La Rivoluzione con la nuova religione di Robespierre

12.11.2013 17:54

 

La Rivoluzione con la nuova religione di Robespierre

Molti sostengono che Robespierre fu il "grande difensore della religione", ma è davvero così?

Al suo nome, Maximilien Robespierre, è legato il periodo del "Terrore", o conosciuto come "Regime del Terrore" che ancora oggi fa discutere molti storici, divisi fra loro, se affidare al soggetto la palma del martirio laico, la palma dell'utopista, o quella dell'assassino e dittatore, se non altro dittatore di un pensiero perverso sul concetto di democrazia.

Un fatto mette d'accordo gli storici: è noto come nel momento di maggior intransigenza , gli stessi capi di certe Rivoluzioni finirono per commettere crimini indiscutibilmente molto più cruenti. Fra questi è classificato Robespierre.

Presentandosi come "l'incorruttibile" e guadagnandosi la fiducia del popolo - opponendosi a tutti i privilegi concessi a nobili e borghesi, inizia la sua ascesa verso il vero potere, quello della ragione asservita alla sua idea di politica, di Stato e persino di religione. All'inizio del 1789 affermava infatti che: "E' tempo che questa idea di Dio, sfruttata così per lungo tempo per assicurare ai capi degli imperi una potenza illimitata e mostruosa, serva infine a ricordare i diritti imprescrittibili degli uomini; è tempo di riconoscere che la stessa autorità divina che ordina ai re di essere giusti, proibisce ai popoli di essere schiavi".

Senza dubbio egli si batte per questioni nobili quali il diritto di voto per tutti, l'istruzione gratuita e obbligatoria, per la libertà di stampa, per l'uguaglianza sociale, tuttavia questi diritti spariscono se a chiederli sono i credenti, nella specie soprattutto del Cattolico. L'odio verso la Chiesa sarà un crescendo inesorabile che scatenerà una durissima repressione contro la Chiesa.

Divenuto presidente nel 1790 del movimento giacobino e temendo una congiura militare, cercherà di evitare una Rivoluzione che fuoriesca dai confini evitando così una propaganda interventista dei girondini, favorevoli a dichiarare guerra all'Austria.

La sua ascesa è inarrestabile. Diventa il protettore dei sanculotti e dei giacobini e, contemporaneamente, rafforza anche l'esercito per tenere sotto tiro i controrivoluzionari, e provvede ad una politica del controllo sull'economia di Stato.

Sono i padroni del Terrore.

Con la caduta della monarchia nell'agosto 1792, Robespierre è fra i votanti a favore dell'esecuzione del re Luigi XVI e, costringendo i moderati ad abbandonare la cosiddetta Convenzione nazionale, diventa di fatto il capo della Rivoluzione Francese.

Alcuni dicono che egli fu contrario alla pena capitale, ma è così?

Giusto per capire la furbizia di Robespierre, così  votò al "processo-non-processo":

[Parlando ai giudici della condanna a morte di Luigi XVI di Francia] "Non c'è nessun processo da fare, Luigi non è un accusato. Voi non siete dei giudici. Voi siete soltanto, e non potete essere altro, degli uomini che rappresentano la Nazione. Non dovete emettere una sentenza contro od a favore di un uomo, ma dovete prendere un provvedimento di salute pubblica, dovete compiere l'atto che salverà la nazione. Un re detronizzato in una repubblica può servire solo a due scopi: o a turbare la tranquillità dello Stato e mettere a rischio la libertà o a consolidarle entrambe. (discorso del 3 dicembre 1792 di Robespierre ai giudici in occasione del processo a Luigi XVI)

Ecco, nessun processo, ma di fatto si processava; nessuna sentenza, ma di fatto la si emetteva "un provvedimento di salute pubblica" non una condanna a morte, perché un re detronizzato vivo avrebbe messo a rischio la libertà, quindi è meglio epurare....

 

Da questo momento inizia una epurazione senza precedenti: Robespierre opera una metodica cancellazione di qualsiasi opposizione alla Rivoluzione avanzando con il suo "il fine giustifica sempre i mezzi". Preoccupato comunque dai controrivoluzionari e deciso a dare un colpo mortale alla monarchia e all'Ancien Regime, avvia il meglio conosciuto come "Terrore rosso" - riferito a distinguerlo dal periodo del "Terrore bianco" eseguito prima e dopo l'opera di Robespierre - attraverso il quale intendeva eliminare fisicamente tutti i possibili rivali della Rivoluzione. Il numero dei morti accertati si aggira attorno alle 70.000, in maggioranza appartenenti alla media borghesia, ma il numero dei morti, tenuto conto delle esecuzioni senza giudizio, come a Nantes e a Tolone, è da stimare ben oltre il numero storico tramandato.

