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2017 Cento anni Apparizioni di Fatima

18.07.2013 13:07

 

Di recente e da più parti, vertono e fremono i preparativi che nel 2017 vedono implicati due eventi particolari, ma anche contraddittori fra loro: i 500 anni dalla Riforma Protestante di Martin Luthero e i 100 anni dalle Apparizioni della Madonna di Fatima.

Ora, ci dicono alcune email giunte, che da più parti nella Chiesa sembra che qualche Prelato stia spingendo i Cattolici ad un obbligo inaccettabile: festeggiare la Riforma luterana con i protestanti, e sembra che a parte in Portogallo, non sia stata intrapresa infatti alcuna nobile iniziativa (per esempio nessuna crociata del Rosario) in preparazione al Cenetenario delle Apparizioni di Fatima.

Ci è stato chiesto: come dobbiamo comportarci? E' obbligatorio questo genere di obbedienza alle Gerarchie?

Sarebbe bello e facile per noi rispondere: non possiamo assumerci questa responsabilità, che ognuno interroghi la propria coscienza (come a dire: che si arrangi); oppure che obbedire è obbligatorio. Ma non è così, non abbiamo cioè alcun diritto di spargere veleni, disobbedienze, indifferenza al problema, è necessario assumere una posizione, prima fra tutte quella della Preghiera, specialmente il Santo Rosario. Si dia testimonianza di questa preghiera sublime, si diventi innanzi tutto apostoli del Rosario di Maria perseguendo una vita cristiana coerente a partire dalla Famiglia nei suoi valori evangelici e naturali, come nei posti di lavoro. Una vita incoerente infatti, genera la divisione, l'incomprensione, l'apostasia, l'eresia.

Quindi è chiaro: noi festeggermo il Centenario delle Apparizioni della Madonna a Fatima e supplicheremo al Suo Cuore Immacolato la nostra e la loro conversione, la conversione dei luterani e la conversione dei tanti prelati altamente confusi e in odore di apostasia.

Alludendo al centenario delle apparizioni di Fatima nel 2017 – un evento in cui, in umile considerazione della propria età, il Papa non incluse se stesso – Benedetto XVI affermava quel 13.5.2010:
«Tra sette anni ritornerete qui per celebrare il Centenario della prima visita fatta dalla Signora “venuta dal Cielo”, come Maestra che introduce i piccoli veggenti nell’intima conoscenza dell’Amore trinitario e li porta ad assaporare Dio stesso come la cosa più bella dell’esistenza umana. Un’esperienza di grazia che li ha fatti diventare innamorati di Dio in Gesù, al punto che Giacinta esclamava: “Mi piace tanto dire a Gesù che Lo amo! Quando Glielo dico molte volte, mi sembra di avere un fuoco nel petto, ma non mi brucio”. E Francesco diceva: “Quel che m’è piaciuto più di tutto, fu di vedere Nostro Signore in quella luce che la Nostra Madre ci mise nel petto. Voglio tanto bene a Dio!” (Memorie di Suor Lucia, I, 42 e 126)»

La difesa della verità contro il culto relativistico e anti-tradizionale del presente è una missione «per la Chiesa irrinunciabile» (Benedetto XVI Lisbona 15.5.2010), ripete Benedetto XVI: «Infatti il popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia». E anche questa conclusione corrisponde al senso profondo del messaggio di Fatima.

In questo ci incoraggiano le parole di Papa Francesco che il 6 aprile nelle Omelie a Santa Marta diceva:

  “siamo coraggiosi come Pietro o un po’ tiepidi?”. Pietro – ha osservato – non ha taciuto la fede, non è sceso a compromessi, perché “la fede non si negozia”. Sempre – ha affermato il Papa – “c’è stata, nella storia del popolo di Dio, questa tentazione: tagliare un pezzo alla fede”, la tentazione di essere un po’ “come fanno tutti”, quella di “non essere tanto, tanto rigidi”. “Ma quando incominciamo a tagliare la fede, a negoziare la fede, un po’ a venderla al migliore offerente – ha sottolineato - incominciamo la strada dell’apostasia, della non-fedeltà al Signore”.

Infine, potendo e dovendo citare anche la Scrittura leggiamo San Paolo ai Galati laddove ammonisce chiaramente:" Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!  L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!  Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!" (Gal.1, 8-10)


Questo non implica affatto alcuna crociata "contro" i Protestanti, al contrario, noi li affidiamo al Cuore Immacolato di Maria mediante il Rosario, la vita sacramentale (confessione ed Eucarstia) e la testimonianza di una vita coerente a difesa della vita nascente e morente, contro ogni aborto ed eutanasia, contro ogni tentativo di vedere affossata l'unione familiare voluta da Dio fra un Uomo ed una Donna mentre, lo sappiamo bene, i Protestanti hanno sposato quasi tutte le derive modaiole del nostro tempo. Quindi loro predicano un vangelo diverso, la Chiesa nella nostra Gerarchia non può obbligare i fedeli ad un così grave e vergognoso SINCRETISMO e relativismo dottrinale.
Noi dobbiamo obbedire quando non ci troviamo davanti ad un vangelo diverso...

La dottrina luterana si riassume in questi punti.
 
Lutero “nega” quasi tutti i sacramenti. Per Lutero i Sacramenti impartiti dalla Chiesa "romana" si sono ridotti solo a delle specie di riti magici, validi a prescindere dalla fede di colui che li riceve - vedasi il Battesimo ai bambini -. Secondo Lutero invece essi sono riconducibili ad uno solo: l’accettazione tramite la fede, delle promesse divine. Così vengono accettati i sacramenti dove è il fedele a ricevere ciò che Dio ci offre (Battesimo agli adulti e la Comunione ma privata della consacrazione e della Presenza reale) e aboliti quelli che lui definisce "istituzionalizzati", come a dire - inventati dalla Chiesa "romana" - quali il Matrimonio, l'Ordinazione Sacra, la Cresima, la Confessione e l'Unzione dei malati
 
Il sacerdozio universale, di conseguenza, viene abolito e nasce il libero esame delle Scritture - Sola Scriptura -.
 
Lutero critica così l’ordinazione sacerdotale. Per Lutero i sacerdoti sono solo "pastori-ministri" col compito di insegnare e predicare, che non devono però introdursi nel rapporto tra il singolo e Dio. Così, con Lutero, il sacerdozio è universale, ognuno, col battesimo, può divenire sacerdote. Questo è strettamente legato al libero esame delle Scritture da parte di ognuno (libero esame significa libera interpretazione). In base a questo Lutero abolisce gli ordini monastici e qualunque tipo di voto perché la visione di Lutero del “primato della fede” - il Sola Fidei -, faceva sì che egli diffidasse da tutto ciò che tendeva a trasformare il cristianesimo in una forma di vita "consacrata". Infine Lutero esalta il lavoro, ogni uomo deve sposarsi, avere figli e lavorare, conseguentemente, abolisce il divieto del matrimonio per i sacerdoti.

Qui Lutero stravolge l'autentica Dottrina della Chiesa.

Infatti per la Chiesa non c'è obbligo di sposarsi, così come per il prete non c'è l'obbligo del celibato, ma è una scelta che la Chiesa ha ben documentato: se l'uomo vuole sposarsi, che si sposi; se vuole CONSACRARSI A CRISTO, non significa affatto che egli non voglia sposarsi, la sua paternità è trasformata, è diversa, ma c'è, egli "sposa la Chiesa" e GENERA FIGLI spirituali attraverso le conversioni - rigenerazione - e quindi il Battesimo, non a caso egli è chiamato "padre" perchè, in quanto Sacerdote, ha assunto (Alter Christi) la paternità di Dio verso gli uomini. Per questo la Chiesa, nella scelta dei candidati NON accetta coloro che dimostrano avversione per il matrimonio e l'unione naturale fra un uomo e una donna, perchè il farsi sacerdozio NON è un "non volersi sposare" ma un rinunciare ad una famiglia personale per dedicarsi alla FAMIGLIA E AI FIGLI DI DIO....
Il tutto nasce da uno stato inquieto e drammatico personale di Lutero il quale, mentre era monaco agostiniano, avverte di non poter resistere alla CONTINENZA sessuale e finisce per rendere non solo manifesto il suo personale disagio, ma portandolo ad un pubblico più vasto (che verrà poi usato e strumentalizzato in chiave politica), impone la sua personale interpretazione biblica ai cattolici del suo tempo, come a dire: se io rinuncio al celibato, TUTTA LA CHIESA MI DEVE SEGUIRE, non posso essere solo io in difetto, di conseguenza è la Chiesa ad essere in difetto.
Da questo prurito nasce la contestazione di Lutero che pian piano andrà ad estendersi poi alle indulgenze quale capro espiatorio delle sue lamentele; all'infallibilità petrina, ai Sacramenti e via dicendo.
 
Per Lutero i veri sacramenti sono:
- L’eucaristia. Egli all'inizio non mette in dubbio la Presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nel pane e nel vino. Il significato della Messa però cambia, essa diviene semplicemente la manifestazione della propria fede nella promessa divina e abolisce il concetto di SACRIFICIO ESPIATORIO. E il discorso si complica perchè in alcuni ambienti luterani - come in Svezia - la Messa ha mantenuto un certo lustro da fare invidia persino alle nostre messe moderniste sciatte e ridicole.
- Il battesimo. Non è più un rito che lava il peccato - Lutero abolisce la dottrina sul Peccato Originale -, ma è simbolo della morte e della resurrezione.
Infine come abbiamo accennato, la confessione cambia radicalmente, ciò che conta è solo la fede nella promessa del perdono. Il confessore, avendo abolito egli il sacerdozio ordinato e sacro, non ha più il potere di cancellare i peccati, ma può solo dare conforto. Il penitente amministra da sé tale sacramento, con la propria fede, si autogiustifica davanti a Dio mediante la sola fede. In questo senso egli intendeva risolvere così il problema delle indulgenze che, a questo punto, non erano più necessarie: niente Messa intesa come Sacrificio espiatorio (la quale è il massimo infatti delle indulgenze); niente suffragi per i Defunti, niente Purgatorio "chi si è salvato si è salvato, chi si è dannato si è dannato", niente speranza, la Chiesa diventa così per lui solo una istituzione necessaria ai fini dell'organizzazione consolatoria, eppure diventa incoerente quando imporrà il catechismo creato ad arte con le sue dottrine innovative.


Lutero non voleva fondare una nuova Chiesa, voleva infatti cambiare quella esistente con le sue innovazioni. Non essendoci riuscito è ovvio che per sopravvivere e dare asilo ai suoi discepoli, finirà per fondarne una tutta sua con il suo catechismo, la sua bibbia, i suoi sacramenti la sua messa, i suoi pastori.
Queste innovazioni porteranno Lutero, o meglio la sua dottrina, all'abolizione del culto a Maria e dei Santi, riconosce la prima parte dell'Ave Maria, ma rigetta la seconda parte per poi finire col rinunciare anche alla prima parte. I Santi sono TUTTI i battezzati che per fede accettano Gesù e nella fede muoiono, di conseguenza non è necessaria alcuna canonizzazione da parte dei vescoi o del Papa, una volta morti, nessuno può intercedere per i vivi, solo Cristo, ed ecco i famosi TRE Sola di Lutero: Sola Scriptura; Sola Fidei; Solo Christo.
Infine il Papa è dichiarato da Lutero "l'anticristo", da qui nasce il termine dispregiativo di "papisti" a quanti restarono fedeli al Pontefice.

Lutero inizia ad essere eretico in pochi punti, finendo poi per dare origine ad una "chiesa" privata del sacro che si contrappone alla Chiesa unica generata dal Costato di Cristo ed affidata al Pontefice e ai Vescovi in comunione con lui. Preghiamo affinchè nel 2017 non accada che certi prelati della Santa Chiesa non ci obblighino a diventare noi stessi protestanti, ma piuttosto spingano i luterani a riconoscere le loro eresie e a fare ritorno all'unica Chiesa di Cristo con la benedizione della Santissima Vergine Maria, debellatrice d'ogni eresia.

***

 

Come si deve obbedire alla Chiesa

10.07.2013 23:09

 

«Non si fa più difficoltà ad ammettere che da un secolo
tutto è cambiato non solo sulla terra, ma anche in cielo;
che sulla terra c’è un’umanità nuova e in cielo un Dio nuovo.
Il che è tipico dell’eresia: esplicitamente o implicitamente
ogni eresia ha pronunciato questa bestemmia».

(Louis Veulliot: “L’illusione liberale”).

 

Commonitorio di San Vincenzo di Lerino
Capitolo IV
Che s'abbia a fare in caso di divisioni nella Chiesa.


"Che farà pertanto un Cristiano cattolico, se qualche piccola porzione di battezzati siasi separata dalla comunione di tutti i fedeli?
Che altro in vero avrà a fare, se non anteporre a un membro putrido e contagioso tutto il restante del corpo sano?
E se qualche nuova infezione non contenta d'attaccare una sola piccola parte, tenti di dare il guasto a tutta la Chiesa, che farà egli allora?
Avrà allora l'avvertenza di tenersi forte all'antichità, la quale non è più affatto soggetta alle fallaci seduzioni della novità.

E se se in mezzo alla stessa antichità traviata rinvengasi qualche partita d'uomini, o qualche intera città, o tutt'anche una provincia, come s'avrà a contenere?
In questo caso sarà sua cura di dare la preferenza sopra la temeriarità e l'ignoranza di pochi a' decreti di tutta la Chiesa, quando ve n'abbia d'universalmente ab antico accettati...."

San Vincenzo fu un monaco di Lerino, verso la fine del V secolo. La sua biografia l’abbiamo da Gennadio di Marsiglia, in “De Scriptoribus Ecclesiasticis”.
Nel “Commonitorio” l’Autore ci offre “una Regola a canone”, per riconoscere con certezza le eresie sorte nella Chiesa.
Ecco la “Regola”:

«NON È SICURAMENTE CATTOLICA, E QUINDI VA RESPINTA, OGNI NOVITÀ IN CONTRASTO CON QUANTO SEMPRE E DOVUNQUE È STATO CREDUTO E INSEGNATO NELLA CHIESA CATTOLICA».

Naturalmente, il fondamento del canone vincenziano è l’infallibilità della Chiesa, la quale, per questo, non può contraddirsi.
Quindi, quando nella Chiesa sorge una novità in contrasto con quanto Essa ha sempre insegnato, non è buon grano, ma è la zizzania dell’errore, seminata dall’“inimicus homo”.
In tempi di eretici, come oggi, che richiedono una maggiore attenzione, il canone vincenziano fissa il criterio per discernere l’errore, per cui il canone possiede una validità indiscutibile ed intramontabile.
San Vincenzo, comunque, non esclude che si possa «comprendere più chiaramente ciò che già si credeva in maniera molto oscura, per cui le “generazioni future” potrebbero rallegrarsi d’aver compreso “ciò che i loro padri avevano venerato senza capire”, ma il chiarimento non può contraddire ciò che la Chiesa ha fino ad oggi insegnato.

Dopo aver spiegato, nel “Commonitorio”, Al N° 22, l’ammonizione paolina:
«O Timoteo, custodisci il “deposito”, richiama che il deposito (della Fede) è ciò che ti è stato affidato, non trovato da te! (…) non uscì da te, ma a te venne; nei suoi riguardi tu non puoi comportarti da autore, ma da semplice custode! (…). Non spetterà a te dirigerlo, ma è tuo dovere seguirlo».

Al N° 23, San Vincenzo formula l’oblazione: «Forse qualcuno dirà: “Nessun progresso della religione è allora possibile nella Chiesa di Cristo?” e risponde: “Certo che il progresso ci deve essere e grandissimo! Chi sarebbe tanto ostile agli uomini e avverso a Dio di tentare di impedirlo?” A condizione, però, che si tratti veramente di progresso per la Fede, non di modificazione.
Caratteristica del progresso è che una cosa si accresca, rimanendo sempre identica a sé stessa; della modificazione, invece, è che una cosa si trasformi in un’altra».

Progresso, dunque, sì, ma «“in eodem sensu et in eadem sententia” (nello stesso senso e nella stessa formula), perché, se così non fosse, avremmo la sgradita sorpresa di vedere i rosai della dottrina cattolica trasformarsi in cardi spinosi e la zizzania spuntare dai germogli del cinnamomo e del balsamo» (N° 23).

San Vincenzo, quindi, non esclude lo sviluppo dottrinale, ma ne fissa i limiti, affinché si collochi di sostanziale identità con l’antico!
Il Commonitorio, quindi, è ben lungi da una immobilità cadaverica, perché offre delle immagini efficienti e appropriate del carattere vivo della Tradizione e della sua sostanziale immutabilità.

Leggiamo quanto scrive San Vincenzo al N° 23:
«Che la  religione delle anime imiti il modo di svilupparsi dei corpi, i cui elementi, benché col progredire degli anni evolvano e crescano, rimangono, però, sempre gli stessi (…), e se qualche cosa di nuovo appare in età più matura già preesisteva nell’embrione, cosicché nulla di nuovo si manifesta nell’adulto che non si trovasse in forma latente nel fanciullo».
In quelle righe, il Santo lerinese mostra l’intuizione dello sviluppo dottrinale come esplicazione omogenea del dato rilevato (explicatio Fidei).
Se, invece, con l’aumento dell’età «la forma umana prendesse un aspetto estraneo alla sua specie, se le fosse aggiunto o tolto qualche membro, necessariamente tutto il corpo perirebbe e diventerebbe mostruoso o perlomeno si debiliterebbe».

«Le stesse leggi di crescita devono seguire il dogma cristiano… senza ammettere nessuna perdita delle sue proprietà, nessuna variazione di ciò che è definito».
È, insomma, il grano di senape del Vangelo che, per diventare albero, resta sempre di senape.
Ora, questo è sempre il “principio di non contraddizione” o di identità sostanziale, che consente di distinguere tanto la verità cattolica dall’errore quanto il legittimo sviluppo della corruzione dottrinale.

Il Vaticano I, al capo 4, ha sancito questo principio, riprendendo testualmente dal N° 23 del “Commonitorio” la norma canonica dello sviluppo dottrinale “in eodem sensu, in eadem sententia” (Conf. Denz. 1800, 11 capo, p. 5-6).
È chiaro, perciò, che San Vincenzo di Lerino aveva un vivissimo senso della Chiesa e che la Chiesa stessa, citandolo in un Concilio dell'epoca moderna, lo tiene ancora oggi in alta considerazione.

