa di Pentecoste insegnata dalla Tradizione della Chiesa.

 

Vennero stabilite anche le grandi feste repubblicane.

Gli altri articoli confermano senza dubbio la libertà di culto, ma puniscono gli assembramenti aristocratici e le istigazioni fanatiche, e in definitiva le Feste Cattoliche definite "superstizione e fanatismo religioso".

Del resto il suo pensiero è assai limpido: " Abbandoniamo i preti e torniamo a Dio. Costruiamo la moralità su fondamenta sacre ed eterne; ispiriamo nell'uomo quel rispetto religioso per l'uomo, quel profondo senso del dovere, che è l'unica garanzia della felicità sociale; nutriamo in lui questo sentimento attraverso tutte le nostre istituzioni e facciamo sì che l'istruzione pubblica sia diretta verso questo fine.. Il vero sacerdote dell'Essere supremo è la natura; il suo tempio, l'universo; il suo culto, la virtù; la sua festa, la gioia di molta gente, riunita sotto i suoi occhi per stringere i dolci vincoli della fratellanza universale e offrirgli l'omaggio di cuori sensibili e puri...",

 

dimentico forse del fatto, lui che era cresciuto nella segreteria del vescovo, che il Dio vivo e vero ha istituito la Chiesa ed ha voluto i preti: "non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" - Gv.15,9-17 - e che per quanto nobili fossero i suoi principi, Robespierre aveva fondato la sua personale religione, eliminando di fatto lo stesso Gesù Cristo - mai nominato nei suoi discorsi sulla religione cristiana - l'unico e vero Sacerdote per mezzo del quale il sacerdote ordinato non fa altro che ripetere il Suo Sacrificio e non quello dell'uomo o di Robespierre....

 

Insomma alla fine Robespierre proclama "religione di stato" il culto dell'Essere Supremo secondo le suggestioni, l'interpretazione di Rosseau - e dello stesso Voltaire - attirandosi, come era prevedibile e giusto, il dissenso cattolico, ma anche quello degli atei il cui unico "essere supremo" era il loro diritto a non credere in un Essere "invisibile".

Robespierre predicava le "virtù" ma non erano certo quelle del Vangelo!

Sui principi di morale politica, memorabile il suo Discorso del 5 febbraio 1794, ecco alcuni stralci:

 

"Un re, un senato orgoglioso, un Cesare, un Cromwell, devono innanzi tutto cercare di coprire i loro progetti con un velo religioso, transigere con tutti i vizi possibili, far la corte a tutti i partiti, e schiacciare quello delle persone che vogliono realizzare il bene; opprimere ed ingannare il popolo, per giungere al fine della perfida ambizione. (..) Qual è lo scopo cui tendiamo? Il pacifico godimento della libertà e dell'uguaglianza; il regno di quella giustizia eterna le cui leggi sono state incise non già sul marmo o sulla pietra, ma nel cuore di tutti gli uomini, anche in quello dello schiavo che le dimentica e del tiranno che le nega.

(..) Ora, qual è mai il principio fondamentale del governo democratico o popolare, cioè la forza essenziale che lo sostiene e che lo fa muovere? È la virtù.

Parlo di quella virtù pubblica che operò tanti prodigi nella Grecia ed in Roma, e che ne dovrà produrre altri, molto più sbalorditivi, nella Francia repubblicana. Di quella virtù che è in sostanza l’amore della patria e delle sue leggi.

Ma, dato che l’essenza della Repubblica, ossia della democrazia, è l’uguaglianza, ne consegue che l’amore della patria comprende necessariamente l’amore dell’uguaglianza".

 

(.. e dopo aver elogiato il concetto di democrazia e di uguaglianza, pur condivisibile in molti punti, ecco i metodi e il concetto di virtù che non possiamo affatto condividere)...

 

" Bisogna soffocare i nemici interni ed esterni della Repubblica, oppure perire con essa. Ora, in questa situazione, la massima principale della vostra politica dev’essere quella di guidare il popolo con la ragione, ed i nemici del popolo con il terrore.

Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù, senza la quale il terrore è cosa funesta; il terrore, senza il quale la virtù è impotente.

Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque una emanazione della virtù. È molto meno un principio contingente, che non una conseguenza del principio generale della democrazia applicata ai bisogni più pressanti della patria.

Si è detto da alcuni che il terrore era la forza del governo dispotico. Il vostro terrore rassomiglia dunque al dispotismo? Sì, ma come la spada che brilla nelle mani degli eroi della libertà assomiglia a quella della quale sono armati gli sgherri della tirannia. Che il despota governi pure con il terrore i suoi sudditi abbrutiti. Egli ha ragione, come despota. Domate pure con il terrore i nemici della libertà: e anche voi avrete ragione, come fondatori della Repubblica.

 (...) Punire gli oppressori dell’umanità: questa è clemenza! Perdonare loro sarebbe barbarie. Il rigore dei tiranni ha come fondamento soltanto il rigore: quello del governo repubblicano ha invece come sua base la beneficenza.

E così, maledetto chi oserà dirigere contro il popolo quel terrore che deve riversarsi solamente contro i suoi nemici! Maledetto chi – confondendo gli errori inevitabili della virtù civica con gli errori calcolati della perfidia o con gli attentati dei cospiratori – abbandona il pericoloso intrigante, per perseguitare il cittadino pacifico! Perisca lo scellerato che osa abusare del sacro nome di libertà, o delle armi terribili che essa gli ha affidato, per portare il lutto o la morte nel cuore dei patrioti!..."

 

Senza alcun dubbio Robespierre è un genio. Un genio per il laicismo e per la scristianizzazione dell'Europa partita appunto con la Rivoluzione Francese.

E poichè chi sta con lo zoppo impara a zoppicare, quanti, politicanti e non, si sono ispirati alle idee di Robespierre non hanno fatto altro che prendere il peggio, perchè di idee buone per la politica in se stessa ne aveva, ma erano i principi su cui voleva fondarla e l'ha fondata che erano e sono sballati, a partire da un Essere Supremo senza nome, inconoscibile, adattabile alle proprie ideologie. Un Dio senza una Rivelazione, è un dio accomodante.

 Fa riflettere il monito del Cristo: "tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada...." (Mt.26, 52), così finisce Robespierre che già ferito a morte viene portato alla ghigliottina fra il tripudio di quel popolo al quale aveva dato quella presunta libertà impostata sulla strana morale di un Essere Superiore senza nome, senza identità.

 

Certe persecuzioni hanno rinsaldato la fede del popolo. Ma questa francese sembra aver cancellato la cristianità.

" Sì, è così. Per 15 anni fu resa impossibile la trasmissione della fede. Un'intera generazione. Pensi che Michelet fu battezzato a 20 anni e Victor Hugo non ha mai saputo se era stato battezzato o no. Le chiese chiuse. I preti uccisi o costretti a spretarsi e sposarsi o deportati e esiliati. Francamente io non capisco come oggi i cattolici possano inneggiare alla Rivoluzione.

Altra cosa è il perdono e altra solidarizzare con i carnefici, rinnegando le vittime e i martiri. Penso che la Chiesa tema, parlando male della Rivoluzione, di sembrare antimoderna, di opporsi alla modernità. lo credo che sia il contrario. E sono orgoglioso che sia stato un Paese protestante come l'Inghilterra a dare asilo ai preti cattolici perseguitati. Infatti non c'è libertà più fondamentale della libertà religiosa."

(professor Pierre Chaunu, una delle autorità per la storia moderna, membro dell'Institut de France)

 

Che ci furono poi aspetti positivi negli ideali politici di Robespierre, è innegabile.

Ma con i moti rivoluzionari francesi nasce il mito solare della Rivoluzione, quella che cambiò il corso dell'Europa, era il 1789.

Il 5 settembre 1793, invece, il sogno della rivoluzione si trasforma nell'incubo del terrore.

La Rivoluzione Francese fu una vera e propria "rivoluzione sociale", smisuratamente più radicale di qualunque equivalente sollevazione. Fu la sola fra tutte le rivoluzioni contemporanee ad essere veramente universale: le sue soldatesche popolari si levarono per rivoluzionare il mondo, le sue idee lo rivoluzioneranno veramente. Nella stessa Costituzione del 1795, nel Preambolo - noto come "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" - ritroviamo riassunti gli ideali rivoluzionari, poi condensati nell'espressione: "Liberté, Égalité, Fraternité".

La prima parola del motto repubblicano, Liberté, fu concepita secondo l'idea liberale. Essa, nella "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino", fu definita in questo modo: "La libertà consiste nel potere di fare ciò che non nuoce ai diritti altrui". "Vivere liberi o morire" fu la grande massima repubblicana. L'Uguaglianza, invece, ha un alto valore morale, poiché con il termine Égalité si voleva assegnare alla legge un valore democratico: tutti divenivano uguali e le differenze per nascita o condizione sociale dovevano essere abolite. Ognuno, quindi, aveva il dovere di contribuire alle spese dello Stato in proporzione a quanto possedeva, tutti divenivano uguali dinanzi alla legge. Il terzo motto repubblicano, Fraternité, fu infine definito così: "Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi". In pratica, "fate costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere".

 

Era pratica o solo teoria?

Secondo i contemporanei coinvolti negli avvenimenti della rivoluzione in Francia, anche il "Terrore", come abbiamo letto sopra, che scaturì dai moti rivoluzionari andava giudicato essenzialmente secondo il metro della Virtù.

Il "Terrore" riferì Robespierre nel suo celebre discorso "Sui principi della morale politica" esposto alla Convenzione nazionale, sopra riportato, "non è altro che la giustizia severa e inflessibile, ossia l'emanazione della Virtù".

All'apice della Rivoluzione francese troviamo quindi il "Terrore" come necessità, che mise a soqquadro la Francia. Esso fu la naturale conclusione di un movimento che, per accelerazioni progressive, volle fare terra bruciata del passato religioso, culturale e civile della Francia, e praticò sistematicamente, come metodo di lotta politica, l'annichilamento dell'avversario esercitando il potere in modo totalitario.

 

Entra in scena la ghigliottina.

E quale curiosità vi troviamo, ad inventarla è un ex gesuita.

Durante tutto il periodo rivoluzionario esiste un binomio terrificante: "Rivoluzione-patibolo". Esso si precisa meglio con l'assimilazione del patibolo con una nuova macchina: la ghigliottina. Anche se già inventata nel 1790, il suo uso è introdotto da un voto dell'Assemblea Legislativa nel 1792. La "macchina per ammazzare" è inventata da Joseph Ignace Guillotin, un ex gesuita uscito dalla Compagnia di Gesù nel 1763 per studiare la medicina del corpo anziché quella dell'anima. Nel 1789 entra negli Stati Generali (poi trasformatisi in Assemblea Nazionale) come rappresentante del Terzo Stato di Parigi, la città dove esercita l'arte medica.

 

I massacri dei preti che dissero no al giuramento

«Fino alla Costituzione civile del clero non ci fu rottura fra Chiesa e rivoluzione» scrive Luigi Mezzadri.

In una «atmosfera d'infatuazione e di speranze, il clero era stato all'avanguardia». Persino «la rinuncia ai beni e la perdita dei privilegi era stata assorbita in modo dignitoso». Rimaneva soltanto da chiarire un fatto: i preti erano i rappresentanti di una religione considerata come un «servizio pubblico», oppure come qualcosa da relegare nella coscienza dei singoli?

La risposta venne il 12 luglio 1790 con la Costituzione civile del clero (sostenuta da Robespierre), che considerava preti e vescovi funzionari dello Stato (con tanto di giuramento di fedeltà alla nazione).

Si aprì una ferita che generò «due Chiese»: una incline al giuramento e l'altra refrattaria.

Con un atto di forza vennero nominati vescovi costituzionali al posto dei refrattari. Cominciò anche la persecuzione di preti e vescovi refrattari (che fece montare il caso della Vandea) con deportazione di decine di migliaia di loro ( 40 mila nel 1792) e molte esecuzioni: il 2 settembre 1790, per esempio, 20 preti e 3 vescovi all'abbazia di Saint-Germain, oltre 70 al seminario di Saint-Firmin (nel 1926 191 vittime furono riconosciute martiri e beatificate), fino ai conati del 1797 con 41 esecuzioni di sacerdoti e distruzione di chiese ed edifici religiosi...

La Rivoluzione di Robespierre fece sparire nel nulla circa 10.000 fra sacerdoti e religiosi, molti dei quali non si seppe più nulla.

Liberté, Égalité, Fraternité.... ebbè!

 

Così riportava un articolo Avvenire nel 2004:

Le acque si sono comunque calmate ed è giunto il momento di tirar qualche somma. Come fa Luigi Mezzadri, che nel suo recente La Rivoluzione francese e la Chiesa (Città Nuova, pagine 216, euro 14,50) ci propone una ricostruzione limpida, equilibrata e di largo respiro di un rapporto molto articolato e complesso, insofferente di semplificazioni.

La periodizzazione, anzitutto: in quale arco cronologico situare il discorso? La faccenda non è così semplice. Quando finì la Rivoluzione francese? Col Termidoro, col Consolato, con l'Impero, con la Restaurazione? Gaetano Salvemini, in un suo saggio storiograficamente parlando abbastanza radicale, era perentorio: già il Terrore rappresenta una degenerazione della Rivoluzione, che per questo si arresta al 1793 per dar luogo a una serie di fasi tiranniche.

Con abbondanza di documenti Mezzadri dimostra che membri del clero erano molto coinvolti nella contestazione, all'origine solo finanziaria e amministrativa, allo strapotere della corona e ai privilegi economici e fiscali dei prelati e degli aristocratici; e che in fondo la Rivoluzione che finì con l'accanirsi contro le Chiese e la gente di chiesa non si potrebbe definire né "borghese", né di popolo, bensì rappresentava l'esito di una sorta di dittatura trasversale allargata (i celebri "ventimila" della Commune parigina dei quali ha parlato lo Chaunu). Ma, una volta avviata, la macchina rivoluzionaria infierì soprattutto sui membri del clero e sui fedeli: e qui il Mezzadri non tace i massacri, le sevizie, le violenze d'ogni sorta.

Liberté, Égalité, Fraternité.... ebbè!

 

Durante la rivoluzione francese, Robespierre è stato il "portavoce della (sua) sana Virtù",
ma certamente anticipò il ruolo politico dei dittatori del XX secolo.

 

In una intervista di Antonio Socci al professore Chanau dopo l'uscita del suo libro, gli chiese:

"Professore, il suo libro è uscito in Francia a marzo, già da alcuni anni lei si è ribellato al coro degli intellettuali e alle ingiunzioni del potere politico, contestando la legittimità di queste celebrazioni. Perché?"

 

ecco la risposta con la quale concludiamo questo articolo:

"È una mascherata indecente, un'operazione politica elle sfrutta le stupidaggini che la scuola di Stato insegna sulla Rivoluzione. Pensi alle bétises del ministro della Cultura Lang: "L’89 segna il passaggio dalle tenebre alla luce". Ma quale luce? Stiamo commemorando la rivoluzione della menzogna, del furto e del crimine. Ma trovo scioccante soprattutto che, alle soglie del '92, anche tutto il resto d'Europa festeggi un periodo dove noi ci siamo comportati da aggressori verso tutti i nostri vicini, saccheggiando mezza Europa e provocando milioni di morti. Cosa c'è da festeggiare? Eppure qua in Francia ogni giorno una celebrazione, il 3 aprile, il 5, il 10. È grottesco".

 

Replica ironicamente Socci:

"Ma è stato comunque un evento che ha cambiato la storia".

 

la risposta di Chanau:

"Certo, come la peste nera del 1348, ma nessuno la festeggia".

 

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Dio si nasconde al popolo che non gli obbedisce

09.10.2013 12:51

 

Com’è, dov’è, e che cosa vuole Dio?

A colloquio con Peter Seewald nel libro “Dio e il mondo”

-Pubblichiamo per intero il secondo capitolo del volume dal titolo “Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio” (Edizioni San Paolo, 2001), frutto del colloquio, tenutosi nell’abbazia benedettina di Montecassino, fra il cardinale Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e il giornalista e redattore tedesco Peter Seewald.

1. Veniamo all'essere originario, come lo chiama Lei, all'origine e al fine dell'esistenza, Dio. La professione di fede cristiana inizia con la parola “Credo”. Comunque i cristiani non credono genericamente in una forza, in una natura superiore.

Questa affermazione “Credo” è un atto consapevole del soggetto. Un atto in cui si intrecciano volontà e ragione, illuminazione e ispirazione. Qui si radica questa fiducia, ma anche questa tensione quest'uscire fuori da sé, questo proiettarsi verso Dio. E non si tratta di riferirsi a una qualsivoglia potenza superiore, ma a Dio che mi conosce e che mi parla. Che è davvero un soggetto per quanto tanto più alto con cui posso entrare rapporto e che si relazione con me.

2. Cosa intende quando dice che Dio è anche un “soggetto”?

Intendo dire che è una persona. Dio non è la formula matematica che compendia l'universo. Non è nello spirito del mondo. Non è l'imprecisata armonia della natura o un innominabile “infinito”, ma il creatore della natura, l'origine dell'armonia, il Dio vivente, il Signore.

3. Un attimo, Lei crede che Dio sia una persona, che possa ascoltare, vedere, avere dei sentimenti…?

Sì, Dio possiede i tratti essenziali di ciò che chiamiamo persona, cioè consapevolezza, discernimento e amore. E’ da questo punto di vista qualcuno in grado di parlare di ascoltare. Questi sono, credo, i tratti essenziali di Dio. La natura può anche essere degna di ammirazione. Un cielo stellato è grandioso. Ma rimane pur sempre un'ammirazione impersonale perché, in ultima analisi, mi fa sentire una piccola rotella di un meccanismo che mi sovrasta.

Il Dio vero è qualcosa di più. Non è semplicemente natura, ma è ciò che la precede e che la legge. È un essere in grado di pensare, parlare, amare e ascoltare. E Dio, ci dice la fede, è per sua essenza relazione. Intendiamo questo quando ci riferiamo alla sua natura trinitaria. Poiché è in sé relazione, è anche in grado di creare esseri che sono a loro volta relazione e che si possono richiamare a lui perché lui si è sentito toccare da loro.

4. “Chi entra nella logica di questo Credo”, ha detto una volta, “compie davvero una rinuncia alle leggi del mondo in cui vive”.

Intendevo dire che il mistero della Risurrezione di Cristo ci consente di superare la morte. Naturalmente come uomini che abitano questo mondo continueranno ad essere sottoposti alle leggi naturali. In natura vige la legge delle incessanti trasformazioni. Ma in Cristo vediamo che l'uomo ha qualcosa di definitivo. Non è soltanto un elemento inserito nel grande processo delle trasformazioni, ma è e rimane uno degli scopi della creazione. Da questo punto di vista si sottrae al vortice dell'eterno dischiudersi e perire per essere accolto nella costanza dell'amore creativo di Dio.

5. Perché si rappresenta Dio con un triangolo al cui centro sta un occhio che ci fissa in maniera penetrante?

Il triangolo è un tentativo di rappresentare il mistero dell'unità trinitaria. Si vuole esprimere il confluire della tripartizione trinitaria in un'unica realtà e la fusione della triplice relazione d'amore in un unità superiore. L'immagine dell'occhio, molto antica, è per eccellenza il simbolo del conoscere che attraversa l'intera storia della religione. Dice che Dio è il Dio che vede e che l'uomo è l’oggetto della sua attenzione, che acquisisce a sua volta, tramite Dio, la facoltà di vedere.