Robespierre era certamente, in fondo al suo cuore ed alla sua ragione, un credente, e riteneva la sua Rivoluzione anche una difesa verso la religione, quella che intendeva lui, ossia, una religione senza una istituzione.

Il 9 novembre 1792 il filosofo Caritat, marchese di Condorcet, sul giornale "Chronique de Paris", di tendenza girondina, scrisse che Robespierre era il "capo di una setta", un "predicatore" che "sale sui banchi e parla di Dio e della Provvidenza".

Rispose Robespierre: "è un prete e non sarà mai altro che un prete".

 

"Bisogna distinguere tra il clero e l'idea di religione", disse: "Nessuna potenza ha il diritto di sopprimere il culto costituito sino a che il popolo non se ne sia esso stesso disingannato".

Certo, per Robespierre occorre rispettare la libertà di coscienza. Nonostante tutto i preti sono i testimoni dei "dogmi incisi negli animi". Se "la Dichiarazione dei diritti dell'uomo fosse fatta a pezzi dalla tirannia, la ritroveremmo ancora" contenuta per l'essenziale nella fede in Dio. Dio è "colui che crea tutti gli uomini per l'uguaglianza e la felicità", "colui che protegge l'oppresso", colui il cui culto si identifica con il culto della giustizia.

Di conseguenza ecco la sua soluzione: intervenire direttamente sulle menti del popolo: "il culto non si sopprime, ma è il popolo che può, disingannandosi, sopprimerlo nelle sue istituzioni". In sostanza basta avere l'idea di un Dio Creatore e praticare la sua giustizia affidata al Cesare giusto, tutto il resto è solo problema.

Il 5 ottobre (14 vendemmiaio) 1793 la Convenzione introduce il nuovo calendario rivoluzionario, senza riferimenti alla religione cristiana. Data di partenza il 22 settembre 1792, inizio della Repubblica. Robespierre è contrario, ma non certo per difendere la Chiesa, è contrario allo  scopo di abolire la domenica, non certo per motivi religiosi.

Il 16 ottobre (25 vendemmiaio) viene ghigliottinata la regina Maria Antonietta. Tra le carte di Robespierre viene trovato un libro di preghiere della regina. All'alba, prima della morte, Maria Antonietta vi aveva scritto "Mio Dio, abbi pietà di me! I miei occhi non hanno più lacrime per piangere per voi miei poveri figli; addio, addio!".

Vi ricordiamo che il saluto "addio" in passato aveva un significato davvero teologico, era "A-Dio", il saluto fra i martiri, un arrivederci in Dio, consapevoli che la morte che stavano affrontando in difesa della Fede, apriva loro le porte dell'eterna Vita.

Il 10 novembre (20 brumaio del calendario rivoluzionario) la Convenzione partecipò alla festa della Ragione in Notre Dame sconsacrata. Tutte le chiese di Parigi vennero chiuse.

Il 21 novembre (1 frimaio) Robespierre reagisce. "L'ateismo è aristocratico - La fede in Dio è popolare". Con il pretesto di distruggere la superstizione, dice, alcuni voglio fare dell'ateismo una specie di religione. Bisogna opporsi a coloro che "pretendono di turbare la libertà dei culti in nome della libertà e di attaccare il fanatismo con un nuovo fanatismo". Conclude: "Proscrivere il culto? La Convenzione non ha mai fatto questo passo temerario né mai lo farà".

 

Robespierre condanna senza dubbio l'ateismo in quanto immorale e pertanto aristocratico, legato ad un sistema di cospirazione contro la repubblica, ma al tempo stesso condanna, in tacito sistema, l'Istituzione della Chiesa arrivando ad imporre un "nuovo catechismo della ragione" e a fissare le nuove feste; non nomina mai "Gesù Cristo" ma arriva a proclamare l'idea dell' "Essere Supremo" e, se vogliamo, una prima forma di sincretismo religioso, un Essere Supremo  valido per tutti e non "presentato" da una Istituzione particolare quale la Chiesa.

Scrive: "L'idea dell'Essere Supremo e dell'immortalità dell'anima è un continuo richiamo alla giustizia: essa è quindi sociale e repubblicana".