Per Lui, la Sacra Scrittura va letta con la Chiesa, «perché la Scrittura, causa della sua stessa sublimità, non è da tutti intesa in modo identico e universale. Si potrebbe dire che tante siano le interpretazioni quanti i lettori (…). È dunque sommamente necessario, di fronte alle molteplici e aggrovigliate tortuosità dell’errore, che l’interpretazione dei Profeti e degli Apostoli si faccia a norma del senso ecclesiastico e cattolico» (N° 2).

La Tradizione è “la Tradizione della Chiesa cattolica”, ossia è la fede della Chiesa universale, attestata dagli antichi Concili ecumenici, dal consenso unanime dei Padri che «rimasero sempre nella comunione e nella fede dell’unica Chiesa cattolica e ne divennero maestri approvati» (N° 3).

Infine San Vincenzo ritiene anche che la ricerca di un criterio, per discernere la verità cattolica dall’errore, ha tutta la ragione di essere interna alla Chiesa, affinché il Magistero stesso si possa pronunciare, così che il cattolico sia difeso dall’errore, magari da errori proposti da persone investite di autorità nella Chiesa, fattesi “Maestri della Chiesa”, come avvenne con Nestorio, patriarca di Costantinopoli; come Fotino, eletto alla sede episcopale di Sirmio (Pannonia); come il vescovo Donato, ecc...  «con la più grande stima di tutti» (N° 11).
Come non pensare oggi ai tanti "don Gallo" disseminati nella Chiesa, lasciati liberi di seminare l'errore senza che la Gerarchia faccia un solo passo per ammonire questi sacerdoti erranti? Come non pensare alla situazione gravissima di un laico che si è autoelevato a dicitura di monaco fondando un monastero modernista e che invece di fare il monaco va in giro per le diocesi a seminare veleni dottrinali con il tacito e a volte esplicito consenso di non pochi vescovi?
In questo caso San Vincenzo, lo abbiamo letto, è chiarissimo: "E se qualche nuova infezione non contenta d'attaccare una sola piccola parte, tenti di dare il guasto a tutta la Chiesa, che farà egli allora? Avrà allora l'avvertenza di tenersi forte all'antichità, la quale non è più affatto soggetta alle fallaci seduzioni della novità", ma sempre da dentro la Chiesa deve avvenire che sia il Magistero a dire l'ultima parola.

Può anche darsi che novità eretiche tentino di «contagiare e contaminare la Chiesa intera», come nel caso dell’eresia ariana, in cui le verità più sicure vengono sovvertite, negate, messe in dubbio «per l’introduzione di credenze umane al posto del dogma venuto dal cielo», «per l’introduzione di un’empia innovazione, e così l’antichità, fondata sulle più sicure basi, viene demolita, vetuste dottrine vengono calpestate, i decreti dei Padri lacerati, le definizioni dei nostri maggiori annullate, per una sfrenata libidine di novità profane da annullare la Tradizione sacra ed incontaminata» (N° 4).

«L’antichità, quindi non può essere turbata da nessuna nuova menzogna» (N° 3).

Concludendo, diciamo che la regola dataci da San Vincenzo di Lerino è una regola oggettiva, perché il giudizio che ne deriva è un giudizio cattolico, fondato sulla Fede costante e immutabile della Chiesa cattolica, ben diverso dal giudizio soggettivo protestantico, liberale, modernista.

Ma leggiamo ancora quest’altre parole di San Vincenzo:
«Ciò che dobbiamo massimamente notare, in questo coraggio quasi divino dei confessori della Fede, è che essi hanno difeso l’antica fede della Chiesa universale e non la credenza di una frazione qualunque (…). È nei decreti e nelle definizioni di tutti i Vescovi della Santa Chiesa, eredi della verità apostolica e cattolica che essi hanno creduto, preferendo esporre sé stessi alla morte piuttosto che tradire l’antica fede universale» (N° 5).

E poi al N° 6 scrive: «Essi, raggiungendo a guisa di candelabro settuplo la luce settenaria dello Spirito Santo, hannomostrato ai posteri, in maniera chiarissima come in futuro dinanzi a ogni iattanza parolaia dell’errore, si possa annientare l’audacia di empie innovazioni con l’autorità dell’antichità consacrata».
Sono parole di un teologo serio, preciso e ben informato, quale fu San Vincenzo di Lerino col suo “Commonitorio”, le cui pagine vigorose e vibranti di autentica fede cattolica ci spronano a collaborarci nella Fede, la prima virtù teologale, condizione indispensabile della nostra salvezza!
(c.p. 6-7).

Concludiamo riportando dal Documento della CTI (Commissione Teologica Internazionale) del 1990, presieduta all’epoca dal card. J. Ratzinger:
L’Interpretazione dei Dogmi, tratto dal Libro: CTI Documenti 1969-2004 Ed. ESD pag. 381-421
quanto segue.


“ Le dichiarazioni del Magistero circa l’interpretazione dei dogmi sono chiare in proposito e non lasciano dubbi: la storia dei dogmi è il processo di una interpretazione ininterrotta e viva della Tradizione (…) il Vangelo è trasmesso nella Paradosis della Chiesa Cattolica guidata dallo Spirito Santo”.

Non a caso il Concilio di Trento difendendo questa dottrina, metteva al tempo stesso i fedeli in guardia contro una interpretazione privata della Scrittura, sottolineando come spetti alla Chiesa giudicarne il senso autentico e la corretta interpretazione.
Idem fece il Concilio Vaticano I° nel riaffermare Trento anzi, approfondendo ulteriormente, ha riconosciuto uno sviluppo dei dogmi purchè, tale sviluppo: “ si compia nel medesimo senso e secondo lo stesso significato - eodem sensu eademque sententia.
In sostanza: “ per ciò che riguarda i dogmi, si deve mantenere il senso definito una volta per tutte dalla Chiesa”.
Pio XII ritorna su questi aspetti nell’Enciclica Humani generis nella quale rilancia un nuovo avvertimento contro un “relativismo dogmatico” che, abbandonando il modo di esprimersi della Chiesa finisce per usare termini che mutando lungo il corso della storia per esprimere il contenuto della fede, finisce per modificarne il contenuto, relativizzandolo alla comprensione del momento impedendone, così, la comprensione cattolica=universale già sostenuta dalla Chiesa.
Non a caso lo stesso Paolo VI nell’Enciclica Mysterium Fidei (del 1965) ritorna sull’argomento sottolineando anzi, insistendo, sulla necessità che: “si devono conservare le espressioni esatte dei dogmi fissate dalla Tradizione…”.

Commette un grave errore ( e lo ha commesso) chi, usando il Concilio Vaticano II, ha pensato (e pensa ancora oggi) che fosse (e che sia) innocuo modificare la terminologia usata per la proclamazione dei dogmi! E’ come se si fosse preteso (o si pretendesse) di modificare la terminologia usata per il Teorema di Pitagora, o di modificare le regole matematiche pensando di non apportare alcun danno alla applicazione delle stesse.
Il tentativo continuo, da dopo il Concilio, di pretendere di spiegare i dogmi o le dottrine modificandone la terminologia ha finito, in verità, per snaturalizzarli…

Così come non a caso nel 2007, la CdF ha dovuto emanare ulteriori chiarimenti per le: “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”.
Cinque domande, cinque risposte!
La prima spiega, appunto, che il Concilio Vaticano II “né ha voluto cambiare, né di fatto ha cambiato tale dottrina, ma ha voluto solo svilupparla, approfondirla ed esporla più ampiamente”.
Infatti il Concilio  presentò la dottrina tradizionale della Chiesa in un contesto più ampio valorizzando, semmai, la questione anche storica dei dogmi, leggiamo infatti nella DV, n.8:
“vi è nella Chiesa un progresso nella comprensione della Tradizione apostolica…”, vi è pertanto un progresso, non un regresso come è di fatto avvenuto in molti ambiti ecclesiali!
E cosa intendesse la Chiesa per questo “progresso” lo spiegò chiaramente Giovanni XXIII al Discorso di apertura del Concilio del giorno 11.10.1965 quando disse che, l’insegnamento della Chiesa, pur conservando sempre lo stesso senso e lo stesso contenuto, deve essere trasmesso agli Uomini, integralmente, in una maniera viva e corrispondente alle esigenze del loro tempo!
Le "esigenze del tempo" tuttavia, non possono essere l'espediente per snaturalizzare le dottrine o modificarle, questo tempo esige il coraggio della vera fede e la carità nella verità, le esigenze saranno allora contenute nei modi attraverso i quali offrire al mondo questa dottrina e non è il contenuto da adattare al tempo eretico che stiamo vivendo.

***


 

San Giuseppe nella Preghiera Eucaristica

19.06.2013 16:42

 

sanGiuseppe


Te Deum laudamus!

St.Joseph, ora pro nobis.


  IL DRECRETO UFFICIALE:

Lo scorso 1° maggio la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha emesso un Decreto con il quale ha disposto che, come già avviene nel Canone Romano, anche nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, dopo la Beata Vergine Maria, si faccia menzione del nome di San Giuseppe, Suo Sposo.

 Pubblichiamo di seguito il testo del Decreto in lingua latina e nelle varie traduzioni, nonché le formule che spettano al nome di San Giuseppe nelle suddette Preghiere eucaristiche, in latino e nelle traduzioni nelle lingue occidentali di maggiore diffusione:
 

 

TESTO DEL DECRETO IN LINGUA LATINA

 DECRETUM


Paternas vices erga Iesum exercens, in oeconomia salutis super Familiam Domini constitutus munus gratiae Sanctus Ioseph Nazarenus luculenter adimplevit et, humanae salutis mysteriorum primordiis summopere adhaerens, benignae humilitatis est exemplar, quam christiana fides sublimes ad fines provehit, et documentum communium humanarum simpliciumque virtutum, quae necesse sunt, ut homines boni sint verique Christi sectatores. Per eas vir Iustus ille, amantissimam gerens Dei Genetricis curam laetantique studio Iesu Christi sese institutioni devovens, pretiosissimorum Dei Patris thesaurorum custos factus est et tamquam mystici illius corporis, quae est Ecclesia, subsidium assiduo populi Dei cultu per saecula prosecutus est.

In Catholica Ecclesia christifideles iugem erga Sanctum Ioseph praebere consueverunt devotionem ac sollemnioribus ritibus assiduoque cultu castissimi Deiparae Sponsi memoriam adhuc utpote caelestis universae Ecclesiae Patroni adeo percoluerunt, ut iam Beatus Ioannes Pp. XXIII tempore Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani Secundi nomen eius vetustissimo Canoni Romano addi decerneret. Quae honestissima placita pluribus ex locis perscripta Summus Pontifex Benedictus XVI persolvenda suscepit atque benigne approbavit ac Summus Pontifex Franciscus nuperrime confirmavit, prae oculis habentes plenam illam communionem Sanctorum, qui iam nobiscum viatores in mundo ad Christum nos adducunt eique coniungunt.

Exinde, attentis expositis, haec Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, vigore facultatum a Summo Pontifice Francisco tributarum, perlibenter decrevit, ut nomen Sancti Ioseph Beatae Mariae Virginis Sponsi Precibus eucharisticis II, III et IV, quae in editione typica tertia Missalis Romani sunt, posthac adiciatur, post nomen Beatae Virginis Mariae additis verbis, uti sequitur: in Prece eucharistica II: « ut cum beáta Dei Genetríce Vírgine María, beáto Ioseph, eius Sponso, beátis Apóstolis »; in Prece eucharistica III: « cum beatíssima Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum beátis Apóstolis »; in Prece eucharistica IV: « cum beáta Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum Apóstolis ».

Circa textus lingua latina exaratos, adhibeantur hae formulae, quae nunc typicae declarantur. De translationibus in linguas populares occidentales maioris diffusionis ipsa Congregatio mox providebit; illae vero in aliis linguis apparandae ad normam iuris a Conferentia Episcoporum conficiantur, Apostolicae Sedi per hoc Dicasterium recognoscendae.

Contrariis quibuslibet minime obstantibus.

Ex aedibus Congregationis de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, die 1 mensis Maii anno 2013, sancti Ioseph opificis.

Antonius Card. Cañizares Llovera
 Praefectus

 + Arturus Roche
 Archiepiscopus a Secretis


TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA


 DECRETO


Mediante la cura paterna di Gesù, San Giuseppe di Nazareth, posto a capo della Famiglia del Signore, adempì copiosamente la missione ricevuta dalla grazia nell’economia della salvezza e, aderendo pienamente agli inizi dei misteri dell’umana salvezza, è divenuto modello esemplare di quella generosa umiltà che il cristianesimo solleva a grandi destini e testimone di quelle virtù comuni, umane e semplici, necessarie perché gli uomini siano onesti e autentici seguaci di Cristo. Per mezzo di esse quel Giusto, che si è preso amorevole cura della Madre di Dio e si è dedicato con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, è divenuto il custode dei più preziosi tesori di Dio Padre ed è stato incessantemente venerato nei secoli dal popolo di Dio quale sostegno di quel corpo mistico che è la Chiesa.

Nella Chiesa cattolica i fedeli hanno sempre manifestato ininterrotta devozione per San Giuseppe e ne hanno onorato solennemente e costantemente la memoria di Sposo castissimo della Madre di Dio e Patrono celeste di tutta la Chiesa, al punto che già il Beato Giovanni XXIII, durante il Sacrosanto Concilio Ecumenico Vaticano II, decretò che ne fosse aggiunto il nome nell’antichissimo Canone Romano. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha voluto accogliere e benevolmente approvare i devotissimi auspici giunti per iscritto da molteplici luoghi, che ora il Sommo Pontefice Francesco ha confermato, considerando la pienezza della comunione dei Santi che, un tempo pellegrini insieme a noi nel mondo, ci conducono a Cristo e a lui ci uniscono.

Pertanto, tenuto conto di ciò, questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in virtù delle facoltà concesse dal Sommo Pontefice Francesco, di buon grado decreta che il nome di San Giuseppe, Sposo della Beata Vergine Maria, sia d’ora in avanti aggiunto nelle Preghiere eucaristiche II, III e IV della terza edizione tipica del Messale Romano, apposto dopo il nome della Beata Vergine Maria come segue: nella Preghiera eucaristica II: « ut cum beáta Dei Genetríce Vírgine María, beáto Ioseph, eius Sponso, beátis Apóstolis »; nella Preghiera eucaristica III: « cum beatíssima Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum beátis Apóstolis »; nella Preghiera eucaristica IV: « cum beáta Vírgine, Dei Genetríce, María, cum beáto Ioseph, eius Sponso, cum Apóstolis ».

Quanto ai testi redatti in lingua latina, si utilizzino le formule che da ora sono dichiarate tipiche. La Congregazione stessa si occuperà in seguito di provvedere alle traduzioni nelle lingue occidentali di maggior diffusione; quelle da redigere nelle altre lingue dovranno essere preparate, a norma del diritto, dalla relativa Conferenza dei Vescovi e confermate dalla Sede Apostolica tramite questo Dicastero.

Nonostante qualsiasi cosa in contrario.

Dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 1 maggio 2013, S. Giuseppe artigiano.

Antonio Card. Cañizares Llovera
 Prefetto

  + Arthur Roche
 Arcivescovo Segretario

 

TRADUZIONE della singola frase

Nella Preghiera eucaristica II:
«insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli...»;

Nella Preghiera eucaristica III:
«con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con i tuoi santi apostoli....»;

Nella Preghiera eucaristica IV:
«con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con san Giuseppe, suo sposo, con gli apostoli...».

 

***

 

Papismo, papalatria, il senso dei termini

16.06.2013 00:28

 

Papismo, papalatria, il senso dei termini

" Si guardino i sacerdoti dall'accettare nessuna delle idee del liberalismo, che, sotto la maschera del bene, pretende di conciliare la giustizia con l'iniquità...

I cattolici liberali sono lupi coperti dalla pelle di agnello; perciò il sacerdote, che è veramente tale, deve svelare al popolo, commesso alle sue cure, le loro perfide trame, i loro iniqui disegni. Sarete chiamati papisti, clericali, retrogradi, intransigenti. Vantatevene!

Siate forti, ed ubbidite a quel comando che è ricordato in Isaia :"Grida, non darti posa, alza la voce come una tromba, e annunzia al popolo mio le sue scelleratezze e alla casa di Giacobbe i suoi peccati"......"

 

Con queste parole il futuro San Pio X, Giuseppe Sarto all'epoca Patriarca di Venezia, così istruiva i Seminaristi della sua Diocesi.

Prendiamo spunto da queste sue parole per affrontare un argomento attualissimo, si dice infatti: papista o papa-latria?

Naturalmente "papalatria", come tutti i termini creati dalle mode del nostro tempo, in sé non esiste, è un termine che useremo in modo provocatorio perché, tuttavia, rappresenta - o ne è l'espressione - una certa realtà nel rapporto odierno fra i fedeli e la figura del Romano Pontefice.

Avevamo già affrontato un simile argomento con due articoli chiari: Nuovo Papa e non un Papa nuovo, e  La Chiesa di Cristo o la chiesa del Papa?

ora si rende necessario avanzare nell'argomento.

 

Partiamo dal "papismo"

Perché un santo Sacerdote e futuro santo Pontefice come san Pio X usò il termine "papista" additandolo come vanto?

Per comprendere il significato che Papa Sarto dava al termine bisogna risalire a Lutero, si, a lui che per primo usò questo termine, naturalmente in senso dispregiativo e contro coloro che restarono fedeli al Papa dopo le scorribande eretiche di Lutero e la nascita stessa del Protestantesimo.

Papisti, per Lutero, erano tutti quei cattolici che dopo la sua riforma decisero di restare con il Papa difendendone il diritto e l'autorità pontificia, difendendo la vera fede, difendendo la Chiesa Cattolica nel suo corpus dottrinale confermato da Pietro.

Quindi in teoria "papisti" lo siamo ancora oggi tutti noi cattolici che prestiamo fedeltà ed obbedienza al Romano Pontefice.