Naturalmente in quest’immagine è insito un pericolo. Nell’Illuminismo ha contribuito in maniera significativa alla presa di distanza da Dio. Perché da un Dio che mi osserva inesorabilmente ovunque io sia, che non mi concede mai uno spazio mio – la mia privacy si direbbe oggi – da un simile Dio ci si separa volentieri.

Considerare il vedere come una minaccia, come un pericoloso osservare che mi sottrae la libertà è un'interpretazione sbagliata che capovolge l'immagine autentica di Dio. Il simbolo dell'occhio è interpretato correttamente se vi si vede il riflesso di un atteggiamento di eterna premurosità, se mi comunica il fatto che non sono mai solo, che c'è sempre qualcuno che mi ama, che mi sostiene e mi sorregge.

6. Nella tradizione ebraica è presente l'idea che Dio, prima di creare il mondo, esisteva in latenza. Le sue caratteristiche non avevano ancora conosciuto un'attualizzazione. Conseguentemente Dio aveva bisogno del mondo per diventare quello che è. Perché, come potrebbe esserci un re senza popolo? Come Dio potrebbe amare, se non c'è nessuno da amare? La domanda è questa: cosa c'era prima dell'inizio? Chi ha creato Dio?

Quest'idea proviene da una delle tante tradizioni ebraiche. Concezioni simili sono poi emerse successivamente anche nella mistica cristiana, per esempio in Meister Eckart. In ogni caso non corrispondono all'immagine biblica originaria e paiono sottintendere impossibilità per Dio di essere se stesso se non creando.

No, il Dio cristiano, il Dio che si rivela a noi, è Dio. "Io sono colui che sono”, dice. A questo punto si è già implicitamente risposto anche alla domanda successiva e che presuppone una serie infinita di interrogativi autogenerantisi: Chi l’ha creato, e poi: Chi ha creato colui che l’ha creato e così via. E diventa superfluo anche un interrogativo come questo: lo spirito di Dio creatore rappresenta la pienezza dell'essere, posta al di là del divenire e del perire?

Penso che lo si possa formulare in questi termini: la realtà stessa è in se stessa creativa. Dio non ha bisogno del mondo. La fede cristiana e anche quella veterotestamentaria l'hanno sempre energicamente sottolineato. Al contrario degli dei, che hanno bisogno di uomini che li mantengano e li nutrano, Dio di per sé non ha bisogno di loro. È l'unico, l'eterno la pienezza dell'essere. La fede trinitaria ci dice che lui è colui che ama in sé, in questo eterno ciclo dell'amore che è insieme suprema unità e alterità e condivisione dell'esistenza.

D'altro canto l'idea che Dio è amore in implica effettivamente l'interrogativo su quale sia l'oggetto del suo amore. Questo però si dissolve nella fede nell’unità trinità di Dio, che fa dono di sé e si fa Figlio, si riunisce al Padre ed è Spirito Santo. In questo senso, dunque, la creazione è un atto completamente libero e anche la tradizione cristiana (e con essa parti importanti della tradizione ebraica) hanno sempre sottolineato che la creazione non è per Dio una necessità ma una libera scelta.

7. Ma perché Dio doveva farsi carico di questa avventura della creazione del mondo e dell'uomo?

Quest’interrogativo, sulle motivazioni di un atto, quello della creazione, di cui Dio poteva anche fare a meno, ha terribilmente tormentato Romano Guardini, che ha preso atto e dato espressione a tutto ciò che nella creazione gronda di dolore. Non abbiamo una risposta. Possiamo solo supporre che l'abbia voluto, nonostante tutto; che volesse una creatura altra da lui, che potesse riconoscerlo e ampliare così dire il raggio del suo amore.

Gli antichi hanno tentato di esprimerlo con un concerto filosofico: il bene ha in sé la pulsione a parteciparsi. E da questo punto di vista colui che è il bene per eccellenza tende a traboccare. Nemmeno a quest’interrogativo c'è una risposta definitiva. Ma l’essenziale è che la creazione non è un libero dono di sé e non per così dire un'esigenza di Dio, che sarebbe altrimenti solo un Dio dimezzato e potrebbe quindi offrire solo una speranza dimezzata.

7. Dio è uomo o donna?

Dio è Dio. Non è né uomo né donna, ma è al di là dei generi. È il totalmente Altro. Credo che sia importante ricordare che per la fede biblica è sempre stato chiaro che Dio non è né uomo né donna ma appunto Dio e che uomo e donna sono la sua immagine. Entrambi provengono da lui ed entrambi sono racchiusi potenzialmente lui.

8. Il problema è però che la Bibbia si rivolge a Dio come a un Padre e lo raffigura conseguentemente con un'immagine maschile.

Tanto per incominciare dobbiamo dire che, se è vero che effettivamente la Bibbia ricorre nell'invocazione delle preghiere all'immagine paterna, non a quella materna, è altrettanto vero che nelle metafore di Dio gli attribuisce anche caratteristiche femminili.

Quando ad esempio si parla della pietà di Dio, non si ricorre al termine astratto di “pietà”, ma a un termine gravido di corporeità, “rachamin”, il “grembo materno” di Dio, che simboleggia appunto la pietà. Grazie a questa parola viene visualizzata la maternità di Dio anche nel suo significato spirituale. Tutti i termini simbolici riferiti a Dio concorrono a ricomporre un mosaico grazie al quale la Bibbia mette in chiaro la provenienza da Dio di uomo e donna. Ha creato entrambi. Entrambi sono conseguentemente racchiusi in lui - e tuttavia lui è al di là di entrambi.

9. Rimane l’interrogativo perché tutto ciò non abbia trovato espressione anche nell'invocazione delle preghiere.

Sì. Perché ci si è limitati così rigidamente al Padre? E poi c'è la successiva domanda, ancora più tagliente: perché Dio è venuto a noi come “Figlio”? Perché Dio facendosi uomo si è incarnato in una persona di sesso maschile? E perché questo Figlio di Dio ci ha insegnato a sua volta a rivolgerci insieme a lui a Dio chiamandolo Padre, trasformando questa denominazione di Padre in qualcosa di più di un'immagine che nel corso della storia della fede può anche essere superata, cioè nella parola che il Figlio stesso ci ha insegnato?

10. Lei conosce la risposta?

Vorrei anzitutto ricordare che la parola "Padre” rimane ovviamente una metafora. Continua ad essere vero che Dio non è né uomo né donna ma appunto Dio. Si tratta comunque di un'immagine che Cristo ci ha davvero, inequivocabilmente, consegnato perché noi vi ricorressimo nella preghiera, un'immagine tramite cui ci vuole comunicare qualcosa della visione di Dio.

Ma perché? Ci troviamo attualmente nel pieno di una nuova fase di riflessione su questa questione, ma credo che, in ultima analisi, non siamo in grado di trovare una risposta. Ciò che possiamo dire sono forse due cose. Innanzitutto, le religioni diffuse nell'area circostante a Israele conoscevano coppia di divinità, una dignità maschile e una divinità femminile. Il monachesimo, al contrario, ha escluso le coppia di divinità e ha invece assurto a sposa del Signore l'umanità eletta, o meglio il popolo d'Israele.

In questa storia d’elezione si adempie il mistero dell'amore che Dio nutre per il suo popolo, simile a quello di un uomo per la sua sposa. Da questo punto di vista l'immagine femminile viene un certo qual modo proiettata su Israele e sulla Chiesa e infine personalizzata in maniera particolare in Maria. In secondo luogo, laddove si è fatto ricorso a metafore materne del divino queste hanno trasformato la concezione della creazione fino a che, all'idea di creazione, si è sostituita quella di emanazione, di parto, e poi ne sono scaturiti modelli quasi necessariamente panteistici. Al contrario, il Dio rappresentato nell’immagine paterna che tramite la Parola e proprio da qui deriva la specifica differenza tra creazione e creatura.

11. Anche se Dio non è né uomo né donna, siamo in grado di dire com’è? L’Antico Testamento ci riferisce di esplosioni di collera e di successive punizioni. "Perché io, il Signore tuo Dio,”ci dice qui, “sono un Dio geloso: in coloro che mi sono nemici, perseguo la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione”. Dio è ancora oggi collerico come allora o è cambiato?

Per prima cosa vorrei completare la citazione. Vi si dice infatti: “le mie punizioni colpiranno fino alla terza o alla quarta generazione, ma la mia misericordia si estenderà oltre le mille generazioni”. La parola profetica riflette dunque una simmetria tra la collera e la misericordia. La misericordia è moltiplicata per mille, se raffrontata con l’ira e da questo punto di vista questo passo significa che, per quanto abbia meritato la punizione e mi sia posto al di fuori del suo amore, ho la certezza che la misericordia di Dio è mille volte più grande.

12. Ma questo Dio ebraico-cristiano mostra anche un volto irato.

La collera di Dio è espressione del fatto che ho vissuto contraddicendo quell’amore che costituisce l'essenza di Dio. Chi si allontana da Dio, che si allontana dal bene, sperimenta la sua collera. Chi si pone al di fuori dell'amore, sprofonda nel negativo. Non è quindi un colpo inferto da un dittatore assetato di potere, ma è soltanto l'espressione della logica intrinseca a un'azione.

Se io mi pongo al di fuori di ciò che è conforme alla mia idea di creazione, al di fuori dell'amore che mi sorregge, allora precipito nel vuoto, nelle tenebre. Allora non mi trovo più, per così dire, nella sfera dell'amore, ma in una sfera che può essere definita come quella della collera.

Le punizioni di Dio non sono il frutto di norme poliziesche da lui stesso imposte sadicamente. “Punizione di Dio” è la condizione che si sperimenta quando si smarrisce la retta via e si subiscono le conseguenze dell'essersi incamminati su una strada sbagliata, lontano da quell'esistenza che Dio aveva pensato per noi.

13. Ma non siamo anche tenuti a nutrire un senso di dipendenza, e addirittura di minorità se si dice: “Dio è colui che vi infonde la volontà e la sua realizzazione”. Che razza di Dio è uno che deve sempre dimostrarci che senza di lui non siamo niente? E viceversa, non è anche responsabile nei nostri confronti? Perché, chi di noi è responsabile della propria presenza su questa terra? Anzi ci sono abbastanza persone che non ne sono affatto entusiaste.

È importante che la Chiesa ci trasmetta un'immagine di Dio grandiosa ma scevra da falsi tratti terrorizzanti e minacciosi. Tratti che invece hanno gravato negativamente e tuttora forse gravano sporadicamente in una parte della catechesi. Dobbiamo invece rappresentare Dio nella sua grandezza, ma sempre a partire da Cristo, un Dio che ci concede un margine di libertà molto ampio.

Talvolta vorremmo addirittura che ci parlasse più chiaramente. Altre volte ci chiediamo invece: perché ci lascia tutto questo spazio di manovra? Perché concede al male tutta questa libertà e questo potere? Perché non interviene?

14. Continuiamo a soffermarci su Dio con la domanda su dove e come possiamo trovarlo. Possiamo ricorre a un breve racconto. Una volta una madre portò suo figlio dal rabbino. Questi allora chiese al ragazzo: “Ti do un fiorino se mi sai dire dove sta Dio”. Il ragazzo non ebbe bisogno di riflettere a lungo e rispose: “E io te ne do due si mi sai dire dove non sta”. Nel Libro della Sapienza si dice che Dio “ si lascia trovare da quanti non lo tentano, si mostra a coloro che non ricusano di credere in lui”. Ma dov'è Dio esattamente?

Iniziamo dal Libro della Sapienza. Lì c’è un passo che mi pare molto attuale: “Dio si lascia trovare da quanti non lo tentano” significa che non si lascia trovare da coloro che vogliono metterlo alla prova. Questa verità era già conosciuta nel mondo ellenistico e si è conservata ancora oggi molto pregnante. Se vogliamo mettere Dio alla prova - ci se o non ci sei? – o mettiamo in atto tentativi che dovrebbero nelle nostre intenzioni spingerlo a reagire, se ne facciamo un oggetto di sperimentazione, allora assumiamo un atteggiamento che ci impedisce di trovarlo. Dio non si sottopone ad alcun esperimento. Non è qualcosa che si lasci manipolare dall'uomo.

15. Un mio amico mi ha detto: Io non avverto alcuna presenza, nemmeno quando vado in chiesa la domenica. Vedo solo che non esiste nulla.

Dio non è qualcosa che si possa costringere a urlare in determinati momenti la propria presenza. Troviamo Dio se rinunciamo a sottoporlo ai criteri di falsificabilità dell’esperimento moderno e di dimostrazione dell'esistenza e se guardiamo a lui come Dio. E guardare a lui come a Dio significa instaurare con lui tutto un altro rapporto.

Le cose materiali posso indagarle da un punto di vista operativo e sottoporle a coercizione perché mi sono sottoposte. Ma già un altro essere umano non sono in grado di capirlo se lo tratto in quel modo. Al contrario, sono in grado di cogliere qualcosa della sua personalità solo se inizio a immedesimarmi empaticamente con la sua anima.

Lo stesso avviene con Dio. Posso cercare Dio solo se dismetto i panni del dominatore. Devo invece sviluppare un atteggiamento di disponibilità, di apertura, di ricerca. Devo essere pronto ad attendere con umiltà e a consentirgli di mostrarsi come vuole e non come io vorrei.

16. Ma dov'è Dio esattamente?

Non è in un luogo preciso, come mostra così bene la sua storiella rabbinica. Detto in positivo: non esiste alcun luogo in cui lui non sia presente perché è dappertutto. Detto in negativo: In nessun modo può essere là dove vi è il peccato. Quando la negazione eleva il non essere a potenza, allora lì Lui non è presente.

Dio è dappertutto, e perciò ci sono diversi gradi di approssimazione a Dio perché, quanto più alto è lo stadio dell'essere, tanto più si è vicini a lui. Dove però si dischiudono ragioni e amore, lì si raggiunge una nuova forma di vicinanza a lui, una nuova modalità della sua presenza. Dio è dunque là dove sono presenti fede e speranza e carità, perché, a differenza del peccato, queste disegnano lo spazio che ci consente di penetrare le dimensioni di Dio.
Da questo punto di vista Dio è in tutti quei luoghi in cui accade qualcosa di buono, presente nella sua specificità e, certo, al di là della mera onnipresenza. Possiamo incontrarlo e cogliere una modalità più profonda della sua presenza laddove ci approssimiamo a quelle dimensioni che meglio corrispondono alla sua essenza più intima quelle appunto della verità è dell'amore, del bene in generale.

17. Questa presenza più profonda… significa forse che Dio non è da qualche parte nell’universo ma è qui mezzo a noi? Presente in ogni singolo uomo.

Sì, lo dice già San Paolo sull'Aeropago rivolgendosi agli Ateniesi. Cita in quell'occasione un poeta greco: In Dio ci muoviamo, di piano e siamo. Che ci fu muoviamo ed esistiamo nell'aura del Dio creatore, è già vero da un punto di vista meramente biologico. Ed è tanto più vero quanto più ci addentriamo nella specifica modalità dell'essere di Dio. Possiamo esprimerlo in questi termini: laddove un uomo fa del bene a un altro uomo, là Dio è particolarmente vicino. Laddove, nella preghiera, qualcuno apre il proprio cuore a Dio, lo avvertirà come particolarmente vicino.

Dio non è una grandezza individuabile secondo categorie fisico-spaziali. La sua vicinanza non è misurabile con i parametri della distanza spaziale, in chilometri o anni luce. La prossimità di Dio è invece una vicinanza fondata sulle categorie dell'essere. Laddove è presente ciò che più riflette e attualizza la sua essenza, laddove sono presenti la verità e il bene, là lo sfioriamo particolarmente, lui che è l’Onnipresente.

18. Questo però significa anche che non è automaticamente presente, che non è sempre presente.

Da questo punto di vista è sempre presente, come se senza di lui non mi fosse possibile congiungermi al fluire dell'essere, se vogliamo dirlo in questi termini. In questo senso c’è un livello elementare di presenza di Dio che pervade ogni cosa. Ma la dimensione più profonda della prossimità di Dio, quella di cui è stato fatto dono all'uomo, quella può assottigliarsi o addirittura dissolversi o viceversa irrobustirsi.

Un uomo totalmente compenetrato da Dio è interiormente più vicino a Dio di uno che si è allontanato da lui. Pensiamo all'annuncio a Maria. Dio vuole che Maria divenga il suo tempio, il suo tempio vivente, ma questo non significa solo ospitarlo fisicamente. Ma a lei è davvero possibile divenire la dimora di Dio solo in quanto si è interiormente aperta a lui; solo perché si è conformata a lui con tutto il suo essere.

19. Ma potrebbe anche essere che Dio si ritragga, almeno temporaneamente. Einstein, ad esempio, venerava Dio come architetto dell'universo, ma era anche convinto, in ultima analisi, che Dio non si interessasse più della sua creazione e del destino dell'uomo.

Questa idea di Dio come architetto muove da una concezione di Dio molto limitata. In questa concezione Dio è soltanto l'ipotesi marginale di cui si ha bisogno per poter spiegare la nascita dell'universo. Progetta, per così dire, la totalità del cosmo, che poi si muove di forza propria. Poiché Dio si rapporto al mondo semplicemente come la causa fisica ultima, poi naturalmente, altrettanto semplicemente, esce di scena dopo la creazione. Ora la natura dispone di una propria autonomia, ma Dio non ha più margini d’azione, il suo rapporto con il cuore degli uomini, con quest'altra dimensione dell'essere, semplicemente non è previsto da questa concezione della creazione.
Allora non è più il Dio “vivente” ma un'ipotesi che, in ultima analisi, si tenta di rendere superflua.

20. Ma anche i teologi parlano di un’ “ assenza di Dio”.

Questa è un'altra faccenda. Già nelle Sacre Scritture ci imbattiamo nel nascondersi di Dio. Dio si nasconde al popolo che non gli obbedisce. Tace. Non manda profeti. E questa notte buia è presente anche nella vita dei santi, che vengono per così dire espulsi in questa sorta di assenza, di silenzio di Dio, come ad esempio Teresa di Lisieux, e devono condividere con i non credenti la sofferenza delle tenebre.

Ma questo comunque non significa che Dio non esiste. E nemmeno che non disponga più della sua forza propria o che non ci ami più. Sono situazioni della storia o dell'esistenza umana in cui l'incapacità dell'uomo di percepire la presenza di Dio opera a sua volta, per usare un'espressione di Martin Buber, un’ “eclissi di Dio”. Di fronte a questa incapacità o non volontà dell'uomo di percepire Dio di richiamarsi a lui, Dio pare essersi ritratto.

21. Clemente alessandrino, uno dei grandi Padri della Chiesa, disse una volta: “L'uomo è stato creato da Dio, perché desiderato da Dio per se stesso”. Bene, se dunque Dio è amore disinteressato, perché mai dovrebbe insistere nel pretendere da noi venerazione e adorazione?

Il Santo Padre ha ripreso nelle sue encicliche in diversi modi proprio quest'espressione “creato per se stesso”. L’ha mutuata da Immanuel Kant e l’ha sviluppata in maniera originale. Kant aveva detto che l'uomo è l'unico essere che è fine a se stesso, non uno strumento per altri fini. Il Papa dice ora: In effetti l'uomo è in sé un fine ultimo, non è a sua volta utilizzabile per conseguire altri fini.

Questa affermazione rappresenta il presupposto in base a cui garantire protezione al singolo. Perché in questo Dio creatore è riposto il fondamento che esclude il diritto di chicchessia di servirsi di un altro uomo, per quanto povero o debole questi possa essere, per conseguire Dio solo sa quali nobili scopi.

Oggi questa si è dimostrata una leva molto importante per garantire la difesa della dignità umana negli esperimenti sull'uomo o sugli embrioni. Il diritto umano per eccellenza è proprio questo, quello di non essere considerato un mezzo, ma di vedere tutelata la propria inviolabile dignità. Questo però non autorizza l'uomo a rinchiudersi in se stesso, a rideclinare la propria singola individualità a scopo finale della propria esistenza. Una componente importante della personalità umana è la relazionalità.

22. Che cosa significa?

Innanzitutto il lui è innata la tendenza ad amare, a relazionarsi con gli altri. Non è un essere autarchico, conchiuso in se stesso, un’isola dell’essere, ma, per sua stessa essenza, relazione. Senza questa relazione, nella mancanza di relazioni si autodistruggerebbe. E proprio in questa sua struttura fondamentale riflettere la natura di Dio. Perché è un Dio che a sua volta è per sua essenza relazione, come c’insegna il dogma trinitario. La relazionalità dell'uomo è quindi innanzitutto di natura interpersonale, ma è predisposta anche come proiezione verso l'infinito, verso la verità, verso l'amore stesso.

23. Deve necessariamente dispiegarsi in questa direzione?

Sì, ma questo non l'avvilisce. Questa relazione non rende l'uomo un fine, ma gli conferisce grandezza perché sta in rapporto diretto con Dio ed è direttamente voluto da Dio. Non si può perciò considerare il culto di Dio alla stregua di una faccenda esteriore come se Dio volesse essere lodato se avesse bisogno di sentirsi lusingato. Sarebbe ovviamente infantile e in sostanza irritante e ridicolo.

24. Ma allora cosa vuole?

Interpretare correttamente il senso dell’adorazione significa vivere correttamente il proprio essere come essere relazionale, vivere correttamente l'idea interiore del mio essere. E allora la mia vita si orienta a porsi in sintonia con la volontà di Dio, ad armonizzarsi con la verità e con l'amore. Non si tratta di fare qualcosa che faccia contento Dio. Adorarlo significa accettare la fugacità della nostra esistenza. Accettare di non avere per scopo qualcosa di finito che mi vincoli e di eccedere qualsiasi altro fine. Eccederlo proprio nell’unità interiore con colui che mi ha voluto come suo partner e che proprio su questo ha affondato la libertà che mi ha donato.

25. Ed è questo che Dio vuole veramente da noi?

Sì.


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Dove è finita la verità della Pacem in terris ?

03.10.2013 22:08

 

Discorso del Papa Francesco, 2 ottobre, per i 50 anni della Pacem in terris di Giovanni XXIII,

dice:

" 1. Ma qual è il fondamento della costruzione della pace? La Pacem in terris lo vuole ricordare a tutti: esso consiste nell’origine divina dell’uomo, della società e dell’autorità stessa, che impegna i singoli, le famiglie, i vari gruppi sociali e gli Stati a vivere rapporti di giustizia e solidarietà.

E’ compito allora di tutti gli uomini costruire la pace, sull’esempio di Gesù Cristo, attraverso queste due strade: promuovere e praticare la giustizia, con verità e amore; contribuire, ognuno secondo le sue possibilità, allo sviluppo umano integrale, secondo la logica della solidarietà.

Guardando alla nostra realtà attuale, mi chiedo se abbiamo compreso questa lezione della Pacem in terris. Mi chiedo se le parole giustizia e solidarietà sono solo nel nostro dizionario o tutti operiamo perché divengano realtà. L’Enciclica del Beato Giovanni XXIII ci ricorda chiaramente che non ci può essere vera pace e armonia se non lavoriamo per una società più giusta e solidale, se non superiamo egoismi, individualismi, interessi di gruppo e questo a tutti i livelli. .."

 

Tutto giusto, ci siamo, ma sono stati eliminati due "fondamenti" dall'enciclica....

LA VERITA' E LA LIBERTA'....

Leggiamo cosa disse Paolo VI nell'Omelia in san Giovanni in Laterano per la prima giornata della Pace, 1.gennaio 1978, nella quale cita la Pacem in terris:

"Ciascuno dei temi delle varie « Giornate per la Pace » completa i precedenti come una pietra si aggiunge alle altre per costruire una casa: questa casa della Pace, che - come diceva il nostro venerato predecessore Giovanni XXIII - si fonda su quattro pilastri : « la verità, la giustizia, la solidarietà operante e la libertà »...."

(Omelia - Paolo VI - 1° genn 1978)

 

dunque, secondo Paolo VI i pilastri della Pacem in Terris sono quattro e il primo è la verità!

IOANNIS XXIII Pacem in Terris, n.47.

"La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche. (..)

Ciò non è difficile a capirsi quando si pensi che le persone che rappresentano le comunità politiche, mentre operano in nome e per l’interesse delle medesime, non possono venire meno alla propria dignità; e quindi non possono violare la legge della propria natura, che è la legge morale.

Sarebbe del resto assurdo anche solo il pensare che gli uomini, per il fatto che vengono preposti al governo della cosa pubblica, possano essere costretti a rinunciare alla propria umanità; quando invece sono scelti a quell’alto compito perché considerati membra più ricche di qualità umane e fra le migliori del corpo sociale.

Inoltre, l’autorità è un’esigenza dell’ordine morale nella società umana; non può quindi essere usata contro di esso, e se lo fosse, nello stesso istante cesserebbe di essere tale; perciò ammonisce il Signore: "udite pertanto voi, o re, e ponete mente, imparate voi che giudicate tutta la terra. Porgete le orecchie voi che avete il governo dei popoli, e vi gloriate di aver soggette molte nazioni: la potestà è stata data a voi dal Signore e la dominazione dall’Altissimo, il quale disaminerà le opere vostre, e sarà scrutatore dei pensieri" (Sap 6,2-4)...."

 

Perciò, quando Papa Francesco dice che il fondamento della Pace: "  consiste nell’origine divina dell’uomo, della società e dell’autorità stessa, che impegna i singoli, le famiglie, i vari gruppi sociali e gli Stati a vivere rapporti di giustizia e solidarietà...." omette di dire che  questa autorità esige la verità e che: "La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche. (..)".

 

Certo, dire che l'origine divina dell'uomo è parte integrante di questo fondamento e che questa origine, e non altra, va rispettata per avere la pace, il Papa dice già la verità, ma non basta. Non basta perchè purtroppo questa società e questa autorità attuale è relativista, è nichilista, è individualista, è una società bugiarda e menzognera  ed una autorità che rivendica solo la presunzione del diritto ( di quale poi, non si è capito visto che non riconosce all'uomo stesso il diritto di Dio), dimenticando il dovere che ha dal momento che l'autorità che vanta gli viene da Dio, essendo l'uomo, appunto, creatura di Dio e non del Cesare di turno.

Papa Francesco rischia, senz'altro in buona fede, di banalizzare questa grave responsabilità dell'autorità racchiudendo il fondamento della Pace esclusivamente alla "giustizia ed alla solidarietà". Ma la giustizia e la solidarietà, privata della verità, restando monche del primo fondamento, falliscono.

Dice Papa Francesco:

"Mi chiedo se le parole giustizia e solidarietà sono solo nel nostro dizionario o tutti operiamo perché divengano realtà. L’Enciclica del Beato Giovanni XXIII ci ricorda chiaramente che non ci può essere vera pace e armonia se non lavoriamo per una società più giusta e solidale, se non superiamo egoismi, individualismi, interessi di gruppo e questo a tutti i livelli. .."

 

E la verità dove sta? C'è ancora nel nostro vocabolario, nel dizionario, negli insegnamenti e nella stessa concezione di giustizia e solidarietà?

Che il Papa lo possa dare per scontato, nessun problema, ha ragione perchè dovrebbe essere scontato, ma dal momento che scontato non lo è, perchè dimezzare il contenuto dei quattro pilastri della Pacem in terris?

Papa Giovanni XXIII disse diversamente:

"Riaffermiamo noi pure quello che costantemente hanno insegnato i nostri predecessori: le comunità politiche, le une rispetto alle altre, sono soggetti di diritti e di doveri; per cui anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà. ...."

 

Senza la verità sarà l'individualismo, invece, a fare da bilancia, spostando l'attenzione su concetti di giustizia e solidarietà fondati esclusivamente sul relativismo. Senza la verità subentra il relativismo e l'opinionismo, impossibile uscire da quest'impasse senza la verità.

Sul concetto della solidarietà è sempre la verità che le imprime la vera giustizia, così scrive infatti Giovanni XXIII:

" I rapporti tra le comunità politiche vanno regolati nella verità e secondo giustizia; ma quei rapporti vanno pure vivificati dall’operante solidarietà attraverso le mille forme di collaborazione economica, sociale, politica, culturale, sanitaria, sportiva: forme possibili e feconde nella presente epoca storica. In argomento occorre sempre considerare che la ragione d’essere dei poteri pubblici non è quella di chiudere e comprimere gli esseri umani nell’ambito delle rispettive comunità politiche; è invece quella di attuare il bene comune delle stesse comunità politiche; il quale bene comune però va concepito e promosso come una componente del bene comune dell’intera famiglia umana..." (P.inT. n.54)

 

e: " Amiamo pure richiamare all’attenzione che la competenza scientifica, la capacità tecnica, l’esperienza professionale, se sono necessarie, non sono però sufficienti per ricomporre i rapporti della convivenza in un ordine genuinamente umano; e cioè in un ordine, il cui fondamento è la verità, misura e obiettivo la giustizia, forza propulsiva l’amore, metodo di attuazione la libertà.." (n.78)

 

e ancora: " A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale. Compito nobilissimo quale è quello di attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio..." (n.87)

 

Dunque, per ricomporre i rapporti della convivenza in un "ordine genuinamente umano", la verità è il fondamento di questo ordine; la misura e l'obiettivo è la giustizia avente come fondamento la verità; la forza propulsiva di tale fondamento si esprime con l'amore autentico-solidarietà; e di conseguenza metodo di attuazione di questo fondamento della verità è la libertà! La vera Pace è quella che attua " l'ordine stabilito da Dio" a partire dalla verità sull'uomo, dalla verità sulla legge che regola la nostra natura e che da vita alle nostre società.

Se si toglie un solo elemento da questo ordine, se si toglie la verità, si rischia il fallimento, si va verso l'illusione di una pace umana, mondana, praticata solo sul "quieto vivere" per continuare a fare ciò che voglio, intendendo la libertà nel modo peggiore.

 

Se Papa Francesco dice:

"L’Enciclica del Beato Giovanni XXIII ci ricorda chiaramente che non ci può essere vera pace e armonia se non lavoriamo per una società più giusta e solidale, se non superiamo egoismi, individualismi, interessi di gruppo e questo a tutti i livelli. .."

 

è carità fraterna ricordargli che l'Enciclica si conclude con parole leggermente diverse, e diverse anche nel significato:

"Ma la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà.."

Sul concetto autentico della libertà, leggere e studiare l'Enciclica di Leone XIII: Libertas

 

N.B. accedere attraverso i link per l'integrità dei testi citati

***

 

 

 

Uomo, riscopri la tua vera identità

23.09.2013 11:47

 

Continuando a dar voce ad alcune e-mail ricevute, proseguiamo con altre due che in sostanza chiedono e riflettono gli stessi problemi, così da darci modo di evadere il tutto in una unica risposta che possa aiutare tutti noi ad attenti approfondimenti e sano discernimento.

ecco le due e-mail:

1) Approfitto di questa mail per aggiungere un'osservazione che mi è venuta in mente in questi giorni: forse tutto il dibattito sull'omosessualità è inficiato da un'erronea visione del sesso che coinvolge anche molti cattolici?

Me lo chiedo perchè, al giorno d'oggi, tutti sembrano dare per scontato che le pulsioni sessuali siano cosa buona e giusta, da accogliere e assecondare: "Il sesso fa bene alla salute", "Le pulsioni vanno sfogate, non represse, sennò ci si pervertisce", "Una soddisfacente attività sessuale, anche da anziani, è fondamentale nella coppia", "bisogna assecondare la propria natura"... ecc. ecc. Siamo stati tutti cresciuti (almeno quelli della mia generazione) con queste idee, trasmesseci da riviste e programmi Tv.

Però, leggendo soprattutto San Paolo, non mi pare proprio che la visione cristiana del sesso sia in questi termini.

Mi sembra che Paolo faccia continuamente riferimento ai desideri e alle opere della carne come a qualcosa di negativo, da combattere, per far sì che cresca in noi, giorno dopo giorno, l'uomo spirituale a scapito di quello carnale.

Paolo raccomanda la continenza, e ammette il matrimonio solo per chi non riesce a vivere in tale stato. Però, anche per i coniugi, raccomanda che il talamo sia senza macchia, che mi pare sia sempre stato interpretato come un invito a non eccedere nell'attività sessuale. Mi pare che per Paolo l'unione carnale sia legittima solo nella misura in cui è funzionale alla procreazione. Almeno così mi sembra che la interpreti sant'Agostino ne "La dignità del matrimonio", dove afferma che i figli sono l'unico frutto onesto del matrimonio, e che l'amplesso tra coniugi fatto senza l'intento di procreare è peccato, veniale ma pur sempre peccato. Ora, se accettiamo che le pulsioni sessuali non sono buone se non nella misura in cui sono funzionali alla procreazione (che poi la coppia sia sterile non importa, l'importante è che l'atto sia procreativo, genitale), e che quindi, anche tra coniugi, è preferibile astenersi quando possibile, possiamo chiaramente respingere qualunque pretesa di equiparazione tra eterosessualità e omosessualità, in quanto tra due uomini e due donne non è mai possibile un atto di tipo procreativo.

Ma se accettiamo che il sesso è un bene in sè a prescindere dalla procreazione, come fanno anche tanti, troppi cattolici, diventa molto più difficile negare legittimità ai rapporti gay rispetto a quello eterosessuali. Che ne pensa?

 

seconda e-mail:

 

2) ... facendo riferimento così all'ultimo articolo da voi postato sul problema dell'omosessualità, mi interesserebbe comprendere, o avere di che riflettere, sulla corretta interpretazione di quanto scrive san Paolo sul Matrimonio e di come la pensa davvero Papa Francesco. Grazie.

 

***

 

 

Proviamo  a fare discernimento più che a dare delle risposte come si usa fare oggi, rischiando di soggettivare la Scrittura stessa, come abbiamo visto nell'articolo precedente, a seconda delle mode del momento, o come quella di attribuire al Pontefice di turno di tutto e di più di ciò che non dice affatto.

(raccomandiamo anche questo articolo:  Il dramma del femminismo e la soppressione della paternità )

 

Rispondiamo perciò volentieri ringraziando le due e-mail per queste domande e approfondimenti, un segno tangibile della reale preoccupazione che dovrebbe sollecitare tutti ad approfondire certi temi, con serenità e con la bellezza della Scrittura insieme alla nostra santa Tradizione magisteriale, pontificia.

Si potrebbe già chiudere qui la risposta perchè quanto scrive soprattutto la prima e-mail è tutto vero e come vediamo abbiamo una coscienza che se ordinata alla corretta interpretazione del nostro corpo (con tutti gli organi annessi), porta in modo del tutto naturale a comprendere gli errori attuali mentre, come Voi stessi avete intuito, per far diventare ciò che è sbagliato una verità, è necessario capovolgere il nostro stesso umanesimo, capovolgere o re-inventarsi una nuova antropologia. Non è più l'uomo al centro, ma i suoi organi, il sesso, quel cedere alla carne ripetuto spesso da San Paolo.

La legge naturale scritta dentro di noi, immessa nel nostro DNA dal Dio Creatore, non attende altro che essere svelata (=perchè offuscata dal Peccato Originale, se si nega questo, si negano tutte le altre conseguenze, anche sessuali), e il paradosso che stiamo vivendo è che alla fine si fa più fatica a negare, mediante contorsioni interpretativi, che a credere correttamente ciò che più semplicemente si legge nella Scrittura.

C'è la bellissima espressione di San Paolo ai Corinzi:  "Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro. Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere" (1Cor.7,7-9).

Paolo parlando della condizione da vivere avrebbe desiderato che molti si fossero astenuti  dai piaceri della carne come lui - quindi è assai probabile che San Paolo fosse celibe e non sposato come pretenderebbe una certa esegesi modernista -  "ma ciascuno ha il proprio dono da Dio" è la vocazione che, come è stato già detto qui si esplica nei due Sacramenti ben distinti: Matrimonio e Ordine Sacro, ma se vogliamo possiamo unirci la Consacrazione per le donne negli ordini monastici e religiosi, che non è un Sacramento ma gli impegni assunti sono sulla stessa lunghezza d'onda, sono quel "ciascuno ha il proprio dono da Dio", come quando anche un medico deve fare una sorta di "giuramento" che conosciamo come il "Giuramento di Ippocrate" il quale, venuto meno anche questo, sta deformando la stessa professionalità dei medici i quali infatti, chiamati a salvare vite umane, sono finiti per uccidere la vita umana fin dal suo concepimento, o ad ergersi addirittura padroni della morte con la maschera dell'eutanasia.

Il punto è che ogni lavoro dell'uomo, se ben inteso correttamente, è una vocazione e quando viene meno questa espressione, o svuotata la vocazione del suo contenuto trascendentale che è la vera dignità che investe l'uomo, si generano le aberrazioni.

San Paolo, dunque, si dice anche preoccupato per certe situazioni familiari - nulla di nuovo a quanto pare - e riconosce la legittimità della separazione, ma non del divorzio, separarsi non è un ripudiare ma un tempo di riflessione durante il quale gli sposi dovranno occuparsi delle proprie anime e non dei corpi.

Inoltre per San Paolo la motivazione della separazione è ben altra che quella a cui si ricorre oggi, dice: "Ma se il non credente vuol separarsi, si separi", quindi non è consentito neppure al credente di separarsi quando vuole perchè, spiega: " E che sai tu, donna, se salverai il marito? O che ne sai tu, uomo, se salverai la moglie?"

salvarsi da che cosa? per questo poco prima Paolo riprendendo le parole del Signore Gesù, in Matteo 19, dice con severo monito:

" Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito -  e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie..." (sempre 1Cor. cap.7).

Insomma, da San Paolo stesso apprendiamo che il valore dell'unione tra un uomo e una donna prevede certamente due consolazioni unite ed inseparabili: agire per essere collaboratori di Dio nella procreazione e la consolazione, senza alcun dubbio, data dall'unione sponsale (e non sessuale) nella quale il sesso è uno strumento anche di piacere, non lo mettiamo in dubbio, ma per un fine e non già il fine.