 

Ma vediamo di capire come questi significati si sono evoluti oggi.

Dalla metà dell'Ottocento e agli inizi del Novecento (anche sotto san Pio X appunto), con gli eventi della Questione Romana e della caduta degli Stati Pontifici - nonché dopo il Concilio Vaticano I sulla questione dell'infallibilità papale - il termine "papista" cominciò ad assumere un contorno ben più marcato  a livello "politico" per taluni (per esempio quanti difendevano la tenuta del potere temporale in chiave politica) e per altri restava, il Sommo Pontefice, il perno dell'unità dottrinale ed ecclesiale.

In poche parole sembrava non bastasse più definirsi "Cattolici" ma che fosse diventato necessario sottolineare una comunione diretta con il Pontefice, magari attraverso un epiteto ad effetto.

 

Non è un caso che il Successore di san Pio X, Papa Benedetto XV nel 1914 ritenne opportuno sottolineare l'uso di certi termini nel Documento "Ad beatissimi Apostolorum" nel quale vi si legge:

"Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici; e procurino di evitarli non solo come « profane novità di parole », che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché ne nascono fra i cattolici grave agitazione e grande confusione.

Il cattolicesimo, in ciò che gli è essenziale, non può ammettere né il più né il meno: Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo; o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina".

 

Perciò, quando ci sentiamo dire: "sono papista, lo ha detto san Pio X", andiamoci piano! Non è esattamente così.

San Pio X appoggiava e sosteneva il significato del termine usato, però, dai nemici del papato e della Chiesa, e non quale nuovo aggettivo per definire un cattolico!

Siamo perciò "papisti" non perché tale appellativo è un "epiteto alla professione del cattolicesimo", quanto piuttosto perché usato dai nemici della Chiesa per offenderci, offendere la nostra comunione con il Pontefice.

In tal senso, per San Pio X l'epiteto non può offenderci, ma deve essere "un vanto", anzi  è un vanto unito ai termini quali "clericali, retrogradi o intransigenti" come ha spiegato lo stesso Pontefice.

Questo è essere veramente "papisti": perseguitati perché si professa integralmente la fede-dottrina della Chiesa e si difende l'autorità del Sommo Pontefice in quel comando divino: "...e tu Pietro, conferma gli altri nella fede" (cfr Lc.22,31-32).

Oggi infatti assistiamo anche ad una sorta di contro altare del termine, l'essere "papisti" infatti ha assunto contorni diversi. Intanto lo si è assunto quale termine identificativo contrariamente a quanto affermato da Benedetto XV nella sua condanna ad assumere nuovi epiteti, inoltre ha assunto un significato diverso. Essere "papisti" oggi, per alcuni, significa essere più papi del Papa stesso, difendere cioè il ruolo del Pontefice da sé stesso!

Si, abbiamo letto bene: difendere il Papa da sé stesso.

Quest'ultimo aspetto nasce con il Concilio Vaticano II a causa di frange che se in un primo momento avevano ragione di difendere il Papato dalle spinte moderniste e progressiste che usando il Concilio come una sorta di cavallo di Troia non aspettavano altro che buttare giù il Primato Petrino, dall'altra però hanno finito per assumere un ruolo quasi superiore al Papa stesso. Come a dire che, per difendere il Primato Petrino realmente messo a rischio, come ebbe a dire Paolo VI, si è finito per diventare più infallibili del Papa stesso, insomma ci si è lasciati prendere un pò troppo la mano.

Il vero "papista" è colui che crede nel ruolo di Pietro, crede nella sua missione e lo sostiene, lo appoggia come può, lo aiuta come hanno fatto i Santi anche criticando  certe scelte (criticare le scelte non il Papa in quanto tale) se queste risultassero erronee, ma restando sempre al suo fianco e soprattutto nell'obbedienza al Magistero bimillenario, altro termine - obbedienza - sovente usato dallo stesso San Pio X a seguito del termine che stiamo analizzando.

Qualunque Cattolico, piuttosto, sostenitore dell'autorità di Pietro nel legittimo Successore regnante, è in sé un "papista", e di questo papismo, come diceva San Pio X, esserne fieri.

In poche parole  l'essere "papisti" era, per San Pio X, essere difensori della Sede Petrina con il Suo legittimo Successore regnante, come insegna anche San Giovanni Bosco.

 

Facciamo ora un ulteriore passo in avanti.

Se vi fermaste, infatti, nella lettura solo fino a questo punto, naturalmente, attribuireste immediatamente questo uso profano del senso "papista" alla frangia esclusivamente detta "tradizionalista" che, senza dubbio in alcune frange più estremiste è facilmente riscontrabile.

Ma non era a loro che pensavamo in particolare, anzi, in termini personali non citiamo nessuno, ognuno ha il dovere di farsi un esame di coscienza per comprendere fino a che punto è davvero "papista" nel senso puro del termine (usato con disprezzo dalle frane protestanti ieri e moderniste oggi), da quel "papismo - autoreferenziale" che pretenderebbe di sostituirsi a Pietro.

Chiarito questo aspetto scaturirebbero da qui centinaia di domande, tutte legittime, ne prendiamo una che abbiamo ricevuto da un sacerdote.

Il Sacerdote che ci ha scritto ci ha elencato una serie di problemi reali e concreti all'interno della sua parrocchia: abusi liturgici, stravolgimento dottrinale, autoreferenzialità nell'esporre le Norme  che disciplinano un rito o lo stesso Catechismo.

Dopo aver tentato in diversi modi di reagire e di portare la famosa e quanto più dimenticata "correzione fraterna", il Sacerdote sente di aver fallito e si è arreso davanti a questa situazione incresciosa, così ci ha scritto e del passo che riteniamo molto significativo, egli scrive:

"Ecco la mia vigliaccheria, non ho saputo  reagire, chi avrebbe voluto reagire rimanendo solo ha con me taciuto, ma io forse avrei dovuto dare l'esempio, ma per fare cosa? Mi sono rifugiato nel silenzio, pregando e leggendo il Santo Curato d'Ars, ma lui aveva almeno il Papa alla sua parte, oggi portano come esempio il Papa non per correggere gli errori, ma per sostenere gli abusi...."

 

Dove e come si configura oggi il termine "papista" all'interno di una situazione così grottesca e paradossale a tal punto che non avremmo più un Papa che ci sostiene nella lotta contro gli abusi liturgici, l'eresia o se preferite l'apostasia, ma un Papa usato e strumentalizzato per legittimare gli abusi, per legittimare la contro-informazione a riguardo della sana dottrina, etica e morale, per legittimare la caduta dell'uomo del nostro tempo?

Domanda ed uso del condizionale d'obbligo poiché basterebbe prendere migliaia di citazioni dei recenti Pontefici, compreso quello regnante, per comprendere che di strumentalizzazioni si tratta, e che i Papi non hanno affatto legittimato gli abusi, l'eresia o l'apostasia.

In verità quel che manca un pò ai Papi oggi è quel:"tra il dire e il fare v'è di mezzo un mare" nel senso che laddove il Magistero riesce ad essere ancora credibile e comprensibile a riguardo di certe condanne, dall'altra parte, all'atto pratico non troviamo il sostegno dei Pontefici nell'applicazione di questo Magistero sempre più risicato e sempre più filtrato dal "politicamente corretto".

In due parole trattasi del monito di nostro Signore: "Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt.5,37) accompagnato e sostenuto dall'autentica apertura apportata dalla predicazione paolina: "Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno" (Col.4,6).

Come si può essere autenticamente "papisti", oggi, senza rischiare di diventare più "papisti del Papa stesso" e neppure così "autoreferenziali" come indicava recentemente Papa Francesco?

Basta davvero ciò che valeva fino a cinquanta anni fa, ossia: "bisogna obbedire al Papa e basta; il Papa ha sempre ragione; qualunque cosa accada io sto con il Papa, ecc..."?

Nell'ultima osservazione, senza dubbio sì: qualunque cosa accada "restare con Pietro" diventa davvero l'unico faro imponente in questo mondo che avanza nelle tenebre più fitte. Così come è pacifico il dovere dell'obbedienza a Pietro.

Tuttavia il punto invece che è possibile discutere è quel "il Papa ha sempre ragione", perché questa "ragione" ha una dipendenza ed è la trasmissione integrale della Fede e della Dottrina della Chiesa di cui il Papa è il custode non il padrone. Quindi anche il Papa è soggetto ad una obbedienza, è soggetto alla conversione, è soggetto a quel "morire a se stessi".

 

Non vi è affatto contraddizione nell'obbedire al Papa e al tempo stesso muovergli delle critiche laddove le sue scelte sociali e politiche risultassero errate, o comunque superate. Abbiamo molti esempi, possiamo citare la famosa "cattività avignonese" per confermare così un fatto storico.

Oppure il breve episodio di San Marcellino Papa (296-304), il Liber Pontificalis, che si basa sugli Atti di San Marcellino, narra che durante la persecuzione di Diocleziano, Marcellino venne chiamato per compiere un sacrificio, e offrì incenso agli idoli, ma che, pentendosi poco dopo, confessò la fede in Cristo e soffrì il martirio assieme a molti compagni, altri documenti parlano della sua defezione, ed è probabilmente questa sua mancanza che spiega così il silenzio su di lui degli antichi calendari liturgici.

Ma per restare ai tempi nostri, con le problematiche del nostro tempo, riportiamo un Documento ufficiale che l'allora cardinale Ratzinger, in qualità di Prefetto per la CdF, ebbe a firmare nel maggio 1990.

Per la prima volta, nel documento sui teologi firmato dal cardinale diventato poi Pontefice, viene affrontata la questione degli errori dottrinali dei papi.

Ecco la spiegazione che viene data, citiamo dal testo integralmente:

"E' accaduto che dei documenti magisteriali non fossero privi di carenze..... (attenzione, non parla di errori dottrinali, ma di carenze, nota nostra)

In questo ambito degli interventi di ordine prudenziale, è accaduto che dei documenti magisteriali non fossero privi di carenze. I Pastori non hanno sempre colto subito tutti gli aspetti o tutta la complessità di una questione. Ma sarebbe contrario alla verità se, a partire da alcuni determinati casi, si concludesse che il Magistero della Chiesa possa ingannarsi abitualmente nei suoi giudizi prudenziali, o non goda dell’assistenza divina nell’esercizio integrale della sua missione...."

 

Lo stesso Ratzinger, esemplificando quei determinati casi, ha accennato alle dichiarazioni dei Papi del secolo scorso sulla libertà religiosa, per esempio, e alle decisioni antimodernistiche di San Pio X all'inizio del Novecento. Il cardinale le ha definite una specie di "disposizione provvisoria", affermando in una intervista di quell'anno che:"... il loro nocciolo resta valido, anche se i singoli particolari, sui quali hanno influito le circostanze dei tempi, possono aver bisogno di ulteriori rettifiche, ossia di assestamento tenendo conto del momento che stiamo vivendo. In alcuni particolari delle determinazioni contenutistiche esse furono superate, la stessa condanna del Modernismo, ad esempio, non ha bisogno di rettifiche, quel Magistero resta sempre valido, tuttavia dopo che nel momento avevano adempiuto al loro compito a riguardo della condanna, era ora necessario andare avanti..."

Ma proseguiamo nella lettura integrale di una parte interessante del Documento:

 

"La missione del Magistero è quella di affermare, coerentemente con la natura «escatologica» propria dell’evento di Gesù Cristo, il carattere definitivo dell’Alleanza instaurata da Dio per mezzo di Cristo con il suo popolo, tutelando quest’ultimo da deviazioni e smarrimenti, e garantendogli la possibilità obiettiva di professare senza errori la fede autentica, in ogni tempo e nelle diverse situazioni. Ne consegue che il significato del Magistero ed il suo valore sono comprensibili solo in relazione alla verità della dottrina cristiana ed alla predicazione della Parola vera. La funzione del Magistero non è quindi qualcosa di estrinseco alla verità cristiana né di sovrapposto alla fede; essa emerge direttamente dall’economia della fede stessa, in quanto il Magistero è, nel suo servizio alla Parola di Dio, un’istituzione voluta positivamente da Cristo come elemento costitutivo della Chiesa. Il servizio alla verità cristiana reso dal Magistero è perciò a favore di tutto il Popolo di Dio, chiamato ad entrare in quella libertà della verità che Dio ha rivelato in Cristo.

 

15. Perché possano adempiere pienamente il compito loro affidato di insegnare il Vangelo e di interpretare autenticamente la Rivelazione, Gesù Cristo ha promesso ai Pastori della Chiesa l’assistenza dello Spirito Santo. Egli li ha dotati in particolare del carisma di infallibilità per quanto concerne materie di fede e di costumi. L’esercizio di questo carisma può avere diverse modalità. Si esercita in particolare quando i vescovi, in unione con il loro capo visibile, mediante un atto collegiale, come nel caso dei concili ecumenici, proclamano una dottrina, o quando il Pontefice romano, esercitando la sua missione di Pastore e Dottore supremo di tutti i cristiani, proclama una dottrina «ex cathedra»[13].

 

16. Il compito di custodire santamente e di esporre fedelmente il deposito della divina Rivelazione implica, di sua natura, che il Magistero possa proporre «in modo definitivo»[14] enunciati che, anche se non sono contenuti nelle verità di fede, sono ad esse tuttavia intimamente connessi, così che il carattere definitivo di tali affermazioni deriva, in ultima analisi, dalla Rivelazione stessa[15].

 

Ciò che concerne la morale può essere oggetto di magistero autentico, perché il Vangelo, che è Parola di vita, ispira e dirige tutto l’ambito dell’agire umano. Il Magistero ha dunque il compito di discernere, mediante giudizi normativi per la coscienza dei fedeli, gli atti che sono in se stessi conformi alle esigenze della fede e ne promuovono l’espressione nella vita, e quelli che al contrario, per la loro malizia intrinseca, sono incompatibili con queste esigenze. A motivo del legame che esiste fra l’ordine della creazione e l’ordine della redenzione, e a motivo della necessità di conoscere e di osservare tutta la legge morale in vista della salvezza, la competenza del Magistero si estende anche a ciò che riguarda la legge naturale[16].

 

D’altra parte la Rivelazione contiene insegnamenti morali che di per se potrebbero essere conosciuti dalla ragione naturale, ma a cui la condizione dell’uomo peccatore rende difficile l’accesso. È dottrina di fede che queste norme morali possono essere infallibilmente insegnate dal Magistero[17].

 

***

Perdonateci la lunga citazione, ma fondamentale, per comprendere - e così concludere - in quale senso noi possiamo essere fieri, oggi, di sentirci dire per disprezzo "siete papisti".

Nel momento in cui siamo in grado di provare con il Magistero alla mano (Catechismo e Documenti: testi, encicliche, lettere apostoliche, e quant'altro di ufficiale nel loro complesso e non nelle singole estrapolazioni) la realtà di questo "esercizio-compito- ",  servizio petrino in difesa della verità dottrinale, e di quel sano discernimento " per la coscienza dei fedeli, gli atti che sono in se stessi conformi alle esigenze della fede e ne promuovono l’espressione nella vita, e quelli che al contrario, per la loro malizia intrinseca, sono incompatibili con queste esigenze....",

noi dobbiamo appoggiare e sostenere il Sommo Pontefice, e nel farlo siamo "papisti".

Tutto il resto che non rientrasse all'interno di questo "esercizio", restando ai margini di scelte politiche e al di fuori dei termini dottrinali (o se disgraziatamente persino contro), noi abbiamo il dovere di discuterlo senza per questo mettersi contro il Pontefice.

 

Veniamo così alla provocazione finale: papa-latria

 

Che cosa si intende?

Essendo un termine dal conio moderno e nuovo, associato ad un comportamento più dei fedeli che dall'esercizio del Pontefice, ricordiamo che lo stiamo usando in senso provocatorio e non certo quale affermazione di una nuova realtà oggettiva.

C'è un paradosso: papa-latria è un termine usato oggi contro quei cattolici "papisti" (ma nel senso corretto come indicato da San Pio X) che cercano di difendere l'autorità del Pontefice legittimamente regnante che, pontificando contro una certa deriva etica e morale, vengono accusati di non avere il coraggio di opporsi al Magistero Pontificio e difendere la legittima democrazia che dovrebbe entrare - secondo loro - nella Chiesa e porre fine a degli obblighi morali dettati dalle dottrine intramontabili.

Perché lo definiamo un paradosso?

Perché in realtà esiste una papa-latria oggi, ma non appartiene a chi è davvero "papista", bensì appartiene a quella schiera di cattolici che, navigando contro i Dieci Comandamenti e contro l'etica e la morale insegnata dalla Chiesa, quindi dai Pontefici, davanti all'opinione pubblica stanno sì con il Papa ma solo se è "simpatico, buono, bravo e bello", insomma ci troviamo davanti al "culto della persona" del Pontefice, a seconda delle simpatie ma senza obbedire alle dottrine, senza ascoltarlo nel Magistero, oppure estrapolando singole frasi e strumentalizzandone i contenuti disseminano cambiamenti dottrinali in suo nome, attribuendo il tutto al Papa.

Questa è la vera papa-latria.

 

Facciamo qualche esempio concreto.

Il Papa parla della povertà. C'è stata una eco assordante quando Papa Francesco ha detto come primo Discorso ai giornalisti: quanto vorrei una Chiesa povera!

In un momento la frase del Papa ha fatto il giro del mondo attribuendogli, tuttavia, una interpretazione contro la Chiesa stessa a riguardo (solito esempio trito e ritrito) degli accessori liturgici, le Basiliche con i loro contenuti come se bastasse, per risolvere la crisi della povertà, vendendo un patrimonio che non è affatto vendibile in quanto senza prezzo, e che se vendibile chi dovrebbe essere l'acquirente? Un museo, un privato, uno Stato?

Qui si è scatenata la vera papa-latria: simpatia alla massima centrifuga per il Papa che finalmente "spoglierà la Chiesa e venderà tutti i suoi ori"....

Ma quando Papa Francesco ha detto nella prima Messa con i Cardinali le seguenti parole: "Quando non si confessa Gesù Cristo..... “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio....  camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso"... queste parole non hanno avuto la stessa eco, non sono state assimilate da questi cattolici effetti da papa-latria.