Il sesso è perciò uno strumento, piacevole, per mettere al mondo i figli e dove il parto non è mai facile, ricordiamo le parole drammatiche della Genesi 3,16 "Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà».

In cosa consiste questa "dominazione"? Se fosse esclusivamente una questione materiale, dalla quale la donna non può sottrarsi, avremmo davvero un Dio implacabile e la donna sarebbe senza alcuna via d'uscita. Innanzi tutto Dio stesso spiega la vera natura di questo rapporto quando "trae dall'uomo la donna", l'uomo viene creato dalla terra, ma la donna è tratta dall'uomo: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo.  Allora l'uomo disse: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta». Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne...." (Gn.2,18-24)

Ma ce n'è anche per l'uomo. Quando Pietro  chiede a Gesù: "«Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».

Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» (Mc.10,28-30). A chi rinuncia alla sessualità carnale - ad avere una famiglia propria, figli, ecc -  per dedicarsi ad una paternità spirituale, ad una maternità spirituale, a quel "farsi eunuchi per il regno dei cieli (cf.Mt.19) ecco che il Signore promette il centuplo, e promette un godimento (=estasi) eterno, senza fine.

Non è un caso se Paolo arriva a dire parole sublimi come queste:

 "Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore;  il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo.  E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,  per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola,  al fine di farsi comparire dav anti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolataCosì anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa,  poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!  Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito" (Efes.5,22-33).

Il vero prete conta molto su questa promessa! Egli risponde ad una vocazione, certo, ma il seguire poi Cristo restandoGli fedele, sposando misticamente la Chiesa e vivendo senza cercarne altre di "spose" o donne, diventa un atto di volontà quotidiano che va coltivato, custodito, protetto, salvaguardato e supplicato ogni giorno perchè il rischio di cadere e di perdere c'è sempre.

E questo vale sia per i Preti quanto per i Consacrati, quanto per gli Sposi. I due Sacramenti fanno parte di quell'unico pacchetto - i 7 Sacramenti - che si prende o tutto intero, integralmente, o non se ne fa nulla, così come a ragione ha scritto Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis:

"La Chiesa si riceve e insieme si esprime nei sette Sacramenti, attraverso i quali la grazia di Dio influenza concretamente l'esistenza dei fedeli affinché tutta la vita, redenta da Cristo, diventi culto gradito a Dio"

 

Come possiamo notare, il vero nocciolo di un dialogo fruttuoso non è il sesso in sè ma tutto ciò che ruota attorno alla vera felicità la quale, per altro: "non è di questo mondo", l'uomo infatti, a causa del Peccato Originale, è infelice, e ciò è dovuto al fatto che egli nasce con il peccato, cioè incline a peccare e peccando muore (cf. Rom. 6,23) per cui egli è un essere spiritualmente morto, che va cercando altrove l'appagamento che altro poi non è che un surrogato, un palliativo e pure un effetto placebo.

E' opportuno riportare  questo esempio: la pistola, l'arma.

 Certo che fa male e uccide, ma se usata a dovere - vediamo le forze dell'ordine - essa è uno strumento che ci difende, difende la comunità anche se ci auguriamo sempre di non doverla sentire sparare, non è bello, ma non è bello neppure vedere trucidare le persone senza poter fare nulla - la difesa per altro è un diritto di Cesare e di ogni uomo, sancito dalla Scrittura, il porgere l'altra guancia invece riguarda le offese personali per le quali non rispondiamo ma porgiamo appunto l'altra guancia -, e come potrebbero le guardie far prevalere la loro autorevolezza senza uno strumento di efficace soggezione?

Quindi la pistola, se nelle mani giuste, potrebbe non sparare mai e se spara lo fa per difendere la collettività. E potremmo portare l'esempio del computer, dell'uso di internet, ecc..

Il sesso, ed altri strumenti in uso all'uomo, sono appunto strumenti per raggiungere uno scopo e se usati bene, se nelle mani giuste, producono effetti positivi, diversamente si compiono stragi, si sparge dolore, morte, offesa, violenza, sopraffazione, sterilità.

Non dipende perciò dagli strumenti, ma dall'uso che la nostra coscienza vuole farne.

Viene strumentalizzata la pistola quando si fanno le rapine, così come si strumentalizza il sesso quando lo si usa in modo scorretto, non naturale, non per lo scopo per il quale esiste.

Usare il sesso in modo errato è commettere una rapina.

Per carità, non mettiamo tutto sullo stesso piano, questo è solo un esempio, esistono infatti peccati veniali e peccati mortali, uccidere una persona è un peccato mortale, a prescindere dall'arma usata, ma anche l'adulterio è parte del sesto Comandamento anche se non uccide il corpo può, infatti, far morire l'anima.

Un conto poi è la legittima difesa provata, altra cosa è la sopraffazione del più forte. Così come l'aborto è un grave peccato mortale ma più grave è la responsabilità della donna o la coppia consenziente che lo pianifica, così come più grave è il peccato commesso da persone che si attivano per uccidere concepiti altrui - leggasi i medici senza scrupoli -, più grave è il coinvolgimento della volontà perversa di queste persone che sfruttano la debolezza di quelle donne che abortiscono, per esempio, perchè costrette con la forza, o per ignoranza, o per disagio sociale come alcool e droga e pure violenza carnale. Insomma, la giustizia Divina tiene conto di tutto, ma questo non legittima l'uomo a farsi giustizia da sè o a giustificare le proprie scelte sbagliate.

Come si evince dallo sviluppo di queste risposte, rinchiudere il problema esclusivamente al sesso è un errore che rischia spesso di inficiare piuttosto la bellezza della dottrina a riguardo dei nostri comportamenti verso il prossimo che siamo chiamati ad amare e non ad usare o abusare. Tanto per usare correttamente un altro verso della Scrittura, l'uomo è tenuto stretto dalle funi del suo peccato (cf. Prov. 5,22), ed ha bisogno che "Qualcuno" rompa queste funi.

Senza dubbio e come ci rammenta Genesi: "tutto ciò che Dio ha creato è buono" era buono, il Peccato Originale ha interrotto la naturalezza della creazione facendoci piombare nelle tenebre delle cose di Dio, delle cose che ci riguardano. Il sesso non era "un problema" o materia di discussione quando Dio creò l'uomo e lo pose nell'Eden, o almeno non lo era così come lo si evince oggi. Così come attualissime sono le parole di San Paolo: «Tutto mi è lecito!». Ma non tutto giova. «Tutto mi è lecito!». Ma io non mi lascerò dominare da nulla" (1Cor.6,12). Questa è la vera libertà che porta all'autentica felicità e all'uso corretto di ogni strumento che Dio ci ha donato.

 

Nella Deus Caritas est Benedetto XVI fa un ottima esegesi a riguardo del vero Amore e dell'eros, il passo è un pò lungo, ma Vi invitiamo a leggerlo integralmente, è al primo capitolo.

Interessante quest'altro passo della stessa enciclica:

"Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato di esser stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso ci sono sempre state. Ma il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole.

L'eros degradato a puro « sesso » diventa merce, una semplice « cosa » che si può comprare e vendere, anzi, l'uomo stesso diventa merce. In realtà, questo non è proprio il grande sì dell'uomo al suo corpo.

Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la parte soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare con calcolo. Una parte, peraltro, che egli non vede come un ambito della sua libertà, bensì come un qualcosa che, a modo suo, tenta di rendere insieme piacevole ed innocuo. In realtà, ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano, che non è più integrato nel tutto della libertà della nostra esistenza, non è più espressione viva della totalità del nostro essere, ma viene come respinto nel campo puramente biologico. L'apparente esaltazione del corpo può ben presto convertirsi in odio verso la corporeità. La fede cristiana, al contrario, ha considerato l'uomo sempre come essere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà. Sì, l'eros vuole sollevarci « in estasi » verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni".

 

Come possiamo rispondere noi a questi problemi così ingigantiti dal favore dei Cesari odierni che stanno legittimando ed imponendo una devastazione antropologica?

Con pazienza e verità, e con questa virtù diffondere ragionevolmente la verità sul nostro umanesimo, sul chi siamo, perchè viviamo, nasciamo e moriamo, dove siamo diretti e a cosa servono gli organi chiamati appunto "genitali" che la scienza stessa chiama "produttivi-riproduttivi" e poi comportarci con coscienza coerentemente perchè, diciamoci la verità, il danno maggiore che stiamo vivendo è l'incoerenza di tanti che dicendosi cristiani e pure cattolici di fatto hanno disatteso la loro stessa natura per rincorrere una felicità fittizia, carnale, temporale, dimenticando quel monito che echeggia in Quaresima: ricordati che sei polvere e che polvere ritornerai, ma  l'anima sopravvive prima della risurrezione dei corpi che avverrà nel giorno del Giudizio Universale, e riceverà subito da Dio ciò che ha vissuto, ciò che avrà scelto, sulla terra.

 

E' bene per noi chiudere queste riflessioni, rimandando alle recenti parole di Papa Francesco ai Medici Cattolici ricevuti in Udienza il 20 settembre 2013, così anche per sfatare le menzogne mediatiche di questi giorni che attribuiscono al Santo Padre l'abbandono della vera dottrina, dice il Papa:

" Invece, come ci ricorda l’Enciclica Caritas in veritate, «l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo”. Non c’è vero sviluppo senza questa apertura alla vita (...) la Chiesa fa appello alle coscienze, alle coscienze di tutti i professionisti e i volontari della sanità, in maniera particolare di voi ginecologi, chiamati a collaborare alla nascita di nuove vite umane. La vostra è una singolare vocazione e missione, che necessita di studio, di coscienza e di umanità. Un tempo, le donne che aiutavano nel parto le chiamavamo “comadre”: è come una madre con l’altra, con la vera madre. Anche voi siete “comadri” e “compadri”, anche voi.

Una diffusa mentalità dell’utile, la “cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli. La nostra risposta a questa mentalità è un “sì” deciso e senza tentennamenti alla vita. «Il primo diritto di una persona umana è la sua vita. Essa ha altri beni e alcuni di essi sono più preziosi; ma è quello il bene fondamentale, condizione per tutti gli altri» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’aborto procurato, 18 novembre 1974, 11). Le cose hanno un prezzo e sono vendibili, ma le persone hanno una dignità, valgono più delle cose e non hanno prezzo..."

 

Come si legge chiaramente, il Santo Padre Francesco nel riportare un noto e chiaro Documento, ribadisce la dottrina della Chiesa che la vita umana fin dal suo concepimento è quella condizione fondamentale dalla quale poi derivano tutti gli altri veri diritti che l'uomo rivendica per la sua sussistenza, quali il lavoro, la salute, ecc. Beni legati al bene stesso della società e non presunti beni associati alle proprie voglie. C'è invece oggi la grave tentazione di perseguire, legittimare, trasformare - imponendo - tutto ciò che l'egoismo ritiene un bene, diversamente da ciò che siamo chiamati invece a perseguire e che il vero Bene.

Così come è stato taciuto il Messaggio Pontificio di Papa Francesco ai Vescovi per la 47° Settimana sociale dei Cattolici, 11 settembre 2013,

nel quale dice:

" Anzitutto come Chiesa offriamo una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità. In questa realtà, inoltre, riconosciamo un bene per tutti, la prima società naturale, come recepito anche nella Costituzione della Repubblica Italiana. Infine, vogliamo riaffermare che la famiglia così intesa rimane il primo e principale soggetto costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo, e come tale merita di essere fattivamente sostenuta. Le conseguenze, positive o negative, delle scelte di carattere culturale, anzitutto, e politico riguardanti la famiglia toccano i diversi ambiti della vita di una società e di un Paese: dal problema demografico – che è grave per tutto il continente europeo e in modo particolare per l’Italia – alle altre questioni relative al lavoro e all’economia in generale, alla crescita dei figli, fino a quelle che riguardano la stessa visione antropologica che è alla base della nostra civiltà (cfr Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 44).

Queste riflessioni non interessano solamente i credenti ma tutte le persone di buona volontà, tutti coloro che hanno a cuore il bene comune del Paese, proprio come avviene per i problemi dell’ecologia ambientale, che può molto aiutare a comprendere quelli dell’"ecologia umana" (cfr Id, Discorso al Bundestag, Berlino, 22 settembre 2011). La famiglia è scuola privilegiata di generosità, di condivisione, di responsabilità, scuola che educa a superare una certa mentalità individualistica che si è fatta strada nelle nostre società. Sostenere e promuovere le famiglie, valorizzandone il ruolo fondamentale e centrale, è operare per uno sviluppo equo e solidale".

 

Diffidiamo pertanto di ciò che i Media riportano falsificando le parole del Papa e sollecitiamoci ad andare a leggere i testi ufficiali ed integralmente. Diffidiamo di coloro che, preti, vescovi o professori qual fossero, propongono distorsioni nell'interpretazione della Scrittura.

 

"Nos cum prole pia, benedicat  Virgo Maria"

(noi, con tutti i figli devoti, ci benedica la Vergine Maria)

 

***

 

 

 

Omosessualismo ieri ed oggi nella Scrittura e nel mondo

07.09.2013 11:41

 

Omosessualità oggi e nell'antichità e la Scrittura

 

Ci è giunta, fra le tante, una email interessante che useremo come articolo. Ringraziando la persona che ha contribuito così a questo approfondimento, assicuriamo anche di dare spazio ad altre email più interessanti (che stiamo valutando e rispondendo) e di santo contributo nel dibattito delle vicende quotidiane.

Messaggio:

Buonasera. Vorrei un vostro parere su un'argomentazione che usano molti sostenitori dell'omosessualità (anche cattolici):

ai tempi di San Paolo non si conosceva l'omosessualità come la conosciamo oggi. In termini più specifici, si sostiene che all'epoca l'omosessualità era vista come un comportamento deviante di maschi eterosessuali (arsenokoitai) che esercitavano una sorta di dominio su persone sottomesse, spesso giovanissimi (malakòi).

Non si aveva, in altre parole, la consapevolezza che l'omosessualità non è una perversione demoniaca o patologica, che l' omosessuale è semplicemente una persona che segue il suo naturale orientamento sessuale, ed è capace di rapporti affettivi sereni e duraturi al pari di un eterosessuale. A parere di queste persone, le Sacre Scritture non fanno testo quando condannano l'omosessualità perché sono frutto di una visione del fenomeno ormai superata e smentita dalle moderne evidenze psichiatriche e socio-antropologiche.

In altre parole, secondo loro, lo stesso San Paolo avrebbe avuto un opinione diversa sull'omosessualità se fosse vissuto oggi. E, in sostanza, il motivo per cui alcune chiese protestanti, come i Valdesi, hanno ritenuto ammissibile il matrimonio gay.

Comunque, sono certo che conoscete queste posizioni molto meglio di me, e volevo sapere come rispondete a queste argomentazioni e se conoscete qualche libro in cui questo problema viene affrontato in modo specifico, soprattutto dal punto di vista filologico. E un interrogativo che, da cattolico, mi turba non poco, perché mette in seria discussione un insegnamento bimillenario e secondo me rischia di compromettere la credibilità della Chiesa Cattolica come depositaria della Verità. Cordiali saluti  ........

 

*****

 

Sia lodato Gesù Cristo.

Risponde alla sua email lo Staff

Gentile Lettore, la ringraziamo sentitamente per la sua email e cercheremo di risponderle in modo semplice.

Partiamo da una premessa fondamentale.

La Sacra Scrittura è parola d Dio, non un testo scientifico bensì, possiamo dire, antropologico, di quell'umanesimo unico di cui Dio, incarnandosi e assumendolo in Sè nel prodigioso Concepimento, lo ha rigenerato riportandolo allo scopo originario della sua creazione dopo che il Peccato Originale ne aveva deturpato l'immagine e il percorso. Tutto ciò che non è conforme a questo scopo è definito, dalla Scrittura, peccato e a cominciare proprio dal Peccato Originale.

Noi siamo dunque fatti ad immagine del Dio Incarnato, la nostra umanità è stata così ricapitolata in Cristo, rigenerata, e perciò redenta e non ci risulta che Nostro Signore abbia vissuto per legittimare l'omosessualismo ed ogni altra deviazione antropologica.

Un accenno di queste deviazioni antropologiche per le quali, ad esempio, l'uomo separava ciò che Dio aveva unito per mezzo dell'unione sponsale fra l'uomo e la donna, lo troviamo in Matteo 19.

Gesù non lascia dubbi e specifica che a causa della durezza dei cuori Mosè fu costretto a prendere dei provvedimenti drastici, il ripudio della donna, ma specifica Gesù, al principio non fu così.

Gesù viene dunque per riportare le cose alla loro origine, viene a "portare a compimento" (Mt.5,17), viene  a ristabilire l'ordine che in questo specifico tema come in altri riassume quel  Sacramento del matrimonio attraverso il quale "l'uomo non osi separare ciò che Dio ha unito".

I discepoli avevano compreso bene la portata del compimento tanto da fare una battuta: "se le cose stanno così allora è meglio non sposarsi" - dicono - e Gesù, per nulla colpito da imbarazzo alcuno non risponde che avevano capito male, ma conclude portando come nuova scelta (ad una chiamata per operare nella vigna) il celibato per il regno dei cieli.

Nostro Signore comprende la difficoltà dell'argomento e per questo conclude "non tutti però lo comprendono, chi può capire, capisca".

Siamo perciò di fronte a ben due vocazioni di "matrimonio" che ha due Sacramenti ben definiti: il matrimonio, unione sponsale aperto alla vita fra l'uomo e la donna, collaboratori di Dio nel dare origine a nuove vite umane; e il celibato per il regno dei cieli (l'Ordine Sacro che infatti è stato rigettato dai protestanti), un matrimonio mistico, sponsale con la Chiesa che rende padri e madri spirituali come spiegherà più volte San Paolo.

Nella scelta dei candidati per l'episcopato, ha così ricordato Papa Francesco nel Discorso ai Rappresentanti Pontifici, i Nunzi apostolici del 21.6.2013:

"Voi conoscete la celebre espressione che indica un criterio fondamentale nella scelta di chi deve governare: si sanctus est oret pro nobis, si doctus est doceat nos, si prudens est regat nos - se è Santo preghi per noi, se è dotto ci insegni, se è prudente ci governi. .... E che siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra...."

Quindi la Sacra Scrittura non tratta certamente dell'omosessualità in quanto terzo sesso o a riguardo dei diritti i quali sono spesso soggettivi e partono comunque prima dalla realizzazione dei doveri, ma parte principalmente dalla creazione dell'uomo e della donna, del loro processo antropologico, del loro ruolo nel mondo, dello scopo della loro esistenza ed unione e del fine ultimo.

La Sacra Scrittura parte dai doveri dell'uomo e della donna in funzione della loro esistenza. Tutto ciò che si estranea da questo scopo, da questo ruolo, è trattato in termini di deviazione, futilità, vanità, decadenza, disordine, peccato.

 

Fatte queste premesse è assurdo pretendere di attribuire alla Scrittura, anche a riguardo dell'omosessualità, un riferimento "superato" dalle mode del momento.

La Sacra Scrittura infatti è intramontabile, non contiene errori e non si contraddice mai, non per nulla diciamo: è parola di Dio. Quindi la Parola di Dio non si contraddice e non viene mai superata da alcun ragionamento umano.