Parole completamente ignorante e sepolte.

Il vero "papista" vive invece di queste espressioni e sa perfettamente che confessare Gesù Cristo Crocifisso significa anche vivere di quella povertà che non è affatto lo spogliarsi esteriormente, o andare in giro a spogliare la Sposa di Cristo di accessori che non gli appartengono, ma "spogliarsi internamente" - morire a sé stessi - per poi arrivare, per chi può, a quella perfezione che sta nel "vendere tutto quello che hai, darlo ai poveri, e poi seguire il Signore" ossia consacrarsi a Lui (Mt.19,21), vivere di Lui, per Lui e con Lui.

Vendi quello che hai, vendi ciò che è in tuo possesso, e non "vendi ciò che non ti appartiene".

Il Papa stesso non potrebbe vendere affatto nulla di ciò che è dentro le Basiliche (tanto per fare un esempio) a disposizione  per il servizio liturgico perché non è "un suo possesso" ma ne è il custode con tutta la dottrina che questi apparati comportano. La vera Chiesa povera sta nella sobrietà di vita delle sue Membra, questo ha sempre insegnato la dottrina della Chiesa, questo è stato sempre l'esempio concreto di molti Santi e Beati, Sacerdoti e Vescovi.

 

Passiamo ad un altro esempio eclatante: Giovanni Paolo II baciò il Corano.

Ci è lecito criticare il gesto rimanendo onestamente "papisti", senza scontrarsi con l'accusa di "saperne più del Papa"?

Sì!

La papa-latria la esercitò chi applaudì quel gesto attribuendo al Papa stesso intenzioni certamente mai sfiorate. Si applaudì il gesto dimenticando lo scandalo che questo gesto ha prodotto dal momento che nel Corano non è solo contenuto la negazione dell'Incarnazione divina del Figlio di Dio e la negazione della Morte di Gesù sulla Croce e persino la negazione della Sua Risurrezione, ma c'è proprio scritta ed impartita la condanna ai fedeli cristiani che non faranno abiura della dottrina della Chiesa sulla realtà di Dio stesso.

Nel momento in cui non ci è possibile venire a conoscenza delle intenzioni assunte dal Pontefice e le eventuali "giustificazioni" socio-politiche di quel momento storico, abbiamo tuttavia il dovere di affermare senza esitazione che quel gesto in sé stesso provocò grave scandalo e seminò una gravissima confusione all'interno del gregge molto del quale, imbevuto di mediatica papi-latria, finì per affermare che il Papa aveva decretato con quel gesto che "tutte le religioni sono uguali".

Il vero "papista" invece, fu colui che pur condannando il gesto in sé non esitò a far celebrare Messe di riparazioni, rimase accanto al Papa soffrendo per quel bacio ad un testo che condanna i cristiani e che nega la Santissima Trinità.

 

Vogliamo portare un ultimo esempio perché proviene da una penna molto più importante e credibile della nostra, dal cardinale Giacomo Biffi dal suo libro "Memorie di un cardinale italiano".

In questo libro il cardinale mette a nudo alcune leggerezze messe in atto da Giovanni XXIII attraverso alcune sue affermazioni, quindi muove delle critiche costruttive.

Mette a nudo l'episodio che anticipava il famoso "Mea culpa" di Giovanni Paolo II al quale il cardinale stesso racconta di come gli avesse fatto presente delle lacune e delle ambiguità contenute in alcune espressioni del testo.

Infine dedica una Lettera aperta al futuro Papa che non era ancora stato eletto, e che poté leggere proprio in Conclave dal quale uscì Benedetto XVI nel 2005.

Fra le "cose che avrebbe voluto dire al futuro Papa", disse questo:

"Vorrei dire al futuro papa che faccia attenzione a tutti i problemi. Ma prima e più ancora si renda conto dello stato di confusione, di disorientamento, di smarrimento che affligge in questi anni il popolo di Dio, e soprattutto affligge i 'piccoli'. Qualche giorno fa ho ascoltato alla televisione una suora anziana e devota che così rispondeva all’intervistatore: 'Questo papa, che è morto, è stato grande soprattutto perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali'. Non so se Giovanni Paolo II avrebbe molto gradito un elogio come questo...."

 

Lampante il riferimento alla prima riunione interreligiosa di Assisi in pieno fetore sincretista dal quale lo stesso Ratzinger prese le distanze correggendo per una futura partecipazione corretta una volta diventato Papa.

Eccolo un vero "papista", quella suora portata nell'esempio del cardinale invece è, chiaramente, una affetta da papa-latria.

 

Potremmo accennare all'uso anche del termine "papa-crazia", usato da molti cattolici progressisti che vorrebbero così un Pontefice democratico, ossia umano, e non legato al suo ruolo nell'infallibilità petrina e associato alla famosa "collegialità", ma alla fine sarebbe lo stesso della papa-latria.

Potremmo anche dire che credevamo che certa papa-latria avesse raggiunto il suo culmine con il Pontificato di Giovanni Paolo II, ma probabilmente, in questo, ci eravamo sbagliati.

Noi siamo certi che il Pontificato di Papa Francesco riserverà moltissime sorprese ai cattolici progressisti, non sorprese a loro favorevoli, ma non escludiamo un eccesso di papa-latria ancora maggiore al suo Predecessore beatificato che a quanto pare è stato già eclissato dai Media.

Vogliamo restare piuttosto fedeli al termine "papisti" così come lo intendevano san Pio X e san Giovanni Bosco ed anche l'umile frate san Pio da Pietralcina che in fatto di obbedienza al Papa, ma al tempo stesso anche di critica a certo sistema curiale,  ha ancora molto da insegnare.

Una volta un santo Sacerdote ci disse: "... in fondo le membra della Chiesa dovrebbero o potrebbero somigliare un pò le Guardie Svizzere: queste sono persone che si arruolano in modo del tutto volontario non solo per mantenere viva una tradizione nata nel sangue, ma soprattutto perché credono in quello che fanno e lo svolgono egregiamente. Forse ogni battezzato cattolico dovrebbe avere nel cuore un sentimento tanto vivo come quello che anima l'arruolamento di queste persone per la tutela della libertà del Papa, una libertà di cui nessuno mai parla, mentre ognuno difende la propria".

 

***

 

 

 

 

Storia del Battesimo chiarimenti sul Limbo

09.06.2013 09:32

 

BATTESIMO AI BAMBINI STORIA E CATECHESI

 

La prima questione sul Battesimo, dopo gli eventi del Cristo morto e Risorto, viene suscitata in seno al collegio degli Apostoli e riportato in Atti 15, un evento questo considerato come il "primo Concilio di Gerusalemme" nel quale gli Apostoli prendono una decisione vincolante per tutta la Chiesa: la sostituzione della Circoncisione con il Battesimo in Cristo e di Cristo.

"Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: «Se non vi fate circoncidere secondo l'uso di Mosè, non potete esser salvi».

Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione...." (Atti15,1 e ss.), da allora la frase cambierà con questo monito: «Se non vi fate battezzare non potete esser salvi».

Ci vorranno quasi centocinquanta anni prima che questa prassi diventi uguale e vincolante per tutta la Chiesa, poiché molti Cristiani provenivano dal giudaismo e quindi molti erano già circoncisi e continuavano ad obbligare i convertiti che frequentavano le loro sinagoghe, alla circoncisione oltre che al Battesimo.

Fu quindi una presa di coscienza lenta e faticosa, ma inesorabilmente possiamo dire che fu il primo dogma impartito dalla Chiesa.

Da qui possiamo snocciolare tutta la storia sul Battesimo nella vita della Chiesa: l'uso per aspersione o per immersione, a grandi e piccini. Sì, fin dal primo secolo, fin dalla prima ora, la Chiesa ha battezzato sempre anche i bambini quando, naturalmente, questi provenivano da famiglie che, convertendosi si facevano battezzare con tutta la famiglia.

"Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e anche molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano e si facevano battezzare" (Atti 18,8). La richiesta al Battesimo per loro bambini, partiva sempre da una volontà libera e cosciente dei genitori o dei tutori.

Il fatto che per i primi secoli sono spesso citati solo gli adulti come sant'Agostino ed altri che si facevano battezzare in età adulta, non vuol dire che ai bambini non si dava. Questo derivava dal fatto che i convertiti adulti provenienti spesso da famiglie pagane o giudaiche avevano conosciuto Cristo in età adulta e la famiglia non si era certo preoccupata di dare loro, da bambini, il Battesimo. Inoltre sono le loro biografie ad aver intessuto le storie sulla dottrina della Chiesa come appunto sant'Agostino, e sono loro che ci raccontano questi fatti, è ovvio pertanto che non avremmo testimonianze di bambini atti a raccontarci sul loro battesimo.

 

Quindi, la questione del Battesimo ai bambini fu risolto immediatamente da quel primo Concilio di Gerusalemme, quando il Battesimo andò a sostituire la circoncisione, sia nel Nuovo Testamento quanto nella Patristica non troveremo la discussione sul fatto che il Battesimo non doveva essere dato ai bambini, esso infatti sostituendo la circoncisione, non sostituiva l'età di questa che veniva fatta all'ottavo giorno del nascituro: "All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni» (Lc.1,59-60); così avvenne anche per Gesù: "Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù" (Lc.2,21).

Non si sostituiva l'età, ma veniva introdotto, dagli Atti degli Apostoli cap. 15, il nuovo Sacramento della vera salvezza.

 

Perché allora ancora oggi abbiamo questa discussione, spesso col mondo pentecostale e protestante, sulla questione del Battesimo ai bambini?

Semplice, perché invece di ascoltare la Chiesa e sottomettersi al suo insegnamento, si preferisce discutere e opporre resistenza, dando origine alle proprie opinioni ed interpretazioni assunte come verità. Si denuncia e si nega alla Chiesa il diritto ad insegnare e trasmettere la verità, per poi rivendicare a se stessi una infallibilità poggiata sulle proprie opinioni.

A spiegarci tutto questo è il grande sant'Agostino in diversi interventi.

Il 12 aprile 2013 Papa Francesco, ricevendo la Pontificia Commissione biblica, proprio quella che raccoglie gli esegeti e i teologi per l'interpretazione della Scrittura, ha ribadito loro questi concetti fondamentali:

"Proprio perché l'orizzonte della Parola divina abbraccia e si estende oltre la Scrittura, per comprenderla adeguatamente è necessaria la costante presenza dello Spirito Santo che «guida a tutta la verità» (Gv 16,13). Occorre collocarsi nella corrente della grande Tradizione che, sotto l'assistenza dello Spirito Santo e la guida del Magistero, ha riconosciuto gli scritti canonici come Parola rivolta da Dio al suo popolo e non ha mai cessato di meditarli e di scoprirne le inesauribili ricchezze (..) 

La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Ambedue infatti, scaturendo dalla stessa divina sorgente, formano, in un certo qual modo, una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti, la Sacra Scrittura è Parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l'ispirazione dello Spirito Santo; invece la sacra Tradizione trasmette integralmente la Parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli Apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano. In questo modo la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura. Perciò l'una e l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di riverenza. (..)

Ciò comporta l'insufficienza di ogni interpretazione soggettiva o semplicemente limitata ad un’analisi incapace di accogliere in sé quel senso globale che nel corso dei secoli ha costituito la Tradizione dell'intero Popolo di Dio..."

 

Perciò parliamo chiaro da subito: o si accetta di procedere in questo modo insegnato dalla Chiesa e ripetuto da tutti i Papi, compreso il Pontefice regnante, oppure ci si assuma la responsabilità davanti a Dio riconoscendosi "fuori" della Chiesa, perché chiunque voglia mantenere il riconoscimento di essere cattolico e nell'unica Chiesa di Cristo, deve sottostare all'insegnamento degli Apostoli e dei loro Successori.

 

Chiarito questo aspetto veniamo agli eventi storici sul Battesimo ai bambini.

C'è un altro aspetto da chiarire.

Quando si discute con i pentecostali, i protestanti in genere, ma anche con non pochi cattolici che rifiutano di battezzare i propri figli da piccoli, tendiamo sempre a farci soffocare dal metodo usato dai negatori di questo dono ai bambini. Lasciamo a loro di manipolare la Scrittura come vogliono, estrapolare singole frasi e su queste provare come la Chiesa sbaglia, non ne ricavano un ragno dal buco.

Se il Signore ci ha detto che i figli delle tenebre sono più scaltri dei figli della luce, e se ci ha suggerito di essere astuti come serpenti e docili come colombe, un motivo ci sarà, non credete?

Perché non impariamo il metodo dei Padri così tanto fruttuoso come ci insegna lo stesso sant'Agostino?

E' vero che anche sant'Agostino usa prendere le frasi dalle Scritture, ma alla base dei suoi ragionamenti non sta la spiegazione del singolo verso citato, bensì c'è la Tradizione, l'insegnamento della Chiesa che spiega, semmai, il verso estrapolato.

La nostra tendenza oggi è quella di usare lo stesso metodo protestante: il Sola Scriptura.... e su questa linea è ovvio che non ne usciamo fuori, le discussioni si animano perché non è la Tradizione che scaturisce ma le nostre interpretazioni, che per quanto giuste possano essere, diventano una battaglia a suon di versetti biblici contro altre interpretazioni. Diventa così uno scontro improduttivo e logorante.

E' importante insistere sul vero metodo che dobbiamo usare per essere davvero utili alla Chiesa e alla nuova evangelizzazione.

Sant'Agostino insegna che non dobbiamo preoccuparci di convincere gli altri delle nostre ragioni, ma che dobbiamo "seminare" la speranza che è in noi, il metodo della Chiesa è quello della semina, quello degli eretici è il metodo della contestazione; loro - spiega sant'Agostino - vogliono convincerci che la Chiesa ha torto, noi dobbiamo dimostrare solo di quanto la semina della Chiesa porta frutto.

E Papa Francesco ci ha appena ricordato quale è questo metodo: non la Scrittura soltanto, ma la Scrittura insieme alla Tradizione.

Quindi cerchiamo di avere come base teologica e catechetica quella del Documento firmato da Giovanni Paolo II nel 1980 e promulgato dalla CdF: Istruzione del Battesimo sui bambini, dal quale andremo ad attingere alle fonti indiscutibili, che se poi altri non accettano non è un problema nostro, vediamo noi piuttosto di imparare bene le cose come stanno, di renderci testimoni della vera Tradizione (=trasmettere) e di mettere in pratica quanto i Santi hanno insegnato e trasmesso.

 

Veniamo così agli accenni storici: . Sia in Oriente che in Occidente la prassi di battezzare i bambini è considerata una norma di tradizione immemorabile. Origene, e più tardi S. Agostino, la ritengono una « tradizione ricevuta dagli Apostoli ». S. Ireneo nel secondo secolo ci dimostra come la prassi del Battesimo ai bambini sia amministrazione ordinaria tanto da non fare notizia. Nel terzo secolo cominciamo ad avere del materiale più dettagliato anche perché arricchito dalla presenza dei Sinodi e così S. Cipriano, partecipando ad un Sinodo dei vescovi africani, afferma che « non si può negare la misericordia e la grazia di Dio a nessun uomo che viene all'esistenza »; e lo stesso Sinodo, richiamandosi all'« uguaglianza spirituale » di tutti gli uomini « di qualsiasi statura ed età », decretò che si potevano battezzare i bambini « già dal secondo o terzo giorno dopo la nascita ».

E' importante sottolineare che la Chiesa, specialmente dal Concilio ultimo, insiste non sul concetto di "obbligo" ma di dovere, non obbligare ma responsabilizzare, usare fede e ragione insieme per comprendere l'importanza non soltanto di battezzare i bambini, ma di imparare ed accettare anche tutto il resto del corpo dottrinale insieme, naturalmente, ai Dieci Comandamenti.

In passato il concetto di "obbligare" ha spesso causato dei rigetti o addirittura una apprensione innaturale verso certi Sacramenti e così, nel Quarto secolo vediamo un regresso del Battesimo ai bambini perché a quell'epoca, infatti, quando gli stessi adulti differivano la loro iniziazione cristiana, nel timore delle colpe future e nella paura della penitenza pubblica, molti genitori rinviavano, per gli stessi motivi, il battesimo dei loro bambini.

Questo periodo va compreso meglio: siamo al tempo dei "lapsi" che letteralmente significa "scivolati-caduti" ed erano quei cristiani che a causa delle lunghe ed estenuanti persecuzioni, cedevano alla paura e finivano per abiurare alla fede cristiana pur di salvare se stessi o i propri familiari dalla ferocia dei nemici. Il problema è che all'epoca, per ritornare nella Chiesa, si doveva confessare pubblicamente il proprio peccato e spesso la comunità stessa non perdonava questi pentiti e perciò, per evitare umiliazioni e maltrattamenti, finivano per allontanarsi del tutto. Si giunse così a discutere se fosse stato necessario "ribattezzare" gli apostati e anche se non fosse arrivato il momento di rendere la confessione meno pubblica e più personale, privata.... la Chiesa che è MADRE.... comprese che forse non era il caso che tutta la comunità giudicasse i peccati altrui  con il rischio per altro che non li avrebbero più perdonati, mentre è dogma di fede che la Chiesa può rimettere tutti i peccati senza alcuna eccezione, in tal modo si afferma così anche la confessione auricolare, ossia privata.

Così, alla fine del IV secolo viene opposto alle dottrine pelagiane l’antico uso di battezzare i bambini, allo stesso modo che gli adulti, « per la remissione dei peccati ». Tale uso — come avevano rilevato Origene e S. Cipriano già prima di S. Agostino — confermava la fede della Chiesa nell’esistenza del Peccato Originale, e di conseguenza appariva ancora più evidente la necessità del battesimo dei bambini. In tal senso intervennero i Papi Siricio e Innocenzo I ; in seguito il Concilio di Cartagine del 418 condanna « coloro che negano che si debbano battezzare i bambini appena usciti dal seno materno » e afferma che « in virtù della regola della fede » della Chiesa cattolica circa il peccato originale « anche i più piccoli, che non hanno ancora potuto commettere personalmente alcun peccato, sono veramente battezzati per la remissione dei peccati, perché mediante la rigenerazione sia purificato in essi ciò che hanno ricevuto dalla nascita ».

 

Se notiamo bene le dispute con i pentecostali, ma anche con certi cattolici non ben formati, scopriamo che alla base della loro negazione del Battesimo ai bambini non stanno le Scritture da loro estrapolate e citate, ma la negazione del Peccato Originale così come lo insegna la Chiesa Cattolica da sempre.

Se non si riconosce e non si accetta la dottrina sul questo Peccato d'origine, sarà impossibile comprendere per loro l'urgenza di dare il Battesimo ai bambini.

Il Concilio di Vienne, nel 1312, fa un altro passo avanti e sottolinea che « nel battesimo vengono conferite, sia ai bambini che agli adulti, la grazia informante e le virtù » e non viene solo rimessa la colpa originale.

Il Concilio di Firenze, nel 1442, riprende coloro che vogliono differire questo Sacramento, e ammonisce che « si deve amministrare quanto prima possibile » il battesimo ai neonati, « mediante il quale sono sottratti al potere del demonio e ricevono l’adozione a figli di Dio » .

 

Come vediamo, nel corso dei secoli, non è che la Chiesa ha aggiunto delle novità alla Scrittura, ma al contrario ha preso la Scrittura sempre di più per confermare la validità del suo insegnamento dottrinale!

Infatti, giunti al Concilio di Trento la Chiesa rinnova la condanna del Concilio di Cartagine e, richiamandosi alle parole di Cristo a Nicodemo, dichiara che « dopo la promulgazione del Vangelo » nessuno può essere giustificato « senza il lavacro di rigenerazione o il desiderio di riceverlo ». Fra gli errori colpiti da anatema dal Concilio si trova l’opinione degli Anabattisti, secondo i quali era meglio « omettere il loro battesimo (dei bambini) piuttosto che battezzarli, siccome non credono con un atto personale, nella fede della Chiesa »...

Così , anche il Papa Paolo VI, tanto per citare il nostro secolo e l'ultimo Concilio, molto opportunamente, ha richiamato solennemente l’insegnamento bimillenario su questo punto, dichiarando che « il battesimo deve essere amministrato anche ai bambini che non hanno ancor potuto rendersi colpevoli di alcun peccato personale, affinché essi, nati privi della grazia soprannaturale, rinascano dall’acqua e dallo Spirito Santo alla vita divina in Gesù Cristo ».

Sono Duemila anni che la Chiesa insegna la medesima dottrina e sono secoli che la Chiesa deve combattere e spiegare a quanti si ribellano al suo insegnamento.

Senza dubbio che quanto abbiamo esposto non esaurisce l'argomento tanto ricco e vasto sull'importanza di questo Sacramento ai bambini, ma certamente risponde sufficientemente agli errori propagati dalle varie eresie, specialmente a quanti negano alla Chiesa primitiva l'uso di dare il Battesimo ai bambini; ciò è falso, e non serve a nulla  discutere a suon di frasi estrapolate dalla Scrittura se si vuole volutamente ignorare la Tradizione.

Il Battesimo non toglie solamente i peccati commessi dagli adulti prima della loro conversione a Cristo, ma toglie il Peccato Originale, è un dono gratuito di Cristo che ci rende "figli adottivi", infonde le grazie e le virtù, ci associa quale membra del Corpo mistico di Cristo, la Chiesa, nella catechesi dei Santi Padri infatti e nell’insegnamento dei Dottori della Chiesa: il battesimo è manifestazione del preveniente amore del Padre, partecipazione al mistero pasquale del Figlio, comunicazione di una nuova vita nello Spirito; esso fa entrare gli uomini nell’eredità di Dio e li aggrega al Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

Dove sta scritto, piuttosto, che i bambini sono esclusi da tutto questo?

In tale prospettiva - spiega il testo che stiamo citando - l’avvertimento di Cristo nel Vangelo di S. Giovanni: « Se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio », deve essere inteso come l’invito di un amore universale e infinito; sono le parole di un Padre che chiama tutti i suoi figli e vuole il loro sommo bene. Questo appello irrevocabile e pressante non può lasciare l’uomo indifferente o neutrale, perché egli non può realizzare il suo destino se non accogliendo tale appello.

(..) Infatti in base alle parole di Gesù a Nicodemo essa « ha sempre ritenuto che i bambini non debbano essere privati del battesimo ». Quelle parole hanno, in realtà, una forma così universale e assoluta, che i Padri le hanno giudicate atte per stabilire la necessità del battesimo, e il Magistero le ha applicate espressamente al caso dei bambini:  anche per essi questo Sacramento è l’ingresso nel Popolo di Dio  e la porta della salvezza personale....

 

Come vediamo il metodo usato dalla Chiesa fin dai Padri non è semplicemente quello di confutare frase per frase le estrapolazioni dalle Scritture, ma il così " deve essere inteso ", quella Tradizione che non solo scriveva ma dettava a voce e tutta la comunità doveva imparare la giusta ermeneutica, la corretta interpretazione che ci riporta allo stesso metodo usato dagli Apostoli citati all'inizio: "Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi. Abbiamo perciò deciso tutti d'accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo, uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo mandato dunque Giuda e Sila, che vi riferiranno anch'essi queste stesse cose a voce. Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie..."

(At.15,24-28).

E' impossibile confutare le accuse che ci vengono rivolte se, chi accusa, rifiuta questo metodo che la Chiesa ha sempre mantenuto costante e fedele nelle dispute dottrinali.

Perciò, mediante la sua dottrina e la sua prassi fedele alla Tradizione, la Chiesa ha  sempre dimostrato con dovizia di particolari, di non conoscere altro mezzo, al di fuori del Battesimo, per assicurare ai bambini l’accesso alla beatitudine eterna: per cui si guarda dal trascurare la missione ricevuta dal Signore di far « rinascere dall’acqua e dallo Spirito » tutti coloro che possono essere battezzati. Quanto ai bambini morti senza il Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come fa nel rito delle esequie disposto per essi...

 

Qui è necessario spendere due parole sul famoso Limbo.

E' stato cancellato, cambiato? Quindi la Chiesa ha modificato una dottrina?

Nulla di tutto ciò, il Limbo non è mai stata una dottrina né un dogma, ma una constatazione teologica davanti al dramma di un bambino che morendo senza il Battesimo, lo sostiene la Scrittura, non avrebbe alcun diritto di accedere direttamente in Paradiso.

Il fatto che i bambini non possano ancora professare personalmente la loro fede non impedisce alla Chiesa di conferire loro questo Sacramento, poiché in effetti li battezza nella propria fede. Questo punto dottrinale era già chiaramente fissato da S. Agostino, il quale scriveva: « I bambini sono presentati per ricevere la grazia spirituale, non tanto da coloro che li portano sulle braccia (benché anche da essi, se sono buoni fedeli), quanto dalla società universale dei santi e dei fedeli… È tutta la Madre Chiesa dei santi che agisce, poiché essa tutta intera genera tutti e ciascuno ».

S. Tommaso d’Aquino, e dopo di lui tutti i teologi, riprendono lo stesso insegnamento: il bambino che viene battezzato non crede da solo, con un atto personale, ma tramite altri, attraverso « la fede della Chiesa che gli è comunicata ».

 

Ma non c'è stato un documento di recente che ha "abolito" il Limbo?

NO! Non si può abolire qualcosa che non è dichiarato dottrinalmente o dogmaticamente. Le cose sono assai ben diverse da quelle riportate dai giornali di allora che subito dichiararono "la Chiesa ha abolito il Limbo".

Il Documento di cui parliamo si intitola: La speranza della salvezza, emanato dalla Commissione Teologica internazionale.

Già il titolo ci fa capire che non c'è stata alcuna abolizione, ma semmai è stata aggiunta una specificazione.

Il Documento dice testualmente:

" Questa teoria (del Limbo), elaborata da teologi a partire dal Medioevo, non è mai entrata nelle definizioni dogmatiche del Magistero, anche se lo stesso Magistero l’ha menzionata nel suo insegnamento fino al Concilio Vaticano II. Essa rimane quindi un’ipotesi teologica possibile...."

Che cosa è cambiato allora con il Documento? Leggiamo testualmente:

"Riflettendo sul tema della sorte dei bambini che muoiono senza Battesimo, la comunità ecclesiale deve sempre ricordare che Dio è, a rigor di termini, il soggetto, più che l’oggetto, della teologia. Primo compito della teologia è quindi l’ascolto della Parola di Dio. La teologia ascolta la Parola di Dio espressa nelle Scritture, al fine di trasmetterla amorevolmente a ogni persona. Tuttavia sulla salvezza di coloro che muoiono senza Battesimo, la Parola di Dio dice poco o niente. (..)

In secondo luogo, e in considerazione del principio lex orandi lex credendi, la comunità cristiana prende nota del fatto che nella liturgia non si fa alcun riferimento al limbo. In effetti la liturgia comprende la festa dei Santi Innocenti, che vengono venerati come martiri, nonostante non siano stati battezzati, perché sono stati uccisi «per Cristo» . (..)

La Chiesa affida alla misericordia di Dio quei bambini che muoiono senza Battesimo. Nell’Istruzione sul Battesimo dei bambini del 1980 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ribadito che, «quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito dei funerali per loro» . Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) aggiunge che «la grande misericordia di Dio che vuole salvi tutti gli uomini [1 Tm 2,4], e la tenerezza di Gesù verso i bambini, che gli ha fatto dire “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite” (Mc 10,14), ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza Battesimo» (..)

In terzo luogo, la Chiesa non può fare a meno di incoraggiare la speranza della salvezza per i bambini morti senza Battesimo per il fatto stesso che «essa prega perché nessuno si perda» , e prega nella speranza che «tutti gli uomini siano salvati» (..)

Infine, nel riflettere teologicamente sulla salvezza dei bambini che muoiono senza Battesimo, la Chiesa rispetta la gerarchia delle verità e quindi comincia col riaffermare chiaramente il primato di Cristo e della sua grazia, che ha priorità su Adamo e il peccato. Cristo, nella sua esistenza per noi e nel potere redentore del suo sacrificio, è morto e risorto per tutti. Con tutta la sua vita e il suo insegnamento ha rivelato la paternità di Dio e il suo amore universale. Se la necessità del Battesimo è de fide, devono invece essere interpretati la tradizione e i documenti del Magistero che ne hanno riaffermato la necessità.

È vero che la volontà salvifica universale di Dio non si oppone alla necessità del Battesimo, ma è anche vero che i bambini, da parte loro, non frappongono alcun ostacolo personale all’azione della grazia redentrice. D’altra parte il Battesimo viene amministrato ai bambini, che non hanno peccati personali, non solo per liberarli dal peccato originale, ma anche per inserirli nella comunione di salvezza che è la Chiesa, per mezzo della comunione nella morte e resurrezione di Cristo (cfr Rm 6,1-7). La grazia è totalmente gratuita, in quanto è sempre puro dono di Dio. La dannazione, invece, è meritata, perché è conseguenza della libera scelta umana. Il bambino che muore dopo essere stato battezzato è salvato dalla grazia di Dio e mediante l’intercessione della Chiesa, con o senza la sua cooperazione..."

 

Alla luce di questi ulteriori chiarimenti, aggiunge il testo: "Ci si può chiedere se il bambino che muore senza Battesimo, ma per il quale la Chiesa nella sua preghiera esprime il desiderio di salvezza, possa essere privato della visione di Dio anche senza la sua cooperazione..."

E' una domanda legittima che la Chiesa si pone proprio perché la Scrittura non da una risposta chiara in materia. Questo è il punto!

Per questo lo stesso Documento sottolinea che:  Essa rimane quindi un’ipotesi teologica possibile.... ma non è mai stata una dottrina, né un dogma.

 

E' fondamentale per noi interpretare con la Chiesa la Scrittura, San Paolo a Tito cap. 3

dice:

"Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo,  effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna...."

I protestanti (e così una certa teologia progressista) danno evidentemente un significato diverso al termine lavacro usato da Paolo. In verità come ben si legge è per questo lavacro(=Battesimo) che siamo salvati e non per la fede in sè stessa che si acquista nel crescere... essa è "dono" non emanazione nostra.

 

San Paolo specifica "per sua misericordia", questo è ciò che chiamiamo "dono", ed ecco che il Catechismo da molti citato sulla questione del Limbo riporta come "ultima istanza", appello se vogliamo, la giustizia di Dio e la sua Misericordia per tutti quei bambini ai quali "per una ingiustizia umana", vedasi i genitori che rifiutano di dare loro questa grazia, per una sorte avversa o per altro come la gravità il martirio dell'aborto, non è dato questo lavacro di salvezza, senza il quale  non si viene rigenerati, non si viene innestati nella vite, non si viene associati alla Comunione dei Santi in Cristo, non si viene "rivestiti di Cristo".

 

Dunque, questa "ipotesi teologica" sul Limbo ha, tutto sommato, una sua ragione di esistere che parte sempre da quella Misericordia che trovarono i Padri conciliari a Firenze proprio per richiamare l'urgenza degli adulti verso il Battesimo da dare ai bambini, possiamo dire che il richiamo al Limbo deve spronarci invece a maturare in noi la coscienza nel dare ai bambini il Battesimo quanto prima possibile per non privarli della grazia, per non privarli di quel "rivestirsi di Cristo".

Diversamente la discussione sul Limbo si o no, verrebbe tenuta in piedi da coloro che vorrebbero giustificare la scelta di tanti incoscienti genitori che rifiutano di dare il Battesimo ai propri figli piccoli.

 

Per concludere.

La Chiesa stessa insegna che morendo esistono tre realtà: il Paradiso, l'Inferno e il Purgatorio il quale smetterà di essere quando il Signore ritornerà alla fine dei tempi con il Giudizio Universale.

Quindi il Limbo non fa parte di alcun dogma di fede perché non in sé neppure un luogo.

Tuttavia, se il Battesimo è necessario alla salvezza come insegna la Scrittura, ne consegue che i bambini, che non hanno ricevuto il Battesimo sacramentale, sempre secondo la Scrittura non possono accedere al Paradiso, pagando così le conseguenze del Peccato Originale, poiché però anche in questo caso la Scrittura non specifica la sorte di queste Anime che non andrebbero né all'inferno né al Paradiso ma nemmeno al Purgatorio, giacché non hanno potuto esprimere la loro scelta, ecco che la Chiesa ha trovato il "limbo" che suona per altro come il "non luogo" e che letteralmente significa "lembo-orlo" come a cercare una via d'uscita ad una situazione che la Scrittura non chiarisce.

Occorre dire che vi è anche un'altra tesi usata dalla Chiesa, che vede il limbo come propaggine-lembo del Paradiso. Per cui i bambini, sono all'ultimo grado della beatitudine, salvati per così dire in extremis dalla misericordia divina. Non si sa però su quali basi agisca questa misericordia, giacché il Peccato Originale, in ogni caso, c'è e ciò che è certo della Scrittura è che per salvarsi occorre essere battezzati oppure, se adulti e incolpevoli di un rifiuto della grazia perché non la si è incontrata e si è morti senza battesimo, ci si può salvare se in vita ci si è sforzati di essere coerenti con le leggi divine e sui dieci Comandamenti.

L'umanità è corrotta perché si nasce corrotti,  necessita quindi di essere redenta in Cristo. Tuttavia se nemmeno il battesimo serve a redimere lo stato di peccato ereditato dai progenitori, perché ci si salverebbe con o senza, a che pro un Dio che si incarna e muore?

Il Documento stesso ammonisce ad evitare di pensare al Peccato Originale come una cosetta da niente, o una cosa veniale, o una cosa che Dio perdona. L'unico perdono possibile è Cristo, il che necessita il Battesimo e poi anche gli altri Sacramenti. Il Peccato Originale è una vera colpa, non una pena. L'unica differenza con le colpe attuali (ossia poste in atto) è che queste sono atti personali (pensati e voluti), quello no. Per il resto, nulla cambia della gravità e della realtà. Per questo lo stesso Testo sollecita ad una corretta informazione sul Battesimo e sulla necessità a che esso venga dato ai propri figli quanto prima.

"Cos'e' il peccato originale? È sostenibile questa dottrina, oggi? Esiste o no il peccato originale?". Per Benedetto XVI, all'Udienza del 3 gennaio 2008, il peccato originale e' una realtà, ma non esiste in se stessa: esso e' "inscindibilmente connesso con il dogma della salvezza e della libertà in Cristo. Non bisogna mai trattare il peccato di Adamo e dell'umanità in modo separato, senza comprenderlo nell'orizzonte della giustificazione in Cristo". Tanto che Paolo "accenna al peccato di Adamo solo per dimostrare la centralità della Grazia" e arrivare a dire che "dove abbondò il peccato, sovrabbondò la Grazia".

C'e' dunque una contraddizione nell'uomo, e "da questo potere del male sulle nostre anime si e' sviluppato il fiume sporco del male, che avvelena la storia umana". Ma - continua Benedetto XVI - "questa contraddizione deve provocare, e provoca anche oggi, il desiderio della redenzione, che il mondo sia cambiato".

 

In definitiva la Chiesa insegna ciò di cui è certa: essa è certa della salvezza dei bambini solo se vengono battezzati.

Infatti per entrare in Paradiso, che è una realtà di ordine soprannaturale, è necessario essere rivestiti della realtà soprannaturale della grazia.

Ora la grazia viene data in maniera ordinaria e certa nei sacramenti.

Fuori dei sacramenti – stante la volontà salvifica universale di Dio - abbiamo molte speranze che Dio accordi la sua grazia ai bambini che muoiono prima del battesimo, ma non abbiamo la certezza della loro salvezza.

Non possiamo dimenticare che Gesù ha detto: “In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5).

Parlando di acqua e di Spirito, Gesù si riferisce al sacramento del battesimo, non può dunque Egli contraddirsi.

Ed è per questo che la Chiesa da sempre ha chiesto di battezzare i bambini al più presto. Questa è la via ordinaria. Quanto alle vie straordinarie che certamente ci sono e la stessa Chiesa le auspica e le supplica anche nella Preghiera e nella Messa, non possono diventare dottrine se la Scrittura non le chiarisce e la Tradizione non le ha mai insegnate.