A tale riguardo ben ammonisce proprio l'apostolo Pietro nella sua seconda Lettera al cap. 3,15-16 quando mette in guardia da coloro che travisavano le Lettere di Paolo interpretandole a proprio piacimento: " In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina."

Quindi le Lettere di Paolo "al pari delle altre Scritture" necessitano dell'interpretazione ufficiale della Chiesa e il loro valore pedagogico, filosofico, antropologico, dottrinale, catechetico, dogmatico, sociale e culturale è per sempre, è valido ieri, oggi e sempre così come il Cristo, Verbo-Parola incarnata è ieri, oggi e sempre.

Spiegava infatti il Venerabile Pio XII ai Giuristi Cattolici:

"Per ciò che riguarda il campo religioso e morale, egli (il giurista cattolico) domanderà anche il giudizio della Chiesa.

Da parte della quale in tali questioni decisive, che toccano la vita internazionale, è competente in ultima istanza soltanto Colui a cui Cristo ha affidato la guida di tutta la Chiesa, il Romano Pontefice...."

Che cosa dice il Romano Pontefice a riguardo?

Il Documento che raccoglie tutto l'insegnamento della Chiesa in materia è questo:

"Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legali delle unioni tra persone omosessuali".

Come abbiamo accennato sopra il problema non è quello di trovare nella Scrittura Sacra l'argomento che parli dei diritti delle persone omosessuali: primo perché non vi troveremo affatto nulla che appoggi e sostenga i loro diritti pretestuosi in quel divenire "coppie sponsali";  secondo perché tutta la Scrittura è incentrata in quel frutto che scaturisce dall'unione fra un uomo e una donna.

Trattare l'argomento esclusivamente sulla sodomia rischia di far perdere il punto di vista autentico della Scrittura la quale non fa particolarismi fra ciò che è disordine e peccato, ma tutto tratta alla luce di ciò che vuole Dio da noi (Antico Testamento) e di ciò che Dio ci promette se assecondiamo il Suo Progetto (Nuovo Testamento).

Dice il Documento:

"L'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla complementarità dei sessi ripropone una verità evidenziata dalla retta ragione e riconosciuta come tale da tutte le grandi culture del mondo. Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone umane. Esso è stato fondato dal Creatore, con una sua natura, proprietà essenziali e finalità. Nessuna ideologia può cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste il matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite."

La forzatura pretestuosa di trarre dalla Scrittura elementi validi a legittimare "l'unione" tra persone di uguale sesso, è diabolica ed è perversione.

Questo non significa neppure legittimare l'uso della Scrittura per muovere guerra agli omosessuali!

La Scrittura dice già da sè stessa che laddove il progetto di Dio sull'uomo e sulla donna viene modificato da altre iniziative, è perversione, disordine, immoralità, peccato. Quanto alle singole persone coinvolte in questo dramma, la Chiesa agirà come fin dal primo secolo secondo la propria maternità che le è propria: ora agendo in modo severo, ora agendo in modo più misericordioso, ma avendo sempre avanti la verità che il rapporto tra persone dello stesso sesso non produce frutti, non è benedetto dalla Scrittura ed è disordine davanti alla creazione originale di Dio e quindi che ogni atto disordinato, non ordinato cioè dal progetto di Dio sull'uomo e sulla donna, è condannato senza alcun compromesso.

Chiariamo anche l'uso dei termini.

Dire "gay" per definire l'omosessuale è sbagliato, è una modalità che trae in inganno. Gay infatti non significa affatto "omosessuale" ma "allegro-gaio", significa appunto "felice di essere omosessuale", gaia fu definita anche la scienza in contrapposizione alla religione, è perciò diventato un sinonimo della fierezza di essere nell'errore.

Non esistono perciò i "diritti dell'allegro-gaio" se non prima aver imparato i doveri ai quali tutti, uomini e donne, siamo soggetti per il bene dell'umanità, per il futuro della società.

Potremo avanzare con un esempio pratico: potrebbe sopravvivere una città formata esclusivamente solo da uomini o da sole donne?

Ovvio che no! nel giro di un secolo, a dir bene, la città morirebbe perché non ci sarebbe la vita nascente.

Infatti vi è oggi la pretesa dell'adozione di figli altrui da parte di queste coppie che dimenticano, probabilmente, che essi stessi sono nati dal rapporto tra un uomo e una donna, mentre pretenderebbero oggi di imporre ai figli degli altri di crescere senza uno dei due genitori, senza la madre - nelle coppie solo maschili - e senza un padre - nelle coppie femminili - e il tutto definirlo "naturale, normale".

La società si fonda perciò sul rapporto tra un uomo e una donna, che ci sia poi convivenza fra persone dello stesso sesso rientra in quella dinamica che scaturisce dal rapporto normale, culturale, amicale fra le persone, ma che non può diventare per questo il fondamento "sponsale" della società essendo in sé sterile.

Dovere primario dell'uomo e della donna è dunque quella unione sponsale che porta al dono della vita, linfa vitale di ogni città e nazione.

Per questo l'Istituzione del nucleo familiare è uno di quei principi non negoziabili costituito da un uomo e una donna, cellula primaria della società.

E ancora, nel Documento sopra riportato leggiamo:

"A coloro che a partire da questa tolleranza vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall'approvazione o dalla legalizzazione del male."

Tornando alla Bibbia non è affatto ipotizzabile, dunque, che vi siano modi diversi di intendere l'omosessualità.

Il peccato della sodomia non era certamente circoscritto esclusivamente alla deviazione omosessuale perché la praticavano anche le coppie etero, per questo San Paolo non condanna mai l'omosessuale da solo e in quanto tale, ma condanna esplicitamente l'atto sodomitico a chiunque ne faceva uso, soprattutto usa il termine di "effeminato" che vale ieri quanto oggi nei confronti di un atteggiamento volutamente ambiguo della natura umana, sterile, e che conduce alla soddisfazione di un rapporto che non produce nulla.

C'è poi l'aspetto creativo:

"In primo luogo l'uomo, immagine di Dio, è stato creato «  maschio e femmina » (Gn 1, 27). L'uomo e la donna sono uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina. La sessualità da un lato fa parte della sfera biologica e, dall'altro, viene elevata nella creatura umana ad un nuovo livello, quello personale, dove corpo e spirito si uniscono.

Il matrimonio, poi, è istituito dal Creatore come forma di vita in cui si realizza quella comunione di persone che impegna l'esercizio della facoltà sessuale. « Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne » (Gn 2, 24)."

Nel Documento Persona Humana del 1975 sottoscritto da Paolo VI leggiamo:

"Certo, nell'azione pastorale, questi omosessuali devono essere accolti con comprensione e sostenuti nella speranza di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale. La loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun metodo pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una giustificazione morale. Secondo l'ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio.(14) Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione."

la Nota 14 riporta il testo paolino:

Rm 1,24-27: «Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in sé stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento». Cf. anche quello che Paolo dice a proposito degli uomini sodomiti e pervertiti in 1 Cor 6,10 e 1 Tm 1,10.

 

Le parole di San Paolo riferiscono invece proprio alla situazione del nostro tempo in cui la cultura detta omosessualista non solo è diventata recidiva ma sta imponendo attraverso l'ordinamento giuridico delle prese di posizioni inaccettabili che stanno frodando e ledendo il diritto dell'istituzione familiare composto da un uomo e una donna. Oggi più di ieri i veri cristiani devono opporsi alle leggi ingiuste di Cesare.

Il problema attuale è che non si tratta solo dell'imposizione da parte di Cesare, ma quanto il fatto che tale imposizione perviene purtroppo anche da ambienti che si dicono cristiani e cattolici i quali pretendono di sovvertire persino la Scrittura a loro vantaggio.

Non ci dilungheremo pertanto a riguardo degli strafalcioni che provengono da ambiente protestante, ci basta già preoccuparci di quanto si agita in casa nostra, accogliendo il famoso monito di Nostro Signore a riguardo della pagliuzza e della trave e del cieco che guida un altro cieco: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt'e due in una buca?...» (Lc.6,39-49).

E c'è anche una significativa Lettera della CdF per la cura delle persone omosessuali:

il termine "cura" prelude alla realtà che l'omosessualità non è mai definita una situazione normale nella stessa Scrittura.

Concludiamo questo approfondimento con le parole del medesimo Documento:

" 8. L'insegnamento della Chiesa di oggi è quindi in continuità organica con la visione della S. Scrittura e con la costante Tradizione. Anche se il mondo di oggi è da molti punti di vista veramente cambiato, la comunità cristiana è consapevole del legame profondo e duraturo che la unisce alle generazioni che l'hanno preceduta "nel segno della fede".

Tuttavia oggi un numero sempre più vasto di persone, anche all'interno della Chiesa, esercitano una fortissima pressione per portarla ad accettare la condizione omosessuale, come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali. Quelli che, all'interno della comunità di fede, spingono in questa direzione, hanno sovente stretti legami con coloro che agiscono al di fuori di essa. Ora questi gruppi esterni sono mossi da una visione opposta alla verità sulla persona umana, che ci è stata pienamente rivelata nel mistero di Cristo. Essi manifestano, anche se non in modo del tutto cosciente, un'ideologia materialistica, che nega la natura trascendente della persona umana, così come la vocazione soprannaturale di ogni individuo.

I ministri della Chiesa devono far in modo che le persone omosessuali affidate alle loro cure non siano fuorviate da queste opinioni, così profondamente opposte all'insegnamento della Chiesa. Tuttavia il rischio è grande e ci sono molti che cercano di creare confusione nei riguardi della posizione della Chiesa e di sfruttare questa confusione per i loro scopi.

9. Anche all'interno della Chiesa si è formata una tendenza, costituita da gruppi di pressione con diversi nomi e diversa ampiezza, che tenta di accreditarsi quale rappresentante di tutte le persone omosessuali che sono cattoliche. Di fatto i suoi seguaci sono per lo più persone che o ignorano l'insegnamento della Chiesa o cercano in qualche modo di sovvertirlo. Si tenta di raccogliere sotto l'egida del cattolicesimo persone omosessuali che non hanno alcuna intenzione di abbandonare il loro comportamento omosessuale. Una delle tattiche usate è quella di affermare, con toni di protesta, che qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, è semplicemente una forma di ingiusta discriminazione.

È pertanto in atto in alcune nazioni un vero e proprio tentativo di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi pastori, nello sforzo volto a cambiare le norme della legislazione civile. Il fine di tale azione è conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui l'omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona. Benché la pratica dell'omosessualità stia minacciando seriamente la vita e il benessere di un gran numero di persone, i fautori di questa tendenza non desistono dalla loro azione e rifiutano di prendere in considerazione le proporzioni del rischio, che vi è implicato. "

 

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Che cosa signifca tollerare e che cosa tollerare

04.09.2013 15:06

 

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Che cosa significa tollerare oggi

 

Il termine "tollerare", come diversi termini ad oggi, ha subito anch'esso una deviazione nel suo significato etimologico. Sembra quasi che tollerare sia diventato oggi un diritto, una legge attraverso la quale far passare piuttosto tutte le aberrazioni che, tollerate e tollerabili, non hanno affatto alcun diritto nell'imporsi.

Tollerare deriva da una radice indo-germanica: tal= portare, sollevare, pesare.... da thul-ian e dall' anglo-sassone tholian = sopportare; thul-ains= tolleranza; infine tàlanton= portare, peso, bilancia. Con l'affermarsi del termine si venne ad indicare così, dal latino "tolerare", il portare un peso, il su-portare (=sopportare).

Tollerare, quindi, significa sopportare e non certo "accettare", specialmente passivamente o persino attivamente, ogni forma di peccato. Nulla da spartire con alcun sincretismo etico, morale o religioso che fosse o si pretendesse.

Possiamo fare l'esempio della prostituzione che, essendo antica quanto il mondo e l'uomo stesso, è tollerabile dal momento che nessuno può imporre con la forza la corretta morale e tuttavia lo Stato stesso ha il dovere di educare la società ricordando, appunto, come la prostituzione non sia affatto una bella situazione per la donna che la vive e come dietro a questo mercato del corpo si nutre piuttosto la malavita organizzata, lo sfruttamento, la tratta dei nuovi schiavi e di una moderna schiavitù, per non parlare del riciclaggio del danaro proveniente dalla droga e da altri mercati immorali e dalla vendita stessa del proprio corpo. Se dunque della prostituzione è tollerare la persona che si prostituisce (cercando sempre di ricondurla sulla retta via), deve diventare intollerante lo Stato quando dietro a questo mercato s'impinguano i papponi e quant'altro. E per questo infatti ci sono le leggi che tentano di impedire il proliferare della prostituzione cercando di mantenerla a livelli, appunto detti, tollerabili.

Così un buon cristiano non può tollerare, mai, qualsiasi atto peccaminoso sotto la falsa mantella del "male minore", in questo senso parla tutto il Vangelo durante la descrizione della vita pubblica di Gesù e dei suoi Discepoli: nessun compromesso con il peccato, tolleranza zero.

Ma questa intolleranza non è mai rivolta contro le persone, quanto piuttosto contro gli atti immorali che sono ben delineati dai Dieci Comandamenti. Quindi la prima vera forma di intolleranza è verso se stessi. Nessuno che voglia dirsi discepolo del Cristo può agevolare ciò che nei suoi Comandamenti è condannato.

Ama il prossimo tuo come ami te stesso.

Quanto è stata strumentalizzata questa espressione!

Non è possibile amare correttamente il prossimo se tolleriamo in noi stessi il peccato. Per questo il vero Cristiano non è mai un moralista ma bensì un testimone. Vive, cioè, e testimonia con il proprio comportamento ciò che insegna la legge divina la quale non è un monopolio della Chiesa Cattolica o di una religione, piuttosto appartiene all'uomo stesso, ad ogni uomo di qualsiasi razza, cultura, lingua, nazione o continente e che nel Cristo trova il compimento, lo stile di vita che è "segno di contraddizione" nel mondo il quale, come ben sappiamo, gestito dal principe dei Demoni, marcia contro Dio.

Se le cose oggi vanno male la responsabilità primaria è di quanti, dicendosi "cattolici" vivono da peccatori contenti del proprio stato, oppure tolleranti verso il peccato pensando di fare un atto gradito a Dio e al prossimo dimenticando il monito ben descritto in Ezechiele:

- "Figlio d'uomo, io t'ho stabilito come sentinella (..) Se io dico all'empio: "Certamente morirai" e tu non l'avverti e non parli per avvertire l'empio di abbandonare la sua via malvagia perché salvi la sua vita, quell'empio morirà nella sua iniquità, ma del suo sangue domanderò conto a te. Ma se tu avverti l'empio, ed egli non si ritrae dalla sua empietà e dalla sua via malvagità, egli morirà nella sua iniquità, ma tu avrai salvato la tua anima. Se poi un giusto si ritrae dalla sua giustizia e commette iniquità, io gli metterò davanti un ostacolo ed egli morirà; poiché tu non l'hai avvertito egli morirà nel suo peccato, e le cose giuste da lui fatte non saranno più ricordate, ma del suo sangue domanderò conto alla tua mano. Se però tu avverti il giusto perché non pecchi e non pecca, egli certamente vivrà perché è stato avvertito, e tu avrai salvato la tua anima" (3,17).

Il Vangelo ci invita a “porgere l’altra guancia” è vero, accettando le ingiustizie fatte contro di noi quando tali ingiustizie coinvolgono unicamente la nostra persona, ma non invita mai a tollerare l'atto del peccare, anzi, è intollerante verso ogni forma di peccato. Non si porge mai l'altra guancia al peccato, semmai la si porge a quel peccatore che, incallito, recidivo e magari anche violento, ci colpisce perché condanniamo ciò che è peccato o perché divulghiamo e viviamo la Buona Novella. Diversamente, il Vangelo stesso, non avrebbe avuto ragione di spiegarci l'umiltà del porgere l'altra guancia, dell'essere perseguitati perché percorriamo la via stretta indicata e battuta dal Cristo stesso.

 

Siamo tutti peccatori! E tutti abbiamo bisogno di essere tollerati da Dio a causa dei nostri difetti duri a morire. Dio ci tollera quando cerchiamo di correggerci, ma non ci tollera più quando con superbia pretendiamo di rimanere tranquilli e beati nel peccato.

La differenza sostanziale tra noi peccatori è che nel nostro caso, se siamo veramente di Cristo, ci riconosciamo bisognosi della salvezza, dei Sacramenti, bisognosi di vivere da veri cristiani; nel secondo caso non vogliamo essere salvati, non ci interessa, preferiamo il mondo; e c'è anche un terzo caso in cui - noi peccatori - pretenderemo una salvezza pur continuando a rimanere peccatori, trattasi del famoso "bonismo" finendo per diventare poi anche moralisti, e sono quelli che difendono ad oltranza appunto la tolleranza verso ogni forma di peccato, magari convinti (in buona o fede o meno) che tollerando ogni cosa si finirà per essere perdonati senza aver fatto nulla contro il dilagare del peccato. Ma questo è ingannare se stessi prima e il prossimo come conseguenza.

 

" Vae, qui dicunt malum bonum et bonum malum, ponentes tenebras in lucem et lucem in tenebras, ponentes amarum in dulce et dulce in amarum!

Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro" (Isaia 5, 20).

La tolleranza, se ben praticata, mette in luce proprio queste differenze, mette in risalto la differenza fra il bene, che siamo chiamati a praticare e ad accogliere, e ciò che è male e che viene tollerato affinché possa essere corretto.

La tolleranza è proprio una forma di virtù evangelica della quale è Cristo stesso che ci ha dato l'esempio tollerando noi, l'umanità da salvare. Cristo Gesù è stato il vero esempio di autentica tolleranza e che, come rammenta San Paolo, ha condiviso tutto con noi e per noi, fuorché il peccato.

La tolleranza del Cristo è stata quella di farsi "trattare" da peccato affinché noi potevamo esserne liberati, ma proprio per non accettare il peccato Cristo finì sulla Croce. Essere davvero pacifici e tolleranti significa entrare per la porta stretta.

Quando rivediamo la scena del Pretorio fra Gesù e Barabba; fra la Verità e la menzogna, alla domanda di Pilato "chi volete che vi liberi?" noi facevamo una scelta drammatica, sceglievamo di liberare la menzogna e gridavamo che la Verità venisse crocefissa.

Qui la tolleranza di Dio toccò il culmine perché ci lasciò fare rispettando la nostra scelta, per questo Gesù dalla Croce potrà supplicare per noi: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno".

Muore Gesù non solo perché così doveva essere, ma perché così avremmo dovuto agire anche noi. Gesù ci ha dato l'esempio: la vera tolleranza è quella di finire crocifissi non per difendere ma per divulgare la Verità Risorta e vincitrice, per portare quella luce vittoriosa che altri vogliono continuare ad oscurare, così come esiste una forma di tolleranza che, per il Signore Gesù e per ogni credente, è come il tradimento. È ad esempio mantenere il silenzio quando il nome di Dio è bestemmiato e quando Gesù Cristo è disonorato, o quando si preferisce tacere la condanna del peccato: «Se questi taceranno, urleranno le pietre» (Lc. 19, 40).

Oggi, nel mondo contemporaneo, si è rafforzata una tolleranza attiva che spinge verso una convivenza democratica, in cui le regole sono ammesse ed estese anche all’altro, a volte anche imposte, per sfrondare il fatto che l’altro non è "un qualcuno da sopportare" ma un soggetto portatore di altri valori con cui interagire.