 

***

 

 

 

Mese di Giugno Cor Jesus e Corpus Domini

02.06.2013 15:14

Su gentile segnalazione, umilmente ci prostriamo in Adorazione per ricordare a noi tutti questo mese di giugno dedicati dalla Tradizione della Chiesa al Sacratissimo Cuore di Gesù e Maria e al Corpus Domini.

 

Dalle «Opere» di san Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa
(Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)

L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi da uomini dèi. Offrì a Dio Padre il suo corpo come vittima sull'altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo, perché fossimo purificati da tutti i peccati. Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.
Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: Per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l'Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.


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Preghiera di San Tommaso d'Aquino utile per i Sacerdoti prima della Messa, e importante per i laici prima della Comunione....

«Dio onnipotente ed eterno, ecco che mi accosto al sacramento dell'unigenito Figlio tuo, Signor nostro Gesù Cristo: mi accosto come infermo al Medico che gli ridona la vita, come immondo alla fonte della misericordia, come il cieco alla luce della chiarezza eterna, come  povero e  bisognoso al Signore del cielo e della terra.
Prego dunque la Tua grande ed immensa generosità perché Ti degni di curare il mio male, di lavare il mio vizio, illuminare la mia cecità,  arricchire la mia povertà,  vestire la mia nudità, affinché riceva il pane degli Angeli, il Re dei re, il Signore dei signori con tanta riverenza e umiltà, con tanta contrizione e devozione, con tanta purezza e fede, acciocchè, mediante tali propositi e buone intenzioni, possa conseguire la salvezza della mia anima.
Concedimi, Ti prego, che io riceva non solo il Sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, ma anche la grazia e la virtù di questo Sacramento.
O mitissimo Iddio, concedimi così di ricevere il Corpo dell'unigenito Figlio Tuo, Signore nostro Gesù Cristo, che nacque dalla Vergine Maria, in modo che io meriti di essere incorporato al suo mistico Corpo e  annoverato fra le Sue mistiche membra di Lui.
O amantissimo Padre, concedimi finalmente di contemplare  a faccia a faccia per l'eternità il Tuo diletto Figlio , che intendo ricevere ora nel mio terrestre cammino, sotto i veli del Mistero.
Egli che è Dio, e vive e regna con Te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen».

in latino:

Omnipotens sempiterne Deus, ecce, accedo ad Sacramentum unigeniti Filii Tui, Domini nostri Jesu Christi; accedo tamquam infírmus ad médicum vitae, immúndus ad fontem misericórdiae, caecus ad lumen claritátis aetérnae, páuper et egénus ad Dóminum coeli et terrae.
Rogo ergo imménsae largitátis tuae abundántiam, quátenus meam curáre dignéris infirmitátem, laváre foeditátem, illumináre caecitátem, ditáre paupertátem, vestíre nuditátem; ut panem Angelórum, Regem regum et Dóminum dominántium, tanta suscípiam reveréntia et humilitáte, tanta contritióne et devotióne, tanta puritáte et fide, tali propósito et intentióne, sicut éxpedit salúti ánimae meae. 
Da mihi, quaeso, domínici Córporis et Sánguinis non solum suscípere sacraméntum, sed étiam rem et virtútem sacraménti.
O mitíssime Deus, da mihi Corpus unigéniti Fílii tui, Dómini nostri, Iesu Christi, quod traxit de Vírgine Maria, sic suscípere, ut córpori suo mystico mérear incorporári, et inter eius membra connumerári.
O amatíssime Pater, concéde mihi diléctum Fílium tuum, quem nunc velátum in via suscípere propóno, reveláta tandem fácie perpétuo contemplári:
Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia saécula saeculórum. Amen.


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Alla mensa del Tuo dolcissimo Convito, di Sant’Ambrogio per i Sacerdoti ma anche per i Fedeli virtuosi....

Alla mensa del Tuo dolcissimo convito, o buon Signore Gesù Cristo, io peccatore e privo di meriti, mi accosto pieno di vergogna e tremante, confidando solo nella Tua misericordia e bontà.
Poiché ho il cuore e il corpo macchiati di molte colpe, e non ho ben custodito la mente e la lingua
Per questo, o Santà Deità, o tremenda maestà, io misero stretto tra tante angustie ricorro a Te, fonte di misericordia, da Te mi affretto per essere sanato, mi rifugio sotto la tua protezione: e siccome non posso  sostenerti giudice, ti scongiuro d’essermi salvatore. 
A Te, o Signore, mostro le mie piaghe; a Te scopro la mia vergogna. Riconosco che i miei peccati sono molti e grandi, e per questo ho paura. Spero nella tua misericordia che non ha limiti. Guarda dunque con gli occhi della tua misericordia, verso di me, Signore Gesú Cristo, Re eterno, Dio e Uomo, che per l’uomo tu fosti crocifisso.
Esaudisci me che spero in Te: abbi pietà di me che sono pieno di miserie e di peccati, Tu che non cesserai mai di far scaturire la fonte della misericordia.
Salve, o vittima della Salvezza, offerta sul patibolo della croce per me e per tutto il genere umano. Salve, o nobile e prezioso Sangue, che sgorgando dalle ferite del Signore Gesù Cristo per me crocefisso, lavi i peccati di tutto il mondo.
Ricordati, o Signore, della tua creatura, che hai redento col tuo sangue. Mi pento di aver peccato, desidero rimediare a ciò che ho fatto. 
Togli dunque da me, o Padre clementissimo, tutte le mie iniquità e i miei peccati, affinchè, purificato nella mente e nel corpo, meriti di gustare degnamente il Santo dei Santi.
E concedi che questa santa partecipazione al Corpo e al Sangue del tuo Figlio, che io indegno intendo ricevere, sia per il perdono dei miei peccati, sia per la perfetta purificazione delle mie colpe, sia fuga dei cattivi pensieri, rigenerazione dei buoni sentimenti, e salutare efficacia delle opere che sono a te gradite,
nonché sicura difesa dell’anima e del corpo contro le insidie dei miei nemici. Amen.

in latino

Ad mensam dulcíssimi convívii tui

Ad mensam dulcíssimi convívii tui, pie Dómine Iesu Christe, ego peccátor de própriis meis méritis nihil praesúmens, sed de tua confídens misericórdia et bonitáte, accédere véreor et contremísco.
Nam cor et corpus hábeo multis crimínibus maculátum, mentem et linguam non caute custodítam.
Ergo, o pia Déitas, o treménda maiéstas, ego miser, inter angústias deprehénsus, ad te fontem misericórdiae recúrro, ad te festíno sanándus, sub tuam protectiónem fúgio: et, quem iúdicem sustinére néqueo, salvatórem habére suspíro.
Tibi, Dómine, plagas meas osténdo, tibi verecúndiam meam détego. Scio peccáta mea multa et magna, pro quíbus tímeo: spero in misericórdias tuas, quárum non est númerus. Réspice ergo in me óculis misericórdiae tuae, Dómine Iesu Christe, Rex aetérne, Deus et homo, crucifíxus propter hóminem.
Exáudi me sperántem in te: miserére mei pleni misériis et peccátis, tu qui fontem miseratiónis numquam manáre cessábis. 
Salve, salutáris víctima, pro me et omni humáno génere in patíbulo crucis oblata. 
Salve, nóbilis et pretióse sánguis, de vulnéribus crucifíxi Dómini mei Iesu Christi prófluens, et peccáta totíus mundi ábluens.
Recordáre, Dómine, creatúrae tuae, quam tuo sánguine redemísti. Poénitet me peccásse, cúpio emendáre quod feci. 
Aufer ergo a me, clementíssime Pater, omnes iniquitátes et peccáta mea; ut, purificátus mente et córpore, digne degustáre mérear Sancta sanctórum.
Et concéde, ut haec sancta praelibátio córporis et sánguinis tuis, quam ego indígnus súmere inténdo, sit peccatórum meórum remíssio, sit delictórum perfécta purgátio, sit túrpium cogitatiónum effugátio ac bonórum sénsuum regenerátio, operúmque tibi placéntium salúbris efficácia, ánimae quoque et córporis contra inimicórum meórum insídias firmíssima tuítio. Amen.



 

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Dalla parte della Famiglia. Finalmente mons. Paglia parla chiaro

29.05.2013 23:43

Avendo noi qui discusso alcune affermazioni di mons. Paglia che risultarono ambigue - cliccate qui Attenti al Fuoco di Paglia -  riteniamo un dovere ed un piacere divulgare questo eccellente articolo dello stesso che mette nero su bianco l'insegnamento della Chiesa.

 

https://www.lecconotizie.com/wp-content/uploads/2012/11/famiglia.jpg

 

Dalla parte dei legami forti
di mons. Vincenzo Paglia  

Mi permetto di entrare nelle riflessioni proposte dalla Saraceno in merito al matrimonio (“Famiglie arcobaleno tra diritti e doveri”) esposte (sabato 17 maggio) su La Repubblica. L’intero discorso della Saraceno, anche se non ricorre apertamente a questa formulazione, mi pare si fondi sull’idea che il matrimonio e la filiazione siano dei diritti, a cui devono accedere tutti: il matrimonio e la filiazione per gli omosessuali, quindi costituirebbe solamente un allargamento dei diritti a una minoranza sfavorita. Per fare questo, deve ridurre il matrimonio, o meglio come lei dice il matrimonio oggi, alla “scelta libera di due persone di mettere in atto una vita in comune, basata sulla solidarietà reciproca e sull’affetto”.
 
Quello che lei definisce è senza dubbio un legame positivo fra le persone, ma il matrimonio è un’altra cosa. Il matrimonio, infatti, è l’istituzione preposta a regolare il rapporto fra le generazioni, ed è fondata quindi sulla differenza fertile fra i due contraenti, la donna e l’uomo. Cioè sulla relazione generatrice fra due categorie di individui non equivalenti e non intercambiabili: le donne e gli uomini. Dall’unione matrimoniale ha origine una nuova rete parentale, fondata sulla sfera giuridica che nasce dai legami naturali tra ascendenti e discendenti, come ha dichiarato Claude Levi-Strauss a Tokyo nel 1986, “i legami biologici forniscono il modello sul quale sono costruiti i legami di parentela”. E’ davvero così saggio cancellare tutto questo?

Cancellare questa istituzione, infatti, sostituendola ad un legame debole e legato alla sola volontà di reciprocità dei contraenti – quello che descrive Saraceno – costituisce una vera e propria rivoluzione antropologica delle nostre società. Significa non trasmettere alle generazioni che ci seguono il nostro modello antropologico, significa un’interruzione grave della trasmissione culturale.
 
Si può ben comprendere, quindi, come questo cambiamento susciti tanti timori, dia origine a tante riflessioni e a interessanti esami multidisciplinari dei legami intergenerazionali e intersessuali. Si può ben capire, allora, come un processo simile possa richiedere molto tempo. Mettere fretta al legislatore, invocando quello che è già avvenuto in altri paesi, non è un argomento convincente. Semmai è pericoloso. E’ di poche settimane fa del resto – e in parte è ancora in corso – l’aspra polemica che ha diviso la Francia sulla legittimazione dei matrimoni e della filiazione degli omosessuali: non si può certo considerare marginale un dissenso che ha coinvolto circa la metà dei francesi, e che ha visto alzarsi contro la nuova legge molti voci laiche, non poche volte anche di militanti dello stesso partito di Hollande.
 
Proprio al centro di questo dibattito è stato il problema dei bambini a venire, cioè delle future generazioni, che non possono manifestare, né essere ascoltate. Abbiamo il diritto di farli vivere in una situazione per forza di cose falsa – nessun bambino ha due mamme o due papà – anche se si fa ricorso alle tecniche di procreazione assistita? Pure in laboratorio la partecipazione dei due sessi è necessaria, e anche se può essere rimpiazzata da materiali e corpi anonimi non viene cancellata la differenza costitutiva nella generazione. 

Non è un caso, infatti, che il matrimonio omosessuale richieda una manipolazione del linguaggio per negare la differenza fra padre e madre, richieda di scrivere nello stato civile delle menzogne – cioè che un bambino ha due madri o due padri – di cui tutti possono cogliere la falsità. Molte voci di psicanalisti si sono levate per denunciare il pericolo di questa corruzione del linguaggio, in cui alle parole non corrisponde più la realtà, nella formazione delle nuove generazioni, soprattutto ovviamente nei figli delle famiglie “arcobaleno”.

A fronte di alcune inchieste che negano qualsiasi tipo di danno per i bambini allevati in famiglie omosessuali – che ovviamente sono ancora lavori di breve periodo, dato che l’esperienza di questi bambini costituisce una novità – molti sono gli accorati appelli di psicanalisti e antropologi che indicano i danni di questa scelta per le future generazioni. E non basta certo spostare le ragioni del disagio all’esterno, all’omofobia della società: la differenza fra chi è figlio di una donna e un uomo e chi non viene accettato come figlio della differenza sessuale ci sarà sempre e non ha niente a che fare con l’omofobia, ma con la realtà.

Ricorrere alla minaccia dell’omofobia per far accettare il matrimonio omosessuale non mi pare possa reggere: è evidente che è possibile battersi per la dignità di ogni tipo di legame affettivo e sessuale senza dover sostenere il matrimonio, che è un legame molto diverso dalla semplice convivenza fra due persone solidali. Come del resto sostengono anche molti omosessuali, che non aderiscono alle richieste di matrimonio e filiazione. 

Possiamo quindi domandarci come mai, in un momento in cui le nostre società sono scosse dagli effetti di una gravissima crisi economica ma anche sociale e culturale, si voglia fare una così forte pressione per il matrimonio da parte della minoranza di una minoranza. Ogni attenzione alle minoranze è indubbiamente più che meritoria, soprattutto se patisce discriminazioni, ma se questo significa rivoluzionare la nostra società e la nostra cultura, credo che bisogna almeno lasciare il tempo di riflettere bene, e di discutere presentando le ragioni contrarie, senza ricevere l’accusa di essere ciechi conservatori o, peggio, degli omofobi. A mio avviso, in ogni caso, quel che è da auspicare è una famiglia (madre-padre-figli), anch’essa non isolata, ma inserita in una società che la sappia accogliere e accompagnare.


 

Per questo mi pare saggio citare ancora Cicerone che definiva la famiglia: “principium urbis et quasi seminarium rei pubblicae”. La sapienza cristiana, assieme alla tradizione umanistica, hanno accolto e arricchito tale antica sapienza giuridica. E le famiglie così costituite sono a tutt’oggi la risorsa più preziosa delle nostre società.



 VINCENZO PAGLIA presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia

fonte: Avvenire

 

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La vera difesa per la Messa Antica

28.05.2013 22:50

Di solito evitiamo di copiare testi altrui tuttavia visto che ci hanno segnalato una splendida Omelia di mons. Luigi Negri, riteniamo un dovere usare questo spazio per dare voce ad un Vescovo davvero ecclesiale. Lo postiamo così come ci è stato segnalato senza aggiunte, senza rimozioni e con il grassetto e colore riportati.

 

La monumentale omelia di S.E. mons. Negri al Pellegrinaggio emiliano-romagnolo dei “Summorum Pontificum”
Omelia tenuta da S. Ecc. Mons. Luigi Negri
 alla S. Messa solenne in Forma Extraordinaria del Rito Romano
 il giorno di Pentecoste (19 maggio 2013)
 per il Popolo Summorum Pontificum
 al Santuario della Madonna del Poggetto

https://www.missagregoriana.it/?p=1335


 

mons. Luigi Negri

La S. Messa secondo il rito antico è celebrata oggi nella grande Solennità di Pentecoste, che ricorda alla Chiesa di ogni tempo, di ogni momento, e quindi ad ogni cristiano, che l’avvenimento della Fede e quindi lo svilupparsi della Fede in una vita di comunità e in una vita di comunione, in una pratica della carità, in un esercizio attivo della missione, tutto questo nasce dal miracolo dell’effusione dello Spirito Santo nel cuore dei fedeli, che è dono purissimo del Signore!

Il Santo Padre Benedetto XVI, in un intervento mirabile tenuto durante il Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione – a cui ebbi l’onore di partecipare, invitato personalmente da Benedetto XVI – disse, “la Chiesa non nasce per una decisione della base. La Chiesa non nasce da nessuna assemblea costituente.” La Chiesa nasce per opera dello Spirito Santo, che cambia il cuore degli uomini e li identifica con il Cuore stesso di Dio. È lo Spirito del Signore crocifisso e risorto. È il suo modo di sentire la vita, il suo modo di giudicare l’esistenza, il suo modo di rapportarsi agli uomini. È la novità del suo essere e del suo esistere che è passata in maniera, come dire, dirompente nella vita di una comunità che certamente era in preghiera, attendendolo, ma che non poteva assolutamente presumere di entrare nella modalità e nel contenuto del grande evento di cui sono stati spettatori e sono diventati protagonisti. Lo Spirito cambia il cuore dell’uomo, il suo modo di essere, il suo modo di agire e il suo modo di sentire l’esistenza. Prosegue nel mondo l’Umanità di Cristo: la Chiesa che nasce dallo Spirito si mantiene viva nello Spirito, si comunica agli uomini attraverso lo Spirito. Questa Chiesa è il volto definitivo che nella storia assume il Signore Gesù Cristo!

Noi abbiamo questa altra grande e definitiva eredità: quella di partecipare veramente al mistero della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, di viverla con verità nella nostra vita di ogni giorno, nella buone e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, nella gioia e nel dolore come dicono i protagonisti del grande Sacramento ecclesiale che è il Matrimonio. Io credo che questo situi la vostra lodevole iniziativa del Pellegrinaggio, con questa Messa, nel suo contesto vero. Io mi auguro e vi auguro che questa celebrazione eucaristica nel giorno della Pentecoste serva a ciascuno di voi – come penso e spero sia servita a me – per ritrovare il calore degli inizi, il calore dell’evento della Chiesa generato dallo Spirito Santo. La grandezza dell’evento della nostra missione è quella di farci apprendere questa novità e non tenerla ciascuno per sé ma di diffonderla a tutti gli uomini.