Benché ci sia del condivisibile in questo, e cioè che l'altro non deve essere "uno da sopportare" ma da accogliere e amare, deve essere anche ben chiaro che non si può pretendere la tolleranza laddove per "l'altro" si finisce per intendere l'adempimento dell'errore, il suo portare valori immorali ed inaccettabili quali le questioni etiche e morali o ciò che riconosciamo quali  principi indiscutibili come il diritto alla vita fin dal suo concepimento, la famiglia formata da un uomo e una donna, il diritto dell'uso dei termini "padre e madre", e quant'altro abbia attinenza con la verità sull'uomo.

 

Così scriveva il Venerabile Pio XII ai Giuristi Cattolici:

 

"... Può Dio, sebbene sarebbe a Lui possibile e facile di reprimere l'errore e la deviazione morale, in alcuni casi scegliere il « non impedire », senza venire in contraddizione con la Sua infinita perfezione?

Può darsi che in determinate circostanze Egli non dia agli uomini nessun mandato, non imponga nessun dovere, non dia perfino nessun diritto d'impedire e di reprimere ciò che è erroneo e falso?

Uno sguardo alla realtà dà una risposta affermativa.

Essa mostra che l'errore e il peccato si trovano nel mondo in ampia misura.

Iddio li riprova; eppure li lascia esistere.

Quindi l'affermazione : Il traviamento religioso e morale deve essere sempre impedito, quando è possibile, perché la sua tolleranza è in sé stessa immorale — non può valere nella sua incondizionata assolutezza.

D'altra parte, Dio non ha dato nemmeno all'autorità umana un siffatto precetto assoluto e universale, nè nel campo della fede nè in quello della morale.

Non conoscono un tale precetto nè la comune convinzione degli uomini, nè la coscienza cristiana, nè le fonti della rivelazione, nè la prassi della Chiesa. Per omettere qui altri testi della Sacra Scrittura che si riferiscono a questo argomento, Cristo nella parabola della zizzania diede il seguente ammonimento : Lasciate che nel campo del mondo la zizzania cresca insieme al buon seme a causa del frumento (cfr. Matth. 13, 24-30).

Il dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può quindi essere una ultima norma di azione.

Esso deve essere subordinato a più alte e più generali norme, le quali in alcune circostanze permettono, ed anzi fanno forse apparire come il partito migliore il non impedire l'errore, per promuovere un bene maggiore.

Con questo sono chiariti i due principi, dai quali bisogna ricavare nei casi concreti la risposta alla gravissima questione circa l'atteggiamento del giurista, dell'uomo politico e dello Stato sovrano cattolico riguardo ad una formula di tolleranza religiosa e morale del contenuto sopra indicato, da prendersi in considerazione per la Comunità degli Stati.

Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto nè all'esistenza, nè alla propaganda, nè all'azione.

Secondo : il non impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato nell'interesse di un bene superiore e più vasto.

Se poi questa condizione si verifichi nel caso concreto — è la « quaestio facti » —, deve giudicare innanzi tutto lo stesso Statista cattolico. Egli nella sua decisione si lascerà guidare dalle conseguenze dannose, che sorgono dalla tolleranza, paragonate con quelle che mediante l'accettazione della formula di tolleranza verranno risparmiate alla Comunità degli Stati; quindi, dal bene che secondo una saggia prognosi ne potrà derivare alla Comunità medesima come tale, e indirettamente allo Stato che ne è membro.

Per ciò che riguarda il campo religioso e morale, egli domanderà anche il giudizio della Chiesa.

Da parte della quale in tali questioni decisive, che toccano la vita internazionale, è competente in ultima istanza soltanto Colui a cui Cristo ha affidato la guida di tutta la Chiesa, il Romano Pontefice...."

(Pio XII Ai Giuristi Cattolici italiani 6.12.1953)

 

 

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Amare la Santa Chiesa

02.08.2013 20:58

 

Con questo messaggio, auguriamo a tutti una buona Solennità dell'Assunzione di Maria Santissima al Cielo. Confidando in Lei "debellatrice d'ogni eresia" riprenderemo la pubblicazione degli articoli a settembre. Ad maiorem Dei gloriam

UDIENZA GENERALE di Paolo VI  13 ottobre 1965
Amare la Santa Chiesa!
Diletti Figli e Figlie!

Amate la Chiesa! questa sarà la parola che consegniamo al ricordo di questa udienza. Amate la Chiesa! Quale altra raccomandazione vi può fare il Papa, quando Egli è tanto lieto di accogliervi come membri della santa Chiesa, e quando Egli si compiace di ammirare nell’assemblea, che voi qui accolti componete, una figura, anzi una porzione della grande assemblea dei fedeli di tutto il mondo, che compongono la Chiesa stessa?

Amate la Santa Chiesa, perché l’ha amata Gesù Cristo, il suo fondatore, che non solo l’ha ideata, iniziata, istruita, educata, arricchita del tesoro inestimabile della sua Parola e dei suoi carismi di grazia e di vita spirituale, ma ha dato la sua vita, il suo sangue per lei, per lei è morto e per lei è risorto, assorbendo in Sé, agnello innocente, le pene, le miserie, le sofferenze, le aspirazioni dell’umanità, e celebrando in Sé la redenzione, che Egli a tutti offre e comunica, a tutti quelli cioè che, accettandola nella fede e nella partecipazione sacramentale, diventano a Lui conformi, anzi suo corpo mistico, sua Chiesa.

Tanto ha amato Cristo la Chiesa da farla rappresentare, nella celebre similitudine di San Paolo (Eph. 5, 25), come sua Sposa, e da indicare l’amore intercorso fra Lui, Cristo, e la Chiesa come il paradigma più alto e più pieno dell’amore, dal quale deve attingere esempio e santità perfino l’amore coniugale.

Amate la Chiesa, Figli carissimi, in quest’ora specialissima della sua storia e della sua vita; l’ora del Concilio; un Concilio, che appunto ha avuto la Chiesa come oggetto principale delle sue discussioni e dei suoi decreti.

Amate la Chiesa, oltre tutto, perché essa è diventata tema d’interesse dell’opinione pubblica, la quale osserva, studia, discute persone, avvenimenti,, problemi riguardanti la Chiesa, come forse non è mai capitato; e perché nell’interno stesso della Chiesa un risveglio s’è prodotto, un fermento, un’inquietudine, una speranza, che tutta la agitano e la scuotono, che le fanno approfondire la coscienza di se stessa, in una incalzante serie di interrogativi interiori, e la spingono a sognare, anzi a tentare espressioni pratiche ed esteriori nuove e originali, in una ricerca di autenticità rigorosa e testuale per alcuni, di conformità al costume storico presente per altri.

Amate la Chiesa. Ma a questo punto dobbiamo completare la Nostra esortazione con un rilievo. Questo fervore di rinnovamento deve essere, innanzi tutto, osservato nella linea dinamica delle sue tendenze e delle sue finalità; e l’osservazione ci presenta, semplificando, due linee correnti in direzioni diverse, talora opposte: una, possiamo dire, centrifuga, l’altra centripeta; una eccitata piuttosto dalla considerazione delle realtà terrene, alimentata dal desiderio di capire il mondo contemporaneo, di esaltare i suoi valori e servire i suoi bisogni, di accettare i suoi modi di sentire, di parlare, di vivere, di estrarre dall’esperienza della vita una teologia umana e terrestre e di dare al cristianesimo espressioni nuove, aderenti, non tanto alle tradizioni sue proprie, quanto all’indole della mentalità moderna; e sta bene;
ma per arrivare a tali risultati questa linea instaura sovente una critica, spesso inizialmente giusta, su manchevolezze, stanchezze, difetti, arcaismi del mondo cattolico, ma poi spesso critica abituale, radicale e superficiale ad un tempo, insofferente della consuetudine e della norma ecclesiastica, incapace alla fine di capire il mistero dell’obbedienza e della carità interiore che collegano e santificano la comunità ecclesiale, per terminare in raffinate espressioni soggettive, spirituali o culturali, che piuttosto disperdono e inaridiscono magnifiche energie, senza potere, né volere più impiegarle umilmente e positivamente nel grande, lento, e coordinato sforzo di costruire la Chiesa.

Vi è un’altra linea, un altro metodo d’interesse per il rinnovamento della Chiesa, quello che mira non al distacco o all’allontanamento dalla sua strutturazione organica, concreta e unitaria, ma al suo avvicinamento all’accrescimento della sua vitalità, cioè della sua santità e della sua capacità di rendere vivo e attuale il Vangelo. Questo è il metodo dell’instancabile riforma, di cui parla la Costituzione conciliare sulla Chiesa, affinché essa seipsam renovare non desinat, non dia mai tregua al suo rinnovamento (c. 2, n. 9).
È il metodo che parte dalla considerazione delle verità rivelate, dei valori propriamente religiosi, della fecondità indeficiente delle dottrine tradizionali, e che si alimenta del godimento di questa continua scoperta, in modo tale che trabocca in un bisogno apostolico e missionario, e trova in sé per il mondo circostante una duplice e complementare capacità: quella di conservarsi libero e puro dalle sue facili contaminazioni, e quella di mettersi al suo fianco, anzi di inserirsi nella sua aggrovigliata compagine, come un olio benefico, come un fermento vitale, come un messaggio di letizia, di bontà, di speranza, che non solo non lo guasta, ma lo corrobora e lo innalza a più alto significato umano, cioè religioso e cristiano.

Noi comprenderemo e ammetteremo la bontà, che si trova anche nel primo metodo di interessamento alla vita della Chiesa, ma non senza che la bontà del secondo lo integri e lo preceda; e a questo conserveremo di preferenza il nome di amore. Di quell’amore alla Chiesa, che ora a voi raccomandiamo e con la Nostra benedizione incoraggiamo.

 

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4 papi al prezzo di 1 prendi 4 e paghi uno

01.08.2013 00:03

 

 

4 papi al prezzo di 1 prendi 4 e paghi uno

 

Premessa

L'articolo che segue è volutamente ironico ma non irriverente, non vuole far ridere, ma riflettere. Noi crediamo che tutti i Pontefici, specialmente dal già beato Pio IX e ai giorni nostri, siano davvero tutti "speciali", tutti hanno sofferto dure persecuzioni e sono stati fatti oggetto di scherno, vituperio ed anche oggetto di strumentalizzazioni ideologiche e del politicamente corretto e riteniamo Benedetto XVI un vero e grande Dottore della Chiesa.

Tuttavia altra cosa è la Canonizzazione.

Ci permettiamo di rimandare a questo link per comprendere il dramma di una riforma delle canonizzazioni di cui non ne avevamo affatto bisogno, anzi, come venivano fatte prima ci andava benone perché mai come ad oggi le canonizzazioni hanno suscitato tanta divisione e soprattutto contestazione, per non parlare dei dubbi.

Noi eviteremo le contestazioni non perché non ci sarebbero i motivi, ma perché sono fuori luogo ed inutili in questo o altri contesti.

Sappiamo bene di essere "voce di uno che grida nel deserto" e che nessun Vescovo, Cardinale o persino Papa ascolterà mai davvero la voce degli ultimi.

Vogliamo però dire la nostra per aiutare, chi la vuole capire, che quando la Beata Emmerich parla di una chiesa nella Chiesa, non dice il falso, e non saremo certo noi ad essere quest'altra chiesa solo perché non approviamo un metodo alquanto sbrigativo di fare oggi certe canonizzazioni e soprattutto, guarda il caso, tutte mirate alla concilio-mania....

L'irriverenza è quando si vitupera un Pontefice dicendo di lui delle falsità, o lo si prende in giro per il suo stile o se porta qualche difetto fisico sul quale si ci accanisce, quindi i vari idolatri della figura del Pontefice, della quale ne hanno fatto un idolo, una icona al posto di Cristo e della Chiesa stessa, sono avvisati ed invitati a leggere il seguente articolo con serenità e senza partigianeria, senza pregiudizi, ma restando ai fatti.

 

"... Ha sacrificato tradizioni di secoli..."

Chi? e per quale motivo?

Sfidiamo chiunque a riconoscere chi ha pronunciato queste parole, molti diranno "figurati, è un tradizionalista contro il Papa", no, ci spiace deludervi ma sono parole di Paolo VI riconoscendo "un sacrificio", quasi costretto a fare, in favore del popolo.

Tito Casini nella sua La Tunica stracciata, nonostante abbia fatto la bella profezia del ritorno della Messa di sempre, traccia un profilo drammatico sugli eventi che sta personalmente e comunitariamente vivendo in quegli anni e scrive:

"E ancora, ancora e più conscio (Paolo VI) della gravità di ciò che diceva: «È un sacrificio che la Chiesa ha compiuto della propria lingua, il latino; lingua sacra, grave, bella, estremamente espressiva ed elegante. Ha sacrificato tradizioni di secoli e soprattutto sacrifica l'unità di linguaggio nei vari popoli, in omaggio a questa maggiore universalità, per arrivare a tutti. ...» (1)

- e continua - Così aveva parlato e scritto il devoto suo antecessore Giovanni, dimenticando la sua nota mitezza per percuotere con le più dure parole e minacce chi avesse parlato o scritto, o lasciato, da Superiore o da Vescovo, che si dicesse o scrivesse in contrario, «contra linguam Latinam in sacris habendis ritibus»; così il suo ascetico predecessore, Pio XII; così il forte Pio XI; così tutti i sommi Pontefici - nel loro cognome di «romani» - con ragioni e sanzioni come quelle che la Veterum Sapientia confermava poc'anzi nel nome stesso della civiltà universale.

Tutti, fino a lui, e d'essere stato lui a spezzar la catena, a chiuder la tradizione, a privar la Chiesa di quella sua «propria lingua», pareva non essere interamente tranquillo, come di un cambiamento che i fatti avrebbero potuto giustificare o condannare: «Questo per voi, fedeli... e se saprete davvero...» (2)

E' lo stesso Paolo VI a spiegare le ragioni nel medesimo Angelus: " La Chiesa ha ritenuto doveroso questo provvedimento - il Concilio lo ha suggerito e deliberato - e questo per rendere intelligibile e far capire la sua preghiera. Il bene del popolo esige questa premura..."

Allora qui i conti non tornano perché a riguardo della lingua, per quanto sacrificata, è lo stesso Benedetto XVI che smentisce Paolo VI attraverso la Sacramentum Caritatis quando dice chiaramente, a riguardo delle Celebrazioni universali come quelle del Pontefice, dei Vescovi nelle loro cattedre o anche nelle Gmg:

" Quanto affermato non deve, tuttavia, mettere in ombra il valore di queste grandi liturgie. Penso in questo momento, in particolare, alle celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, oggi sempre più frequenti. Esse devono essere giustamente valorizzate. Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa, vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei Vescovi, in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II:  eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia".(3)

Sappiamo bene che neppure Papa Francesco si è attenuto a queste raccomandazioni (alla sua prima Gmg in Brasile ha usato il latino solo una volta per l'ultimo Angelus, per non parlare dei canti, degni di una macumba caraibica con vescovi ridicoli che ballavano e si agitavano come oche starnazzanti, avete presente il ballo del qua, qua?), norme che non  rispettava prima figuriamoci oggi da Pontefice, per questo preferiamo un pò ironizzare, facendo emergere queste contraddizioni, piuttosto che fare un articolo di contestazione che tanto nessuno ti ascolta lo stesso.

 

E qui ci fermiamo.

Per comprendere meglio dobbiamo ora leggere alcuni passi dall'intervista tenuta dal Pontefice di  ritorno dal Brasile, sull'aereo:

Parte la domanda: lei canonizzerà due grandi Papi: Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Vorrei sapere qual è - secondo lei - il modello di santità che emerge dall’uno e dall’altro e qual è l’impatto che hanno avuto nella Chiesa e in lei.

 

Risponde Papa Francesco:

"Giovanni XXIII è un po’ la figura del “prete di campagna”, il prete che ama ognuno dei fedeli, che sa curare i fedeli e questo lo ha fatto da vescovo, come nunzio. Ma quante testimonianze di Battesimo false ha fatto in Turchia in favore degli ebrei! E’ un coraggioso, un prete di campagna buono, con un senso dell’umorismo tanto grande, tanto grande, e una grande santità. (..)

Poi quello del Concilio: è un uomo docile alla voce di Dio, perché quello gli è venuto dallo Spirito Santo, gli è venuto e lui è stato docile. Pio XII pensava di farlo, ma le circostanze non erano mature per farlo. Credo che questo [Giovanni XXIII] non abbia pensato alle circostanze: lui ha sentito quello e lo ha fatto. Un uomo che si lasciava guidare dal Signore". (4)

Fermiamoci un momento.

Quindi per essere canonizzati oggi basta dare false testimonianze per salvare qualcuno; avere senso dell'umorismo e naturalmente avere aperto un Concilio. Se non conoscessimo certa umiltà di Papa Francesco, nel senso che sappiamo che quando parla crede davvero quello che dice ed è onesto nel pensarlo, noi che siamo "brutti, sporchi e cattivi" e per nulla umili oseremo dire che Pio XII si è giocato la canonizzazione per averlo solo pensato il Concilio, ma non ebbe poi il coraggio di farlo: Giovanni XXIII non ha pensato alle circostanze, sottolinea Francesco, Pio XII si. Il primo si è lasciato guidare dalle circostanze e quindi ha tentennato (anche se prima ammette che queste non erano mature) e non ha aperto il Concilio, il secondo Giovanni XXIII si è lasciato invece guidare dal Signore e quindi va canonizzato! Perché non dire invece la delusione che animò gli ultimi giorni il Pontefice a causa dell'andazzo che aveva preso il Concio e che voleva fosse chiuso al più presto? Perché non dire allora della Messa che aveva già riformato e per la quale non v'era alcuna necessità di creare una nuova liturgia come fa trasparire Paolo VI che parla di "costrizione"? Una Messa che Paolo VI invece vietò! Come si fa a canonizzare e beatificare Papi senza chiarire le mille contraddizioni che li circondano?

 

Vi è da aggiungere che, primo caso nella storia, Papa Francesco che non ama essere chiamato Sommo Pontefice e non si firma tale, ama però usare il potere temporale tanto da dichiarare questa Canonizzazione senza la necessità di alcun miracolo, insomma sì, di diritto pontificio. A noi questo va pure bene, senza alcun dubbio il Papa può farlo, ma perché allora non usare lo stesso metodo per Leone XIII o per lo stesso Pio XII? Che sia ben chiaro, qui abbiamo una bella età e abbiamo conosciuto Giovanni XXIII, un Pontefice davvero "santo", ciò su cui vogliamo ironizzare sono i metodi assunti dalla "nuova Chiesa moderna" dato che neppure il Concilio ha mai parlato di modificare i processi di canonizzazione, questo è avvenuto dopo.

Sono le motivazioni che non convincono, di questo passo nel 2017 si potrà beatificare Lutero senza neppure attendere la conversione alla Chiesa da parte dei suoi discepoli, e a quando una bella beatificazione di un Patriarca ortodosso? Atenagora, per esempio, perché non beatificarlo, non è forse lui che ha tolto le scomuniche alla Chiesa Romana? Si offenderebbe forse la Chiesa di Bartolomeo o di Kirill? E perchè non beatificare Martin Luther King o Ghandi, in fondo è stato ucciso ed era un non violento, si è lasciato uccidere in nome della pace, terrena.