Ho partecipato ieri alla Veglia di Pentecoste che il Papa Francesco ha tenuto con oltre 150.000 giovani delle varie realtà ecclesiali. A un certo punto il Papa ha detto con il suo stile sincero e spigliato fino a una durezza cui non si era abituati: “la Chiesa non deve stare dentro di sé”. Non deve chiudersi in sé. Se si chiude in sé si ammala. La Chiesa deve uscire da sé, non abbandonando la sua identità, ma per vivere la sua identità, perché l’ambito vitale della Chiesa è la missione e occorre dunque che la Chiesa esca da sé e vada verso gli uomini, visitando tutte le periferie dell’esistenza dell’uomo d’oggi.

Quindi la Pentecoste vi consegna la missione ecclesiale. Vi consegna il vanto dell’essere testimoni di Cristo risorto fino agli estremi confini del mondo, generatori – lo dice Sant’Ireneo in un brano formidabile – resi capaci di essere generatori dei figli di Dio. Di fare degli uomini dei figli di Dio.

Mi è già accaduto, pure in questi pochi mesi del mio servizio episcopale qui, di chiarire quali sono i termini della vita e della missione. Non posso e non debbo in questo momento di saluto rievocare tutto, ma a mio parere è importante situare questa celebrazione sotto il volto e lo sguardo tenero e forte di Maria e situarla come un evento di grazia e di responsabilità. Il Cristianesimo è un evento di grazia perché ci è donato integralmente e nessuno può dire, “ho diritto”. Non avevamo diritto alla Fede. Non avevamo diritto all’Incarnazione del Figlio di Dio. Così ricordiamo qualche volta i nostri “fedeli” che vengono a chiedere o a pretendere i Sacramenti: loro non hanno alcun diritto sui Sacramenti. I Sacramenti sono un dono che la Chiesa ha ricevuto dal Signore Gesù Cristo e la Chiesa li consegna a coloro che sono nella condizione di assumerli in maniera adeguata. Mi riferisco alla questione assolutamente inconsistente – dal punto di vista teologico e pastorale – del “diritto” dei divorziati risposati a ricevere l’Eucaristia.

Allora, questa grazia della Chiesa voi la vivete nel punto sorgivo della Fede, che è l’Eucarestia, la celebrazione liturgica. Voi la attingete per la prudente e grande misericordia centrale di Benedetto XVI. Potete assumerla utilizzando uno dei due grandi tesori della liturgia della Chiesa: la liturgia tradizionale. Non alternativa alla liturgia riformata del Concilio Vaticano II, ma che vive con piena dignità, con piena fisionomia, con piena libertà e con piena responsabilità accanto alla liturgia riformata. Benedetto XVI l’ha detto con mirabile chiarezza nel Motu Proprio. Ha voluto ampliare la possibilità di vivere la ricchezza della liturgia della Chiesa; perciò ha chiesto a tutta la Chiesa, cominciando dai Vescovi, di essere rispettosi di questo suo intendimento di allargare i tesori della Chiesa, concedendo a chi ne sente legittimamente il desiderio di favorire il diritto di poter accedere a questo tesoro “antico” e di viverlo con pienezza nella contemporaneità per la verità della Fede di oggi e della missione di oggi. Il Papa ha così certamente superato quella contraddizione spuria e inaccettabile fra “antico” e “presente”, rompendo e superando quell’ermeneutica della discontinuità per ciò che viveva prima del Concilio e ciò che ha annunziato il Concilio e ciò che l’attuazione del Concilio ha faticosamente portato al vivere attuale. C’è un’unica Chiesa del Signore, cui lo Spirito ha dato da vivere momenti diversi; il Concilio Ecumenico Vaticano II è stato un momento di straordinaria importanza, anche se di grande sfida per la crescita della Chiesa.

Allora voi utilizzate – e io sono lieto che lo facciate anche in questa Diocesi della quale sono Arcivescovo da pochi mesi – questa liturgia. Non contro qualcuno, o per affermare opinioni, ma per vivere il mistero della Chiesa secondo la profondità e la verità con cui sentite il dovere e il diritto di vivere. E la Chiesa rende possibile anche questo. Benedetto XVI – io non sono una persona che usa le parole per modo di dire – Benedetto XVI ha usato una misericordia pastorale mettendo a servizio della Fede dei singoli Cristiani o dei piccoli gruppi che potrebbero anche non essere identificati strettamente dal punto di vista numerico: i “coetus” sono tutti quei fedeli che hanno il diritto e il dovere di poter accedere a questa liturgia. L’avete fra le mani; la Chiesa vi consente di introdurla con piena libertà. Non potrà esserci nessuno, nessuna Diocesi in Italia o nel mondo che vi dica di no. Nel momento in cui ci dovesse essere un solo “no”, il Vescovo deve essere chiamato in causa. Prima di allora, il dialogo fra i fedeli che vogliono la liturgia antica e la Chiesa è un dialogo tra fedeli e il Sacerdote che si sente di aiutarvi in questo vostro esercizio e questa vostra volontà di partecipare a questo rito antico e bellissimo che – certamente esige per una partecipare adeguata una corrispettiva preparazione che certamente voi avrete. Io penso che perché diventi un’esperienza per i tanti che non la conoscono occorra un periodo di formazione e di preparazione. Io ho tentato di attuare il Motu Proprio in una Diocesi piccola com’è quella di San Marino-Montefeltro senza particolari reazioni. Lì dove ci sono state invece le ho raccolte in una relazione al Santo Padre esprimendo come era stato gestita la situazione, anche perché mancavano le linee attuative arrivate più di due anni dopo. Io ho ricevuto una breve lettera personale da Benedetto XVI che ha lodato il modo con cui senza tensioni la Messa antica era stata riportata nella Diocesi di San Marino-Montefeltro. Praticate la liturgia antica per voi. Per la verità della vostra Fede. Per la verità della vostra Carità. Per l’impeto della vostra missione. Come quelli che la devono praticare con la liturgia riformata per la verità della loro Fede e la loro Carità: sono due tesori che servono ad un unico popolo. E quest’unico popolo maturo si alimenta della Fede proprio se sa vivere la libertà che la Chiesa concede. La libertà liturgica che, in questo caso, la Chiesa non solo concede ma garantisce.

Non abbiate delle opinioni da difendere o da opporre agli altri. L’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio non è custode di nessun’opinione e non è propagatore di nessun’opinione. L’Arcivescovo di Ferrara-Comacchio ha una sola opinione: la verità del Signore, il Vangelo, la Tradizione della Chiesa, il Magistero del Santo Padre ed il Suo proprio sempre in collegamento con quello del Santo Padre. Questo è lo spazio entro cui Benedetto XVI l’ha concesso. Io sono stato tra i Vescovi (devo dire la verità, non moltissimi) che hanno guadagnato da tutto questo un approfondimento della propria identità in merito all’esperienza di Dio. È una grandezza, non soltanto per coloro che lo praticano, ma è una grandezza per tutta la Chiesa.

Per questo – e concludo – dovrete sempre cercare il massimo di adesioni alla vita della comunità ecclesiale. Questa pratica non vi sottrae dalla vita della comunità ecclesiale né tanto meno dalla faticosa ma altrettanto bella realizzazione della comunione. In questa nostra terra la vita ecclesiale è fortemente impegnata nella lenta ma inesorabile fatica di emergere dalle rovine materiali che sono state una grande sfida, come ho scritto, a recuperare la Fede e la Carità. Io sono calato nel clero di questa Diocesi e ho visto che ci sono tanti laici che non si sono fatti mettere in crisi dalle vicende del terremoto di un anno fa, che ha reso impraticabile centinaia di chiese. Esso li ha costretti e ci costringe ancora a vivere l’Eucarestia ancora in luoghi di fortuna o nelle sale in cui le comunità sono ospitate o celebrandola nei pochi luoghi risparmiati dal terremoto. Il terremoto ha distrutto le case e le chiese. Non ha distrutto la Fede. Su questa Fede contiamo di riprendere. Purtroppo dobbiamo sperare anche nelle istituzioni pubbliche, che fino ad ora non hanno dato grande prova di tempestività, ma la prima risorsa che abbiamo è la nostra esperienza di Fede. Siamo tutti dentro un’unica Chiesa: perciò, anche in quest’esperienza particolarissima e bellissima che vivete, dovete cercare di vivere ogni giorno di più come membra vive della Chiesa, partecipando all’unico Sangue e all’unico Corpo del Signore di modo che, crescendo in voi la Fede, la Speranza e la Carità, siate membra vive di questa Chiesa nel mondo.

Vi seguo con affetto. Vi incoraggio nel vostro cammino. Vi chiedo quella sana umiltà che Papa Francesco, prima di chiederla alla sua Chiesa, testimonia ogni giorno con la sua presenza e col suo modo d’essere. Non abbiate altra preoccupazione se non quella di vivere nel profondo quel che la Chiesa ha concesso per il bene vostro e di tutta la Chiesa. Siate certi che non vi mancherà mai né la mia accoglienza né il mio sostegno. La mia correzione, se fosse necessario, come per ogni comunità qualora questo mio compito si dovesse esprimere, ma suppongo che non avverrà mai! Proseguite con questa S. Messa che non ho voluto interrompere. Intendo perciò sottolineare che non ho potuto partecipare in toto alla pregevole iniziativa solo perché mi attendevano e ancora mi aspettano gli impegni diocesani legati alla solennità odierna.

Ora, perché il vostro cammino sia chiaro e sicuro abbracciate la verità, dono del Signore che lo Spirito Santo fa a tutta la Chiesa e che il Vescovo custodisce, protegge e comunica. Pregate ora per me, per questa non lieve fatica che mi sento sulle spalle e che verso la fine della mia vita ho inteso assumermi come ubbidienza al Vicario di Cristo, che mi ha chiesto con un’insistenza che ha tolto ogni possibilità di resistenza.

Auguri a tutti!

 

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Bussate e vi sarà aperto

21.05.2013 14:58

 

Bussate e vi sarà aperto

 

Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo; non quelle preghiere per cortesia, ‘Ah, io pregherò per te’: dico un Pater Noster, un’Ave Maria e mi dimentico. No: preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città, come quella di Mosé che aveva le mani in alto e si stancava, pregando il Signore; come quella di tante persone, di tanta gente che ha fede e con la fede prega, prega. La preghiera fa miracoli, ma dobbiamo credere! Io penso che noi possiamo fare una bella preghiera … e dirgli oggi, tutta la giornata: ‘Credo, Signore, aiuta la mia incredulità’ ..."

(Papa Francesco omelia del mattino 20.5.2013)

 

Le parole del Santo Padre ci hanno rammentato una antica catechesi tratta da un libricino cattolico del 1897 che vogliamo proporvi e che riteniamo utile non solo in questo mese di maggio, dedicato al Santo Rosario di Maria Santissima, ma anche per giugno, mese dedicato ai Sacratissimi Cuori di Gesù e Maria e alla Divina Eucaristia, il Corpus Domini.

 

"Chi pretendesse di seminare senza aver prima dissodato il terreno, non conosce bene l'arte contadina e non ricaverebbe alcun prodotto.

Così è a riguardo delle anime nostre: abbiamo bisogno di sacerdoti suore e laici che si impegnino di dissodare prima il terreno nel quale si intende seminare.

Ora se la semina è la Parola di Dio, il dissodare è la Preghiera insistente, supplichevole e continua che prepara il terreno rendendolo fertile e fecondo per accogliere il seme e produrre così frutto.

Quanto all'irrigarlo, lo dice bene San Paolo, è Nostro Signore Gesù Cristo che irriga, Lui è l'acqua viva che disseta.

Non solo siamo stati resi fecondi e fertili mediante il Battesimo, ma continuiamo ad essere irrigati dall'acqua viva, se qualcuno continuerà a pregare per noi, e se noi stessi continueremo a pregare per gli altri con insistenza e con supplica.

Imperciocchè l'acqua che nutre e fa germogliare il seme della Parola necessita anche dei Sacramenti della Redenzione.

Come è vero che Nostro Signore ci ricorda che bussando a Lui saremo esauditi, è pure vero che una Preghiera senza supplica, senza insistenza, fatta poi persino in uno stato di grave peccato perché non ci si pente, privata dei Sacramenti come pure privata dei Dieci Comandamenti, non sarà mai esaudita.

Nostro Signore Gesù Cristo, infatti, dove ci ha promesso le Sue elargizioni, ci ha anche ammonito sulle nostre perdizioni.

Noi ci meravigliamo tanto di quello che hanno fatto i Santi e dei miracoli che erano in grado di fare, ma non ci interessa seguirli nei sacrifici, nelle suppliche, nelle tante rinunce, nella conversione, nel perseguire la via dei Sacramenti, non ci curiamo di diventare veri cattolici come lo erano loro.

Senza la Preghiera supplichevole, costante e purificata dai peccati con atti di profonda conversione e pentimento, ogni semina andrà perduta, nessun seme gettato potrebbe portare frutto. Sarebbe come aver seminato in un deserto arido dove il sole battente brucerebbe il germoglio appena uscisse dal terreno.

Pregare sempre e frequentare la Santa Messa, anche ogni giorno quando fosse possibile, insegnano tutti i Santi e lo raccomandano".

***

"Nel Divino Sacrificio dell'Eucaristia è il cuore dell'incontro fra noi e Dio; è un "Tu per tu" che si incontra, il Signore ci viene incontro e si fa dono e noi andando da Lui portiamo le nostre suppliche, i sacrifici, le preghiere, i suffragi, anche i difetti perché Egli ci corregga e ci dia la forza di cambiare...

Se vogliamo che le nostre Preghiere siano esaudite, dobbiamo essere insistenti a cominciare dall'andare alla Messa, ogni domenica, ogni festa comandata, e se possibile anche durante la settimana. Confessarci, ricevere la Comunione in stato di grazia, abituarci ad entrare in confidenza con il Signore, ad entrare in questo "Tu" perché il nostro "io" scompaia e lasci il posto alla Grazia.

Così ci insegna Maria Santissima con  il suo racconto dell'Annunciazione.

La più grande attesa, la più grande Preghiera dell'Israele dei Profeti, viene esaudita grazie all'atteggiamento di Colei che è definita dalla Scrittura stessa "Figlia di Sion", la Beata Vergine Maria.

Tutti pregavano e supplicavano Dio affinché giungesse il Salvatore, con Maria e in Lei si realizzano le promesse, la supplica è accolta, la grazia è concessa, la Salvezza "si è fatta carne". Possiamo anche ricordare l'episodio dei coniugi Zaccaria e Elisabetta: la loro supplica nel desiderare di avere un bambino verrà esaudita, ma ricordiamo anche il sacrificio di Zaccaria di rimanere muto fino alla nascita del piccolo a causa della sua incredulità, e poi la vita stessa di San Giovanni Battista, di questo figlio unico avuto in età avanzata, che culminerà nell'estremo sacrificio di sé a favore del progetto di Dio.

La Preghiera è un entrare nella logica di Dio ed un lasciarci afferrare da Lui, non possiamo pensare di essere esauditi se pregando pretendessimo di voler fare la nostra volontà, questo ci insegna il Padre Nostro: la prima cosa da fare è metterci a disposizione del Padre affinché si compia sempre la Sua volontà "come in cielo così in terra".

Preghiamo incessantemente, supplichiamo il Signore con insistenza e fiducia, accostiamoci a Lui nello stato di penitenti e allora il Signore stesso manterrà fede alle Sue promesse. Bussando in questo modo Egli ci aprirà le porte alle Sue grazie e saremo esauditi secondo la Sua volontà..."

(alcuni interventi di Benedetto XVI sulla Preghiera)

 

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Discorso di Pio XII sulla vera tolleranza

14.05.2013 20:06

https://dioscg.org/wordpress/wp-content/uploads/2011/08/PopePius-XII.jpg

Un Discorso che, per la sua corretta comprensione, non deve essere estrapolato dal suo contesto.

DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI GIURISTI CATTOLICI ITALIANI*
Domenica, 6 dicembre 1953


Ci riesce di grande soddisfazione, diletti figli della Unione dei Giuristi Cattolici Italiani, di vedervi qui adunati intorno a Noi e di darvi cordialmente il benvenuto.

Al principio di ottobre, un altro Congresso di giuristi si riuniva nella Nostra residenza estiva, quello del Diritto penale internazionale. Il vostro « Convegno » ha bensì un carattere nazionale; ma l'argomento, che esso tratta: « nazione e comunità internazionale », tocca di nuovo le relazioni fra i popoli e gli Stati sovrani. Non per caso si moltiplicano i Congressi per lo studio delle questioni internazionali, scientifiche, economiche e anche politiche. Il fatto manifesto che i rapporti fra gl'individui appartenenti a diversi popoli e tra i popoli stessi crescono in estensione e in profondità, rendono ogni giorno più urgente un regolamento delle relazioni internazionali, private e pubbliche, tanto più che questo mutuo avvicinamento è determinato non soltanto dalle possibilità tecniche incomparabilmente aumentate e dalla libera scelta, ma altresì dalla più penetrante azione di una legge immanente di sviluppo. Si deve dunque non reprimerlo, ma piuttosto favorirlo e promuoverlo.

I

In questa opera di ampliamento le Comunità degli Stati e dei popoli, sia che già esistano, sia che non rappresentino ancora se non uno scopo da conseguire e da attuare, hanno naturalmente una particolare importanza. Sono comunità, nelle quali Stati sovrani, vale a dire non subordinati a nessun altro Stato, si uniscono in una comunità giuridica per il conseguimento di determinati scopi giuridici. Sarebbe dare una falsa idea di queste comunità giuridiche, se si volesse paragonarle ad imperi mondiali del passato o del nostro tempo, in cui stirpi, popoli e Stati vengono fusi, volenti o nolenti, in un unico complesso statale. Nel caso presente invece gli Stati, rimanendo sovrani, si uniscono liberamente in una comunità giuridica. Sotto questo aspetto la storia universale, che mostra una serie continua di lotte per il potere, potrebbe senza dubbio far apparire quasi come una utopia la instaurazione di una comunità giuridica di Stati liberi. Tali conflitti sono stati troppo spesso provocati dalla volontà di soggiogare altre Nazioni e di estendere il campo della propria potenza, ovvero dalla necessità di difendere la propria libertà e la propria esistenza indipendente. Questa volta, al contrario, precisamente la volontà di prevenire minacciosi dissidi spinge verso una comunità giuridica supernazionale; le considerazioni utilitarie, che certamente hanno anch'esse un notevole peso, sono dirette verso opere di pace; e infine, forse appunto l'avvicinamento tecnico ha risvegliato la fede, latente nello spirito e nel cuore degli individui, in una comunità superiore degli uomini, voluta dal Creatore e radicata nella unità della loro origine, della loro natura e del loro fine.