 

La domanda conteneva delle richieste: il modello di santità che emerge tra i due neo candidati e l'impatto che hanno avuto nella Chiesa e nel Papa stesso.

Fino a qui ci pare una risposta del tutto personale di Francesco, poco utile davanti ad un serio processo di Canonizzazione di vecchio stampo, forse erano troppo severi, ma quelli che uscivano fuori da lì, erano a prova di dubbio e non dividevano la Chiesa. Quindi di fatto il Papa non risponde direttamente alle domande, ma ci gira attorno.

 

Veniamo al seguito della risposta:

"Di Giovanni Paolo II mi viene di dire “il grande missionario della Chiesa”: è un missionario, è un missionario, un uomo che ha portato il Vangelo dappertutto, voi lo sapete meglio di me. Ma Lei quanti viaggi ha fatto? Ma andava! Sentiva questo fuoco di portare avanti la Parola del Signore. E’ un Paolo, è un San Paolo, è un uomo così; questo per me è grande".

 

Qui finisce la risposta del Papa. Una canonizzazione impostata su quanti viaggi vengono fatti? Se questo è il nuovo criterio, tutti i Papi Santi del passato andrebbero degradati all'istante! Altra motivazione: "è stato un missionario". Su questo non ci piove, ma quanti altri missionari ci sono nella Chiesa e di Papi che senza muoversi (perché i tempi non erano maturi) hanno viaggiato attraverso il loro mirabile Magistero? Leone XIII non è mai andato a Pompei eppure con Bartolo Longo - beatificato - quell'opera l'ha tirata su lui accompagnandola con ben 35 scritti sul Rosario e sovvenzionando le opere di carità. Ma non sarà che la scusa dei "tempi non maturi" si fa una sorta di prendi 4 e paghi 1 e tutti felici e contenti?

 

Continua infatti Papa Francesco nell'intervista:

"E fare la cerimonia di canonizzazione tutti e due insieme credo che sia un messaggio alla Chiesa: questi due sono bravi, sono bravi, sono due bravi. Ma c’è in corso la causa di Paolo VI ed anche di Papa Luciani: queste due sono in corso. Ma, ancora una cosa che credo che io ho detto, ma non so se qui o da un’altra parte: la data di canonizzazione. Si pensava l’8 dicembre di quest’anno, ma c’è un problema grosso; quelli che vengono dalla Polonia, i poveri, perché quelli che hanno i mezzi possono venire con l’aereo, ma quelli che vengono, i poveri, vengono in bus e già a dicembre le strade hanno il ghiaccio e credo che si debba ripensare la data.

Io ho parlato con il cardinal Dziwisz e lui mi ha suggerito due possibilità: o Cristo Re di quest’anno, o la Domenica della Misericordia del prossimo anno. Credo che sia poco tempo Cristo Re di quest’anno, perché il Concistoro sarà il 30 settembre e a fine d’ottobre c’è poco tempo, ma non so, devo parlare con il cardinal Amato su questo. Ma credo che l’8 dicembre non sarà".

 

Sono bravi, tre hip hurrà, il massimo della nuova infallibilità papale! Mentre Pio XII non era tanto bravo eh! Lui ha tentennato, non ha osato, avrebbe dovuto far maturare i tempi con il suo potere.

Ma qui c'è poco da ironizzare. Santità il Calendario Liturgico della Riforma del Concilio modificò, appunto, tutte le Feste togliendo le Feste mariane che cadevano di Domenica per non "oscurare" il senso pasquale della Domenica; sono state abolite tutte le Feste Liturgiche, quelle poche che sono rimaste perché oscurarle con delle Canonizzazioni? L'8 Dicembre è la Festa di Maria Immacolata, cade una volta sola all'anno, perché privare i fedeli di questa Liturgia e non lasciare le Canonizzazione in altra occasione? Non dubitiamo della buona fede e della solita solfa: "eh ma quale giorno migliore dedicato a Maria per sottolineare la grandezza dei suoi figli? Maria non si offende, è felice!" Non lo mettiamo in dubbio, non parliamo di "lesa maestà" o di offesa a Maria, ma semplicemente di inopportunità, che avendo una sola occasione all'anno per festeggiare degnamente Maria, quel giorno perderebbe il senso mariano per la mediaticità tutta concentrata sui candidati canonizzati. Allora perché non usare il 25 gennaio, festa della conversione di San Paolo? Eh ma quello è un incontro con i fratelli separati, non si può mica offenderli con delle canonizzazioni! Ma poi, noi gli ultimi del gregge non contiamo nulla, al Papa non si danno consigli.

 

Eppure Francesco sempre sull'aereo nell'intervista ha detto:

" Per esempio, a me piace quando una persona mi dice: “Io non sono d’accordo”, e questo l’ho trovato. “Ma questo non lo vedo, non sono d’accordo: io lo dico, Lei faccia”. Questo è un vero collaboratore. E questo l’ho trovato, in Curia. E questo è buono. Ma quando ci sono quelli che dicono: “Ah, che bello, che bello, che bello”, e poi dicono il contrario dall’altra parte… Ancora non me ne sono accorto"

Quindi, anche se poi è Francesco stesso a dire che alla fine si fa come dice lui, possiamo dire con serenità: "Santo Padre, non siamo d'accordo", saremmo anche felici di poterle spiegare le motivazioni, ma ci accontentiamo del suo consiglio, mai parlare di lei alle spalle, siamo contro certo "potere clericale" come lei stesso ha denunciato in Brasile.

Chi è questo Papa del quale diciamo "4 al prezzo di 1, prendi 4 e paghi 1"?

Naturalmente ci riferiamo al grande San Pio X.

Santità, abbiamo come il dubbio e il sospetto che le vere motivazioni per cui si parte con due e a breve con 4 Papi di fila beati e Santi, vogliono stranamente in qualche modo canonizzare il Concilio Vaticano II e dare testimonianza che i Santi del passato appartengono al loro passato e che non hanno più nulla da spartire con la Chiesa di oggi, a cominciare così dall'ultimo Papa ad oggi canonizzato con un processo vero, severo come si facevano una volta, San Pio X il quale ha avuto in sorte (provvidenziale o colpa? Dio solo lo sa) di essere stato scelto da mons. Lefebvre per aprire il suo primo Seminario antimodernista. Diciamo la  verità, perché i dubbi e il dubitare non è peccato dopo che un Papa ci ha detto pure che " a me piace quando una persona mi dice: “Io non sono d’accordo”, i dubbi vengono e sono tanti e non troppo distanti dalla realtà dei fatti: Messe nella forma straordinaria vietate; Francescani dell'Immacolata commissariati; abolito il latino nelle Messe del Pontefice; sacerdoti che ballano durante la messa o che fanno della messa il loro teatro restano al loro posto, un don Gallo abortista che ha portato delle prostitute ad abortire e favorevole alle unioni gay viene beatificato con un funerale da principe (non ha detto lei che i principi non gli piacciono?), mentre un frate che dice Messa antica viene bandito e crocefisso, e l'elenco è lungo, ma abbiamo promesso di non fare polemiche, questi sono solo accenni a dei fatti concreti, come quello di osannare un movimento laicale salvo poi augurarsi la morte di qualche monastero o di qualche Ordine religioso perché "troppo antico".

Volevamo ironizzare sulla scelta di 4 Papa di fila solo perché "Papi del Concilio Vaticano II" al prezzo di uno, dell'ultimo vero Papa Santo se non altro per la severità e la serietà del processo e dei miracoli richiesti, prove schiaccianti che nessuno può mettere in dubbio, ma non siamo riusciti perché alla fine non c'è nulla da ridere e non vogliamo né essere ipocriti e neppure irriverenti, una Canonizzazione impegna il Pontefice nella sua infallibilità e chi vorrà continuare ad essere cattolico dovrà subire in silenzio.

Forse ora comprendiamo anche il silenzio della Chiesa sulla legge contro l'omofobia, in fondo il Papa l'ha detto chiaramente sempre nell'intervista:

Papa Francesco: "La Chiesa si è già espressa perfettamente su questo. Non era necessario tornarci, come non ho parlato neppure della frode, della menzogna o di altre cose sulle quali la Chiesa ha una dottrina chiara!

 

Patricia Zorzan: Ma è un argomento che interessa ai giovani…

 

Papa Francesco: Sì, ma non era necessario parlare di questo, bensì delle cose positive che aprono il cammino ai ragazzi. Non è vero? Inoltre, i giovani sanno perfettamente qual è la posizione della Chiesa!

 

Patricia Zorzan:Qual è la posizione di Vostra Santità, ce ne può parlare?

 

Papa Francesco:Quella della Chiesa. Sono figlio della Chiesa!

 

Bisogna perciò parlare solo delle cose positive, il resto è superfluo (anche se siamo grati al Papa per aver detto chiaramente quale sia il suo pensiero, ora ci auguriamo solo che la Chiesa "non cambi" su queste dottrine, perché in questo senso siamo anche noi, gli ultimi, figli della Chiesa bimillenaria), e quale evento migliore di due canonizzazioni per descrivere una Chiesa felice, paradisiaca ed in festa nonostante tutto? Ma non era meglio canonizzare un pò di cattolici massacrati da anni in Africa in Pakistan, in India, in Siria, in Libano, e via altrove? Ah! ma che incoscienti, questa è politica scorretta! Meglio tacere!

Santità, ci creda, questo articolo non è contro di Lei, noi stiamo sempre con il Papa, ci sopporti perché crediamo davvero nella sua buona fede e nella sua bontà, ci conceda di chiudere con due battute o aneddoti se preferisce che prendiamo proprio dal sito ufficiale dei gesuiti in Italia (attualmente in rifacimento), confidando così più nella tradizionale misericordiosa ironia dei Gesuiti che non del loro pericoloso, ed altrettanto tradizionale, governare.

 

La prima:

D. Che cosa fanno dieci gesuiti attorno a un tavolo?

R. Quindici opinioni differenti.

 

La seconda:

Betlemme anno zero. Tutti gli ordini vanno ad adorare il Bambino.

- Iniziano i francescani: "Che meravigliosa povertà! Senza alcun dubbio questo Bambino sarà il re dei poveri!"

- Poi i domenicani: "Questo Bambino è davvero il Verbo incarnato. Non c'è dubbio, sarà il re dei predicatori!"

- Poi i salesiani: "Questo Bambino è la Sapienza di Dio. Diventerà il re degli educatori!"

- Poi i benedettini: "Gli angeli cantano per Lui la lode perenne di Dio con Inni celestiali. Non c'è dubbio, sarà il re dei liturgisti!"

- Arrivano i gesuiti: in due, come prescritto dalle regole.

Il primo dice: "Mmmah, questo Bambino sembra intelligente. Con una buona raccomandazione potrebbe entrare in uno dei nostri collegi..."

E l'altro di rimando: "Ma non hai sentito cos'hanno detto gli altri?

. I suoi sono poveri, non potranno mai permetterselo...

. E' un Bambino loquace, non tacerà...

. Prenderà il posto dei nostri educatori....

. Dirigerà Lui la Liturgia... datemi retta, non raccomandiamolo e lasciamo che si compia il Suo destino....!"

 

***

 

Note

 

1 - La Tunica stracciata di Tito Casini

2 - Angelus di Paolo VI 7 marzo 1965

3 - Sacramentum Caritatis Benedetto XVI n.63

4 - Conferenza Stampa Papa Francesco e giornalisti

 

 

 

Il dramma del femminismo e la soppressione della paternità

31.07.2013 16:08

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Il dramma del femminismo e la soppressione della paternità

 

Il titolo dovrebbe comprendere, per la verità, anche un altro "ismo" il maschilismo, la misoginia, a causa della quale l'esasperazione della donna è esplosa in ciò che definiamo "femminismo", ma poiché questa implosione all'interno della Famiglia ha provocato a sua volta l'esasperazione maschile, vogliamo analizzare più da vicino tal fenomeno e chiedere alle Donne la vera compassione, che non è un mero pietismo, ma come il termine etimologicamente dice: prendere con-passione la sua specifica missione nell'essere "femmina-donna" e re-imparare a conoscere davvero l'uomo che non è affatto un suo concorrente come il mondo del lavoro ne ha tragicamente racchiuso il ruolo finendo, alla fine, per perdere entrambi.

Non ci sono infatti vincitori, tutti abbiamo perduto su questo terreno ideologico e a farne le spese sono i Figli, le generazioni future, la Famiglia, il futuro della società.

 

Diciamoci la verità, oggi c'è una grave ostilità nei confronti della figura del "Padre", è come se la donna con quel famoso grido diabolico "l'utero è mio e lo gestisco io" avesse voluto rivendicare a sé anche la figura della paternità.

L'utero sarà pure suo, ma non il contenuto concepito!

La maternità di cui tanto oggi si parla specialmente in ambito ecclesiale (la Chiesa è Madre) non può fare a meno della paternità che in tal caso gli deriva da Dio, il quale ha delegato l'uomo, il maschio, a tal compito, non si scappa. Senza l'uomo la donna non ha alcuna maternità da rivendicare, così è anche per la Chiesa che certamente è Madre ma perché ha un Padre che mediante l'azione dello Spirito Santo e l'avvocatura del Figlio Divino che si è fatto crocifiggere per riscattare la nostra stessa dignità umana e offrirci quella divina, Salvatore dell'uomo, il nuovo Adamo, può generare nuovi figli mediante il Battesimo.

Così come la stessa paternità non potrebbe fare a meno della maternità infatti, anche se Dio essendo Onnipotente non aveva certo bisogno di noi, è proprio il Suo essere Amore allo stato puro ed unico, anzi, Colui che genera l'Amore, ad aver stabilito questa necessità nel progetto di salvezza, rigenerazione dell'uomo dopo il Peccato Originale, e dunque eccolo che mentre non ha bisogno di nulla e di nessuno, decide fin dall'eternità di "farsi uomo", mandando il proprio Figlio "nato da donna", chiede il consenso di una Vergine, attende il suo "fiat" per dare inizio al compimento dell'Amore diventando "Padre" a tutti gli effetti, generando la Chiesa Madre e Sposa, modello femminile per eccellenza e quindi Gesù Signore, quale Sposo modello.

Oggi assistiamo invece ad una sorta di "civiltà della madre" a discapito della paternità la quale sarebbe obsoleta, una sorta di residuato bellico da reprimere, come vorrebbe un certo ordine mondiale. Non è un caso infatti se oggi assistiamo ad un fenomeno diventato perversamente culturale nel quale i maschi vengono cresciuti "simmetricamente alle femmine" e le stesse femmine simmetricamente ai maschi con l'aggravante di una parità imposta ma dove, sopravvivendo la maternità giacché anche i più devastatori non possono fare a meno, la paternità viene schiacciata e confinata spesso in laboratori dove non poche sono le donne che preferiscono la "fecondazione artificiale" per poi vendere i propri figli al miglior offerente.

Il maschio viene così cresciuto fin da piccolo per non generare, ossia per non esercitare la propria paternità responsabile, e la femmina viene cresciuta con quella perversione che oltre all'utero gli appartenga anche il frutto generato.

Da qui inizia il vero sfascio della Famiglia.

Ci troviamo così di fronte al rifiuto gnostico e sacrilego della vita umana attraverso la genitorialità responsabile: spremuto del proprio seme, il maschio perde se stesso nel circolo folle dell'ipnosi seduttrice e si rende via-via "se-ducente" verso l'inconscio annientamento del proprio specifico sessuale: il dilagare dei figli di Sodoma ne è la squallida, miserevole cartina di tornasole. Così come cartina tornasole è la stessa crisi interna alla Chiesa, l'apostasia, donne che vogliono fare i preti, preti che vogliono le donne in un triste impasse di profonda inquietudine nella quale gli istinti non trovano pace.

Scavando un poco alle origini del problema troviamo quella visione culturale che abbiamo assorbito grazie alla idolatria della "Libertà" (o come dicevamo sopra "l'utero è mio e lo gestisco io") regalataci dapprima dalle varie rivoluzioni liberali e giacobine, ma a livello di massa ed in via immediata dalla cultura americana, «un paese che - come hanno scritto ne "Il male americano" due autori certo problematici come Giorgio Locchi e Alain de Benoist - nato da una rottura con l'Europa, era troppo portato a subire un «complesso di Edipo» verso un "padre" respinto ed odiato»(1).

Il modello educativo odierno, sviluppatosi specialmente nella terra dei Padri Pellegrini americani, è un modello interamente coniugato al femminile, da cui il padre è espunto ed in cui tutto è spesso giocato nei rapporti tra madre e figli.

E tuttavia prima della Rivoluzione americana vi era stata la Rivoluzione delle Teste rotonde (2) e prima ancora la rottura dell'ecumene medievale con lo scisma anglicano e l'eresia protestante nella quale, ahimè, troviamo le radici di certo liberismo giunto, esasperato, nel nostro tempo.

Se infatti il popolo inglese fu educato dall'umanesimo, dalla Bibbia e dal mare, sarà Lutero che, spostando l’esperienza sacramentale del matrimonio nell'ordine terreno, secolarizzerà il matrimonio e la famiglia togliendole di fatto il trascendente.

Scrive Claudio Rise: «Come nota l'antropologo Dietrich Lenzen "si può affermare che la dottrina di Lutero sul matrimonio aprì la porta alla successiva statalizzazione della paternità. E quindi toglie alla figura del padre quel riflesso di figura del Padre divino, che le conferisce enormi responsabilità, ma da cui derivava il suo specifico significato nell'ordine simbolico, sconvolto appunto dalla secolarizzazione. [...] Poche generazioni dopo nessuno sapeva più, quantomeno nella tradizione protestante, cosa avesse significato paternità, smettendo così questo termine di essere quel testimone umano della norma del Padre creatore» (3). Oggi Lutero è ancora tra noi, e molti protestanti, seppur non come comunità ma senz'altro come pensiero, sono perversamente vezzeggiati nella Chiesa e da non pochi Vescovi che li chiamano persino a predicare nelle proprie diocesi e parrocchie.

 

Possiamo tranquillamente paragonare la nostra situazione a quella di un paese infestato dai briganti: sono i nostri peccati, i nostri vizi, il nostro orgoglio, i nostri subdoli compromessi che ci avvelenano l'esistenza, disturbano le comunicazioni all'interno del paese, ci impediscono di vivere in pace.

Ora, questo paese viene a sapere che il suo vicino è un re meraviglioso, generoso, dotato di un'armata potente. Nella sua disperazione, lancia un appello verso questo re, il quale varca il confine con il suo esercito. I briganti hanno paura e si disperdono nel folto delle foreste; il paese respira, i suoi abitanti ritrovano la concordia e la gioia di vivere insieme.

Questo sarebbe il frutto della nostra autentica conversione a Gesù Cristo!

In realtà, i conti non tornano: ciò che noi chiamiamo la pace è in verità un compromesso mediocre, un dosaggio tra il Bene ed il Male denominato "equilibrio", una "coesistenza pacifica", oggi la chiamiamo la "politica corretta" tra l'uomo vecchio ed il nuovo, tra il nostro cuore di carne ed il nostro cuore di pietra. Non è splendente, diciamo, ma in fondo, non bisogna chiedere-pregare troppo, l'autentica preghiera infatti ci presenta un conto da pagare che furbamente rigettiamo.