II

Queste considerazioni ed altre simili dimostrano che il cammino verso la Comunità dei popoli e la sua costituzione non ha come norma unica ed ultima la volontà degli Stati, ma piuttosto la natura, ossia il Creatore. Il diritto all'esistenza, il diritto al rispetto e al buon nome, il diritto a un carattere e a una cultura propri, il diritto allo sviluppo, il diritto all'osservanza dei trattati internazionali, e diritti equivalenti, sono esigenze del diritto delle genti dettato dalla natura. Il diritto positivo dei popoli, indispensabile anche esso nella Comunità degli Stati, ha l'ufficio di definire più esattamente le esigenze della natura e di adattarle alle circostanze concrete, e inoltre di prendere con una convenzione che, liberamente contratta, è divenuta obbligatoria, altre disposizioni, dirette sempre al fine della comunità.

In questa Comunità dei popoli ogni Stato è dunque inserito nell'ordinamento del diritto internazionale, e con ciò nell'ordine del diritto naturale, che sostiene e corona il tutto. In tal guisa esso non è più — nè è stato, del resto, mai — « sovrano » nel senso di una totale assenza di limiti. « Sovranità » nel vero senso della parola significa autarchia ed esclusiva competenza in rapporto alle cose e allo spazio, secondo la sostanza e la forma dell'attività, sebbene entro l'ambito del diritto internazionale, — non però nella dipendenza verso l'ordinamento giuridico proprio di qualsiasi altro Stato. Ogni Stato è immediatamente soggetto al diritto internazionale. Gli Stati, ai quali mancasse questa pienezza di competenza, o a cui il diritto internazionale non garantisse la indipendenza da qualsiasi potere di un altro Stato, non sarebbero essi stessi sovrani. Nessuno Stato però potrebbe muover lagnanze come di una limitazione della sua sovranità, se gli si negasse la facoltà di agire arbitrariamente e senza riguardo verso altri Stati. La sovranità non è la divinizzazione o la onnipotenza dello Stato, quasi nel senso di Hegel o a modo di un positivismo giuridico assoluto.

III

A voi, cultori del diritto, non abbiamo bisogno di spiegare come la costituzione, il mantenimento e l'azione di una vera Comunità di Stati, specialmente di una che abbracci tutti i popoli, sollevino una serie di doveri e di problemi, alcuni assai difficili e complicati, che non si possono risolvere con un semplice Sì o No. Tali sono la questione delle razze e del sangue con le loro conseguenze biologiche, psichiche e sociali; la questione delle lingue; la questione delle famiglie col carattere diverso, secondo le nazioni, delle relazioni fra sposi, genitori e parentele; la questione della eguaglianza o della equivalenza dei diritti in ciò che concerne i beni, i contratti e le persone, per i cittadini di uno Stato sovrano che si trovano sul territorio di un altro, in cui soggiornano temporaneamente, ovvero si stabiliscono conservando la propria nazionalità; la questione del diritto d'immigrazione o di emigrazione, ed altre simili.

Il giurista, l'uomo politico, lo Stato particolare, come la Comunità degli Stati, debbono qui tener conto di tutte le tendenze innate dei singoli individui e delle comunità nei loro contatti e rapporti reciproci, quali sono la tendenza all'adattamento e all'assimilazione spesso spinta fino allo sforzo dell'assorbimento; o al contrario, la tendenza alla esclusione e alla distruzione di tutto ciò che apparisce non assimilabile; la tendenza all'espansione, e di nuovo, come suo contrario, la tendenza a chiudersi e segregarsi; la tendenza a donarsi intieramente rinunziando a sè, e, all'opposto, l'attaccamento a sè con esclusione di qualsiasi dedizione ad altri; la brama di potere, l'avidità di tenere altri in tutela, ecc. Tutti questi dinamismi di avanzamento o di difesa sono radicati nella disposizione naturale degli individui, dei popoli, delle razze e delle comunità, nelle loro ristrettezze e limitazioni, in cui mai non si trova insieme tutto ciò che è buono e giusto. Iddio solo, origine di ogni essere, a causa della sua infinità, raccoglie in sè tutto ciò che è buono. Da quanto abbiamo esposto è facile di trarre il principio fondamentale teorico per il trattamento di quelle difficoltà e tendenze : nei limiti del possibile e del lecito, promuovere ciò che facilita e rende più efficace l'unione; arginare ciò che la turba; talvolta sopportare ciò che non è dato di appianare, e per il quale, d'altra parte, non si potrebbe lasciar naufragare la comunità dei popoli, a causa del bene superiore che da essa si attende. La difficoltà risiede nell'applicazione di quel principio.

IV

A questo proposito vorremmo ora intrattenervi — voi che amate di professarvi giuristi cattolici — intorno ad una delle questioni, che si presentano in una comunità dei popoli; vale a dire, la pratica convivenza delle comunità cattoliche con le non-cattoliche.

Secondo la confessione della grande maggioranza dei cittadini, o in base ad una esplicita dichiarazione del loro Statuto, i popoli e gli Stati membri della Comunità verranno divisi in cristiani, non cristiani, religiosamente indifferenti o consapevolmente laicizzati, od anche apertamente atei. Gl'interessi religiosi e morali esigeranno per tutta l'estensione della Comunità un regolamento ben definito, che valga per tutto il territorio dei singoli Stati sovrani membri di tale Comunità delle nazioni. Secondo le probabilità e le circostanze, è prevedibile che questo regolamento di diritto positivo verrà enunciato così: Nell'interno del suo territorio e per i suoi cittadini ogni Stato regolerà gli affari religiosi e morali con una propria legge; nondimeno in tutto il territorio della Comunità degli Stati sarà permesso ai cittadini di ogni Stato-membro l'esercizio delle proprie credenze e pratiche etiche e religiose, in quanto queste non contravvengano alle leggi penali dello Stato in cui essi soggiornano.

Per il giurista, l'uomo politico e lo Stato cattolico sorge qui il quesito: possono essi dare il consenso ad un simile regolamento, quando si tratta di entrare nella Comunità dei popoli e di rimanervi?

Ora relativamente agl'interessi religiosi e morali si pone una duplice questione : La prima concerne la verità oggettiva e l'obbligo della coscienza verso ciò che è oggettivamente vero e buono; la seconda riguarda l'effettivo contegno della Comunità dei popoli verso il singolo Stato sovrano e di questo verso la Comunità dei popoli nelle cose della religione e della moralità. La prima può difficilmente essere l'oggetto di una discussione e di un regolamento fra i singoli Stati e la loro Comunità, specialmente nel caso di una pluralità di confessioni religiose nella Comunità medesima. La seconda invece può essere della massima importanza ed urgenza.

V

Or ecco la via per rispondere rettamente alla seconda questione. Innanzi tutto occorre affermare chiaramente : che nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione d'insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla verità religiosa o al bene morale. Un mandato o una autorizzazione di questo genere non avrebbero forza obbligatoria e resterebbero inefficaci. Nessuna autorità potrebbe darli, perchè è contro natura di obbligare lo spirito e la volontà dell'uomo all'errore ed al male o a considerare l'uno e l'altro come indifferenti. Neppure Dio potrebbe dare un tale positivo mandato o una tale positiva autorizzazione, perchè sarebbero in contraddizione con la Sua assoluta veridicità e santità.

Un'altra questione essenzialmente diversa è : se in una comunità di Stati possa, almeno in determinate circostanze, essere stabilita la norma che il libero esercizio di una credenza e di una prassi religiosa o morale, le quali hanno valore in uno degli Stati-membri, non sia impedito nell'intero territorio della Comunità per mezzo di leggi o provvedimenti coercitivi statali. In altri termini, si chiede se il « non impedire », ossia il tollerare, sia in quelle circostanze permesso, e perciò la positiva repressione non sia sempre un dovere.

Noi abbiamo or ora addotta l'autorità di Dio. Può Dio, sebbene sarebbe a Lui possibile e facile di reprimere l'errore e la deviazione morale, in alcuni casi scegliere il « non impedire », senza venire in contraddizione con la Sua infinita perfezione? Può darsi che in determinate circostanze Egli non dia agli uomini nessun mandato, non imponga nessun dovere, non dia perfino nessun diritto d'impedire e di reprimere ciò che è erroneo e falso?

Uno sguardo alla realtà dà una risposta affermativa. Essa mostra che l'errore e il peccato si trovano nel mondo in ampia misura. Iddio li riprova; eppure li lascia esistere.

Quindi l'affermazione : Il traviamento religioso e morale deve essere sempre impedito, quando è possibile, perchè la sua tolleranza è in sè stessa immorale — non può valere nella sua incondizionata assolutezza.

D'altra parte, Dio non ha dato nemmeno all'autorità umana un siffatto precetto assoluto e universale, nè nel campo della fede nè in quello della morale. Non conoscono un tale precetto nè la comune convinzione degli uomini, nè la coscienza cristiana, nè le fonti della rivelazione, nè la prassi della Chiesa. Per omettere qui altri testi della Sacra Scrittura che si riferiscono a questo argomento, Cristo nella parabola della zizzania diede il seguente ammonimento : Lasciate che nel campo del mondo la zizzania cresca insieme al buon seme a causa del frumento (cfr. Matth. 13, 24-30). Il dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può quindi essere una ultima norma di azione. Esso deve essere subordinato a più alte e più generali norme, le quali in alcune circostanze permettono, ed anzi fanno forse apparire come il partito migliore il non impedire l'errore, per promuovere un bene maggiore.

Con questo sono chiariti i due principi, dai quali bisogna ricavare nei casi concreti la risposta alla gravissima questione circa l'atteggiamento del giurista, dell'uomo politico e dello Stato sovrano cattolico riguardo ad una formula di tolleranza religiosa e morale del contenuto sopra indicato, da prendersi in considerazione per la Comunità degli Stati.

Primo: ciò che non risponde alla verità e alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto nè all'esistenza, nè alla propaganda, nè all'azione. Secondo : il non impedirlo per mezzo di leggi statali e di disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato nell'interesse di un bene superiore e più vasto.

Se poi questa condizione si verifichi nel caso concreto — è la « quaestio facti » —, deve giudicare innanzi tutto lo stesso Statista cattolico. Egli nella sua decisione si lascerà guidare dalle conseguenze dannose, che sorgono dalla tolleranza, paragonate con quelle che mediante l'accettazione della formula di tolleranza verranno risparmiate alla Comunità degli Stati; quindi, dal bene che secondo una saggia prognosi ne potrà derivare alla Comunità medesima come tale, e indirettamente allo Stato che ne è membro. Per ciò che riguarda il campo religioso e morale, egli domanderà anche il giudizio della Chiesa. Da parte della quale in tali questioni decisive, che toccano la vita internazionale, è competente in ultima istanza soltanto Colui a cui Cristo ha affidato la guida di tutta la Chiesa, il Romano Pontefice.

VI

La istituzione di una Comunità di popoli, quale oggi è stata in parte attuata, ma che si tende ad effettuare e consolidare in più elevato e perfetto grado, è un'ascesa dal basso verso l'alto, vale a dire da una pluralità di Stati sovrani verso la più alta unità.

La Chiesa di Cristo ha, in virtù del mandato del suo divino Fondatore, una simile universale missione. Essa deve accogliere in sè e collegare in una unità religiosa gli uomini di tutti i popoli e di tutti i tempi. Ma qui la via è in un certo senso contraria; essa va dall'alto al basso. In quella prima testè ricordata, l'unità superiore giuridica della comunità dei popoli era o è ancora da creare. In questa, la comunità giuridica col suo fine universale, la sua costituzione, le sue potestà e coloro che ne sono rivestiti, è già fin dal principio stabilita per la volontà e la istituzione di Cristo stesso. L'ufficio di questa comunità universale fin dall'inizio è di incorporarsi possibilmente tutti gli uomini e tutte le genti (Matth. 28, 10), e con ciò di guadagnarli interamente alla verità e alla grazia di Gesù Cristo.

La Chiesa nell'adempimento di questa sua missione si è trovata sempre e si trova tuttora in larga misura di fronte agli stessi problemi che deve superare il funzionamento  di una Comunità di Stati sovrani; solamente essa li sente anche più acutamente, perchè è legata all'oggetto della sua missione, determinato dallo stesso suo Fondatore, oggetto che penetra fino nelle profondità dello spirito e del cuore umano. In questa condizione di cose i conflitti sono inevitabili, e la storia dimostra che ve ne sono stati sempre, ve ne sono tuttora e, secondo la parola del Signore, ve ne saranno sino alla fine dei tempi. Poichè la Chiesa con la sua missione si è trovata e si trova dinanzi ad uomini e a popoli di una meravigliosa cultura, ad altri di una inciviltà appena comprensibile, e a tutti i possibili gradi intermedi: diversità di stirpi, di lingue, di filosofie, di confessioni religiose, di aspirazioni e peculiarità nazionali; popoli liberi e popoli schiavi; popoli che non sono mai appartenuti alla Chiesa e popoli che si sono staccati dalla sua comunione. La Chiesa deve vivere tra essi e con essi; non può mai di fronte a nessuno dichiararsi « non interessata ». Il mandato impostole dal suo divino Fondatore le rende impossibile di seguire la norma del « lasciar correre, lasciar fare ». Essa ha l'ufficio d'insegnare e di educare con tutta l'inflessibilità del vero e del buono e con questo obbligo assoluto deve stare e operare tra uomini e comunità che pensano in modi completamente diversi.

Torniamo ora tuttavia indietro alle due summenzionate proposizioni : e in primo luogo a quella della negazione incondizionata di tutto ciò che è religiosamente falso e moralmente cattivo. Riguardo a questo punto non vi è stato mai e non vi è per la Chiesa nessun tentennamento, nessun patteggiamento, nè in teória nè in pratica. Il suo contegno non è cambiato nel corso della storia, nè può cambiare, quando e dovunque, nelle forme più svariate, è posta di fronte all'alternativa : o l'incenso per gl'idoli o il sangue per Cristo. Il luogo dove voi ora vi trovate, la Roma Aeterna, con le reliquie di una grandezza che fu, e con le memorie gloriose dei suoi martiri, è il testimonio più eloquente della risposta della Chiesa. L'incenso non fu bruciato dinanzi agli idoli, e il sangue cristiano bagnò il suolo divenuto sacro. Ma i templi degli dei giacciono in fredde rovine nei pur maestosi ruderi; mentre presso le tombe dei martiri, fedeli di tutti i popoli e di tutte le lingue ripetono fervidamente il vetusto Credo degli Apostoli.

Quanto alla seconda proposizione, vale a dire alla tolleranza, in circostanze determinate, alla sopportazione anche in casi in cui si potrebbe procedere alla repressione, la Chiesa — già per riguardo a coloro, che in buona coscienza (sebbene erronea, ma invincibile) sono di diversa opinione — si è vista indotta ad agire ed ha agito secondo quella tolleranza, dopo che sotto Costantino il Grande e gli altri Imperatori cristiani divenne Chiesa di Stato, sempre per più alti e prevalenti motivi; così fa oggi e anche nel futuro si troverà di fronte alla stessa necessità. In tali singoli casi l'atteggiamento della Chiesa è determinato dalla tutela e dalla considerazione del bonum commune, del bene comune della Chiesa e dello Stato nei singoli Stati, da una parte, e, dall'altra, del bonum commune della Chiesa universale, del regno di Dio sopra tutto il mondo. Per la ponderazione del pro e del contro nella trattazione della « quaestio facti » non valgono in questo per la Chiesa altre norme se non quelle da Noi già prima indicate per il Giurista e lo Statista cattolico, anche per quanto concerne l'ultima e suprema istanza.

VII

Ciò che abbiamo esposto può essere utile per il giurista e l'uomo politico cattolico anche quando nei loro studi o nell'esercizio della loro professione vengono in contatto con gli accordi (Concordati, Trattati, Convenzioni, Modus vivendi, ecc.) che la Chiesa (vale a dire, già da lungo tempo, la Sede Apostolica) ha concluso in passato e conclude tuttora con Stati sovrani. I Concordati sono per essa una espressione della collaborazione tra Chiesa e Stato. Essa per principio, ossia in tesi, non può approvare la completa separazione fra i due Poteri. I Concordati debbono quindi assicurare alla Chiesa una stabile condizione di diritto e di fatto nello Stato, con cui sono conclusi, e garantire ad essa la piena indipendenza nell'adempimento della sua divina missione.

È possibile che la Chiesa e lo Stato nel Concordato proclamino la loro comune convinzione religiosa; ma può anche accadere che il Concordato abbia insieme con altri scopi, quello di prevenire dispute intorno a questioni di principio e di rimuovere fin dall'inizio possibili materie di conflitti. Quando la Chiesa ha apposto la sua firma ad un Concordato, questo vale per tutto il suo contenuto. Ma il suo senso intimo può essere, con mutua cognizione di ambedue le alte Parti contraenti, graduato; può significare una espressa approvazione, ma può anche dire una semplice tolleranza, secondo quei due principi che sono la norma per la convivenza della Chiesa e dei suoi fedeli con le Potenze e gli uomini di altra credenza.

È questo, diletti figli, ciò che intendevamo di trattare con voi più diffusamente. Per il resto Noi confidiamo che la comunità internazionale possa bandire ogni pericolo di guerra e stabilire la pace per quanto poi riguarda la Chiesa, che valga a garantirle dappertutto la via libera, affinchè essa possa fondare nello spirito e nel cuore, nel pensiero e nell'azione degli uomini il regno di Colui che è il Redentore, il Legislatore, il Giudice, il Signore del mondo, Gesù Cristo, il Dio che è sopra tutte le cose benedetto nei secoli (Rom. 9, 5).

Mentre pertanto accompagnamo coi Nostri paterni voti i vostri lavori per il maggiore bene dei popoli e per il perfezionamento delle relazioni internazionali, impartiamo a voi, come pegno delle più ricche grazie divine, con effusione di cuore l'Apostolica Benedizione.

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XV,
 Quindicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1953 - 1° marzo 1954, pp. 477 - 492

 

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