Cristo è venuto per darci la sua pace è vero, ma  non è quella del mondo, non è quella che ci spinge ad accettare il compromesso. Cristo vuole darci la sua pace estinguendo tutto ciò che minaccia la circolazione dell'Amore.

Così, un giorno il re dice: " Dove sono andati a finire i briganti?"

- Signore, si sono nascosti, sono neutralizzati" -

"Sì per ora, ma bisogna farla finita! Li stanerò dai loro nascondigli e se non vorranno accettare questa pace e si ostineranno ad essere briganti alla fine li sterminerò.

 - Oh no mio Signore! - risponde impaurito -, ma così li risveglierete, sarà di nuovo la guerra -

"Ma io non sono venuto a portare la pace ma la divisione: una guerra di sterminio contro tutto ciò che minaccia la mia vera Pace, i giusti attendono la giustizia".

Dunque il re stesso scatena i briganti che la sua presenza aveva prima addormentato. Da qui le tentazioni strane che possono nascere in noi dopo lunghi anni passati al servizio di Cristo: il risveglio delle febbri addormentate o anche di febbri sconosciute. E' buon segno che sant'Agostino chiama "sana inquietudine", è lo Spirito Santo che fa le pulizie!

 

Restando all'esempio della storiella vediamo come la profanazione della storia, l'irruzione cioè di categorie profane nello spirito e nelle istituzioni umane è sempre la conseguenza del fatto che l'uomo ad un certo punto si fa misura da sé delle cose. Ciò è accaduto fin dall'inizio. Ma partiamo da alcune precisazioni.

Laddove "Padre" è molto spesso usato come sinonimo di genitore, deve essere specificato, come del resto la Chiesa stessa ci insegna, che si può essere genitori, senza essere padri. Pensiamo Santi Fondatori come San Benedetto, vero Padre dell'Europa cristiana. Lo stesso termine "Padri pellegrini" usato per gli iniziatori della comunità americana presero proprio dal cristianesimo il concetto di una paternità spirituale e simbolica, effettiva nella costituzione di una genesi sociale e culturale.

Ugualmente Padre è spesso usato anche come sinonimo di maschio. Ma "maschio" non equivale a padre. Ci sono maschi che non sono ne genitori, ne padri, poiché non hanno figli, così chiamiamo "padre" il Papa o i sacerdoti i quali non hanno avuto figli in senso carnale.

Il termine "Padre" in verità, si conviene essenzialmente ad una funzione, che è quella della custodia ed accrescimento della vita, la trasmissione della verità sulle cose.

Solo per un voluto malinteso senso delle cose quando si pensa alla vita si pensa automaticamente alla madre in senso assoluto. Così come, sempre per un voluto malinteso delle cose il concetto di "matrimonio" è diventato "patrimonio".

Cosa vuol dire questo? Proviamo a spiegarlo brevemente.

Rispetto al significato originale che questi termini avevano, noi siamo riusciti perfino a peggiorarli, a pervertirli. Infatti patrimonium, deriva si da "padre" che è letteralmente "ciò che spetta, concerne, compete al padre", si riferiva principalmente a funzioni, compiti e responsabilità verso non solo i figli ma il proprio "clan", l'onere di proteggere, nutrire e soprattutto custodire la propria famiglia salvaguardando le tradizioni affinché venissero tramandate correttamente.

 

Nella dominazione Romana il "matrimonium", indicava principalmente la "maternità legale" (non necessariamente corrispondente a quella naturale, esistevano già le adozioni), in seguito il suo strumento e la sua condizione di ruolo.

Una legalità che riscontriamo nella Bibbia: " Chiamò poi la madre di lei e le disse di portare un foglio e stese il documento di matrimonio, secondo il quale concedeva in moglie a Tobia la propria figlia, in base al decreto della legge di Mosè" (Tb.4,14).

Il punto di rottura di questa concezione a suo modo ''alta" per i suoi tempi di patrimonium e matrimonium e che comunque garantiva legalmente una sicurezza per i componenti della Famiglia a cominciare proprio dalla donna la quale, attraverso il contratto diventava legittimamente moglie - salvaguardandola anche dalla frode di uomini avidi e sfruttatori - la rottura fra questi due ruoli insostituibili dicevamo è stata invece che è la madre ad allevare i figli e il padre a pensare agli affari. Per dirla chiara e breve è oramai passata l'idea del padre come "assegno", colui che porta a casa i soldi.

Ma molto più oggi che ieri, paradossalmente questo è divenuto per il padre lo scopo di vita principale, specie quando il lavoro si è identificato con l'accumulazione, con la carriera, con il successo, divenuti spesso veri e propri idoli.

Se è vero che molte donne vengono abbandonate dai mariti, oggi, perché infatuati di donne più giovani, è anche vera l'altra faccia della medaglia: che oggi sono molte le donne che abbandonano i mariti magari per il collega sul posto di lavoro e che però pretendono l'assegno familiare, e pretendono la custodia dei figli dimenticando che, in questa guerra fra pezzenti - a rimetterci sono proprio loro.

Purtroppo talvolta la cura della dimensione materiale, di sopravvivenza, connessa pure con il dovere paterno di sostentare la prole, ha portato padri e madri a dimenticare l'insegnamento di Gesù: «Dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore»(Mt 6, 22-34).

L'uomo continua al mantenimento (salvo poi fare il furbo e non pagare, quando può, il dovuto specialmente quando ci sono i figli ancora da svezzare), ma ciò che gli viene negato ingiustamente è quel "patrimonium" che dovrebbe in verità ancora svolgere, anche se è venuta meno la parte del "matrimonium", e naturalmente ciò deve essere rapportato anche quando è alla madre che vengono tolti i figli.

L'unico vero motivo per cui un padre non dovrebbe più esercitare questo "patrimonium" dovrebbe essere quello di una dichiarazione legale che lo addita come soggetto incapace, pericoloso, violento e persino delle volte incestuoso. Ma lo stesso metro di misura dovrebbe oggi essere usato anche per quelle donne che abbandonano i propri mariti senza i motivi sopra allegati, se non altro in nome di quella tanta sventagliata parità perché, se è vero che "l'utero è suo" non lo è di diritto esclusivo il contenuto.

I drammi peggiori avvengono quando i due esercizi, patrimonium-matrimonium, vengono brutalmente separati e quando non si tiene conto del bene dei figli e soprattutto dei loro diritti a cominciare da quello di avere un padre ed una madre.

"Il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio" (Eb.13,4).

 

Il termine "matrimonium" lo troviamo solo 4 volte nella Bibbia, il perché così poco è presto detto, lo spiega Gesù nel famoso brano di Matteo 19 che vale la pena leggere integralmente:

"Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?».  

Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse:  Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi».

Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e mandarla via?».  

Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio».

Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».

 

Dunque: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio», Gesù taglia la testa al toro, la soluzione è una sola, quella di ritornare al progetto originario per cui l'uomo e la donna furono creati, maschio e femmina li creò con un progetto preciso, non può esserci un matrimonium senza patrimonium e viceversa, togliendone uno si rischia l'impoverimento dell'altro. Spesse volte la discrepanza fra i due ruoli ha prodotto ciò che possiamo definire quale "autorità" che ha visto in passato, purtroppo, la donna succube delle violenze del marito e, occorre dirlo, impossibilitata a difendersi.

Con il termine autorità (dal latino auctorìtas, da augeo, accrescere) si intende quell'insieme di qualità proprie di una istituzione o di una singola persona, cui gli individui si assoggettano in modo volontario, per realizzare determinati scopi comuni.

Augeo implica un senso di servizio, di utilità, ma anche di ingegno e creatività. Autore deriva dal medesimo etimo: è colui che crea per mezzo del proprio ingegno, che aggiunge e fa prosperare. L'autorità è un concetto legato essenzialmente all'ordine cognitivo e confluisce alla Verità: non a caso si dice nel parlare comune "è un 'autorità in materia”.

L'autorità implica a sua volta il concetto di un sapere riconosciuto socialmente, in virtù del quale si attribuisce un corrispondente potere riconosciuto socialmente. La patria potestà, per esempio, è stata sempre definita come un atto concesso al padre in quanto gli si riconosceva la capacità di far crescere il figlio in maniera retta, ed anche perché era il padre a riconoscere, appunto, la legittimità di quella paternità o perché figlio proprio, o perché adottato. Valeva sempre il famoso detto: "Mater semper certa", una locuzione latina, la cui traduzione è "La madre è sempre certa" (cioè conosciuta definitivamente in quanto partoriente), venne poi  completata da "pater autem incertus" oppure "pater numquam", da qui la necessità del "riconoscimento" della prole o dell'adozione e che il padre affidava, d'autorità appunto, al ruolo di spettanza  della moglie, la maternità.

L'autorità dunque non è l'esercizio del potere su altre persone, men che meno la forza brutale, tuttavia  essa ha preteso spesso di fondarsi sull'avere e sul potere. Ieri era il "padre-padrone" oggi è spesso la donna con il suo femminismo esasperato a farla da padrone. In entrambi i casi a rimetterci sono sempre stati i figli e la stessa società la quale si fonda sull'equilibrio dell'esercizio familiare. Venuta meno la stabilità familiare degli anni '70/80 con un incremento di divorzi pari al 40%, l'onda d'urto si è riversata sulla medesima instabilità dei figli, soprattutto quelli per natura fragile, molti dei quali si sono riscoperti all'improvviso omosessuali. Non è un caso che il crescente numero dei divorzi, degli adulteri, delle separazioni sia cresciuto in pari misura con quanti si riconoscono oggi omosessuali.

Per chi non lo sapesse il termine "omosessualità" è stato coniato nel 1869 da un letterato ungherese di lingua tedesca Karl-Maria Kertbeny (1824-1882), prima non esisteva e si parlava solamente di sodomia, che lo usò in un pamphlet anonimo contro l'introduzione da parte del Ministero della Giustizia prussiano di una legge per la punizione di atti sessuali fra due persone di sesso maschile. Sempre Kertbeny coniò i termini di Normalsexualität ("normosessualità") e Doppelsexualität ("bisessualità"). Solo negli anni venti si farà strada il termine eterosessuale che fino ad allora, infatti, non era necessaria la sua specificazione non essendo in uso neppure il termine contrario. L'omofobia è poi una derivazione per determinare coloro che in qualche modo sono ostili a queste persone. In verità tale termine è assai abusato perché, Vangelo alla mano, non viene mai giudicata la persona in quanto tale, ma si condanna l'atto della sodomia che la Bibbia stessa a volte paragona come adulterio, altre volte come un peccato anche più grave dell'adulterio e che già nei primi secoli della Chiesa era assolutamente (e ancora oggi) vietato fra i coniugi, ossia, incompatibile col progetto di Dio, incompatibile con l'insegnamento del Cristo - questo significa vietare - poi ognuno è libero di vivere come vuole. Ma non può imporre agli altri di tacere la verità, né si può pretendere per legge che i figli nati da un uomo e una donna vengono fatti crescere in ambienti in cui si impone loro ad avere o solo due "padri" o solo "due madri". Tale imposizione non è solo contro natura, ma anche contro ogni società civile la quale non può imporre ai figli di crescere senza la complementarietà dei due sessi, costringendoli ad una visione errata della vita sociale, la quale si sviluppa nel concepimento dei figli che avviene fra un uomo e una donna, ed umanista che comprende la diversità dei sessi per uno scopo naturale e specifico.

 

Ritornando alla genesi del nostro discorso, puntiamo l'attenzione sul termine "Padre".

Siamo un pò troppo abituati alla sua derivazione greca e latina da dimenticare però la sua provenienza dal sanscrito "Pi-tà", radice di Pà che tiene il concetto che gli è proprio: "proteggere" e "nutrire"= pateomai, in greco significa mi nutro.

Pà, colui che protegge, è pure la stessa radice sanscrita di patis, Signore, e di pa-yu, custode. Padre è dunque colui che protegge, nutre, governa e custodisce.

Dice il Salmo: "Neque dormite! qui custodit te, ecco non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel, Dominus custodit te Dominus protectio tua super manum dexteram tuam per diem sol non uret te neque luna per noctem/

Non si addormenterà il tuo custode. Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d'Israele. Il Signore è il tuo custode, il Signore è come ombra che ti copre, sta alla tua destra. Di giorno non ti colpirà il sole, ne la luna di notte" (Salm. 120 (121).

 

Scrive a ragione San Paolo: «Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo ulteriore» (Ef.3,14-16).

''Padre nostro" è l'inizio della preghiera che il Signore Gesù ci ha insegnato.

Affermare la paternità di Dio non significa disprezzare il femminile, ma affermare l'assoluta trascendenza di Dio.

Scrive Jean Bastare che se l'amore di Dio « si fosse manifestato donna, avremmo assistito a un ritorno in forze dei culti primitivi. Si sarebbe verificata una confusione più forte che mai tra un amore di assorbimento e un amore di oblazione, la trascendenza divina avrebbe regredito fino a trovarsi inghiottita nel seno delle dee-madri. Bisognava che Gesù fosse uomo e non donna perché Dio fosse Dio e non l'insieme del cosmo», la genialità di Dio è stata proprio l'istituzione della Chiesa quale Madre tanto da far dire a San Cipriano: " Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre" (4).

Nel Vangelo Gesù si rivolge a Nicodemo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv.3).

Nell'amore dei genitori verso i figli, nelle madri quando esercitano il loro ruolo e soprattutto nei padri a riguardo di questa autorevolezza di cui abbiamo parlato, deve trapelare, trasparire, trasfigurare lo stesso amore di Dio Padre: i nostri figli non sono figli nostri, sono anzitutto figli di Dio e partecipano alla Sua opera di salvezza.

Così come Dio ha dato il Figlio unigenito per la salvezza del mondo, anche noi dobbiamo essere disponibili ad offrire al Padre celeste questi nostri figli ricevuti innanzi tutto quale dono.

 

Qualcuno ha scritto: se i divorzi sono in aumento e si dice che i giovani non vogliono più sposarsi, perché allora tanta fretta ed insistenza nell'imporci la creazione di presunti matrimoni-famiglie omosessuali? Che senso ha?

Belle riflessioni, questo significa usare la ragione. Non dovremmo piuttosto preoccuparci di dover prima risolvere il problema di questi abbandoni, di tante ragazze madri, delle adozioni così difficili per  le vere famiglie sterili ma con un padre e una madre, mentre sono così facili per le unioni omosessuali; preoccuparci di risolvere i nostri egoismi, le inquietudini, l'autentico rispetto della vera libertà dei figli cresciuti nella complementarietà fra le diversità sessuali e quindi imparare a rispettare gli altri, non vedere nell'altro  l'oggetto del piacere e del desiderio, assumersi le proprie responsabilità invece di ricorrere all'aborto per nascondere i tanti adulteri che si consumano oramai dal periodo della adolescenza, e quant'altro?

Padre dunque è custode e signore, ma allo stesso modo o è sposo o non è padre.

E sposo è colui che giura, che fa voto solenne, che promette, dunque che impegna se stesso, che da se stesso, che si spende, dal greco spèndein (da cui sposo), che indica appunto il fare libazione solenne.

Sposo è colui che impegna se stesso di fronte al Cielo ma anche davanti agli uomini: ecco perché anche un sacerdote può essere un padre. Non è la generazione sessuale che fa il padre, ma l'impegno alla cura e custodia dei figli, l'impegno a crescerli secondo natura e non secondo le proprie ideologie, l'impegno a dar loro anche una madre perché egli cresca nella complementarietà delle diversità e per questo non vi è che un modello.

 

Lo Sposo si "spende" per la Sposa, si impegna per questa custodia e la sposa provvede a quella dimensione materna che solo una donna può dare. I due sono complementari, si appartengono, ma ognuno conserva la dimensione che gli è propria; hanno una pari dignità, ma al tempo stesso non sono uguali nei ruoli; hanno gli stessi diritti, ma al tempo stesso anch'essi devono proteggere, custodire, difendere i diritti dei figli; sono entrambi educatori; ma al tempo stesso imparano anch'essi dai figli a risolvere i problemi della vita.

Rispettando questo Amore autentico, queste promesse fatte, la donna non sentirà più la necessità di gridare che "l'utero è suo", né l'uomo sentirà la voglia di ripudiarla in cerca di altro. Allora si che i figli comprenderanno la prodezza di una promessa fatta, il significato della fedeltà, del sacrificio, dell'offerta ma anche della vera felicità, della autentica serenità, allora sì che anch'essi saranno in grado di fare scelte coraggiose, saranno in grado di fare promesse e mantenerle contribuendo davvero per una società migliore. Se non si ritorna ai ruoli naturali l'uomo potrà inventarsi mille nuove antropologie che non risolverà mai la propria inquietudine.

«Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen» (Ef.3,14-21).

"Per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli!"

Meditiamo su questo passo, perché qui sta infine l'ultima custodia del padre, la custodia della Tradizione, questa trasmissione della Verità ai figli per i figli dei figli, perché un giorno, chiudendo gli occhi, possa il nostro cuore, pure pentito di tutti gli errori ed i peccati commessi lungo il cammino della vita, presentarsi alla Misericordia di Dio nell'abbandono di chi non ha sciupato il dono di Grazia che gli era stato consegnato nella Fede dei suoi padri: "Laudo autem vos quod omnia mei memores estis et, sicut tradidi vobis, traditiones meas tenetis. Volo autem vos scire quod omnis viri caput Christus est, caput autem mulieris vir, caput vero Christi Deus.

Vi lodo poi perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse. Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l`uomo, e capo di Cristo è Dio". (1Cor.11,2-3)

Custode della Fede è il padre. Custodia della Fede è la Tradizione.

 

 

Note

 

1 - Giorgio Lecchi e Alain de Benoist ne - II male americano - L.ED.E,Roma. i 978. pag. 33.

2 - teste rotonde (ingl. roundheads) Espressione con cui furono indicati i sostenitori del Parlamento durante la guerra civile inglese (1642-51), e in particolare i puritani e i membri del New model army di O. Cromwell (➔), a causa dell’abitudine di portare i capelli rasi;  a essi si contrapponevano i «cavalieri» (ingl. cavaliers), sostenitori del re. Il termine, in origine spregiativo, rimase in uso fino alla rivoluzione del 1688.

3 - Claudio Rise -  Padre, l'assente inaccettabile - San Paolo, Cinisello Balsamo, 2003. pag. 51-52.

4 - San Cipriano, L'unità della chiesa cattolica, III-VI-VII. La frase completa è la seguente: La sposa di Cristo non sarà mai adultera: essa è incorruttibile e pura, una sola casa conosce; con casto pudore custodisce la santità di un solo talamo. Lei ci conserva per Dio. Lei destina al Regno i figli che ha generato. Chiunque, separandosi dalla Chiesa, ne sceglie una adultera, viene a tagliarsi fuori dalle promesse della Chiesa: chi abbandona la Chiesa di Cristo, non perviene certo alle ricompense di Cristo. Costui sarà un estraneo, un profano, un nemico. Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre. Se si fosse potuto salvare chi era fuori dall’arca di Noè si salverebbe anche chi è fuori della Chiesa. "

 

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