Così il 7 maggio (18 floreale) 1794 Robespierre presenta un rapporto sulle feste decadarie. Un decreto stabilì il nuovo catechismo in quindici articoli, ecco alcuni:

Articolo 1: "Il popolo francese riconosce l'esistenza dell'Essere Supremo e dell'immortalità dell'anima".

Articoli 2 e 3: Il solo culto che si conviene all'Essere Supremo è la pratica dei doveri dell'uomo. Odio verso i tiranni, rispetto dei deboli, pratica della giustizia.

Articoli da 4 a 10: Istituzione di nuove feste (36 l'anno, 3 al mese, 1 per decadì) per celebrare la Repubblica, la Verità, la Giustizia, la Natura, il Genere umano, il Pudore, la Bontà, il Coraggio, la Frugalità, lo Stoicismo, l'Età virile, l'Amor patrio, l'Odio dei tiranni, la Fede coniugale, il Disinteresse, la Felicità, l'Infelicità, l'Agricoltura, l'Industria, ecc.

Nell'articolo 15 venne fissata la prima festa in onore dell'Essere Supremo per l'8 giugno 1794 (20 pratile), ebbe come coincidenza la domenica di Pentecoste, ma non fu certo la Festa di Pentecoste insegnata dalla Tradizione della Chiesa.

 

Vennero stabilite anche le grandi feste repubblicane.

Gli altri articoli confermano senza dubbio la libertà di culto, ma puniscono gli assembramenti aristocratici e le istigazioni fanatiche, e in definitiva le Feste Cattoliche definite "superstizione e fanatismo religioso".

Del resto il suo pensiero è assai limpido: " Abbandoniamo i preti e torniamo a Dio. Costruiamo la moralità su fondamenta sacre ed eterne; ispiriamo nell'uomo quel rispetto religioso per l'uomo, quel profondo senso del dovere, che è l'unica garanzia della felicità sociale; nutriamo in lui questo sentimento attraverso tutte le nostre istituzioni e facciamo sì che l'istruzione pubblica sia diretta verso questo fine.. Il vero sacerdote dell'Essere supremo è la natura; il suo tempio, l'universo; il suo culto, la virtù; la sua festa, la gioia di molta gente, riunita sotto i suoi occhi per stringere i dolci vincoli della fratellanza universale e offrirgli l'omaggio di cuori sensibili e puri...",

 

dimentico forse del fatto, lui che era cresciuto nella segreteria del vescovo, che il Dio vivo e vero ha istituito la Chiesa ed ha voluto i preti: "non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" - Gv.15,9-17 - e che per quanto nobili fossero i suoi principi, Robespierre aveva fondato la sua personale religione, eliminando di fatto lo stesso Gesù Cristo - mai nominato nei suoi discorsi sulla religione cristiana - l'unico e vero Sacerdote per mezzo del quale il sacerdote ordinato non fa altro che ripetere il Suo Sacrificio e non quello dell'uomo o di Robespierre....

 

Insomma alla fine Robespierre proclama "religione di stato" il culto dell'Essere Supremo secondo le suggestioni, l'interpretazione di Rosseau - e dello stesso Voltaire - attirandosi, come era prevedibile e giusto, il dissenso cattolico, ma anche quello degli atei il cui unico "essere supremo" era il loro diritto a non credere in un Essere "invisibile".

Robespierre predicava le "virtù" ma non erano certo quelle del Vangelo!

Sui principi di morale politica, memorabile il suo Discorso del 5 febbraio 1794, ecco alcuni stralci:

 

"Un re, un senato orgoglioso, un Cesare, un Cromwell, devono innanzi tutto cercare di coprire i loro progetti con un velo religioso, transigere con tutti i vizi possibili, far la corte a tutti i partiti, e schiacciare quello delle persone che vogliono realizzare il bene; opprimere ed ingannare il popolo, per giungere al fine della perfida ambizione. (..) Qual è lo scopo cui tendiamo? Il pacifico godimento della libertà e dell'uguaglianza; il regno di quella giustizia eterna le cui leggi sono state incise non già sul marmo o sulla pietra, ma nel cuore di tutti gli uomini, anche in quello dello schiavo che le dimentica e del tiranno che le nega.

(..) Ora, qual è mai il principio fondamentale del governo democratico o popolare, cioè la forza essenziale che lo sostiene e che lo fa muovere? È la virtù.

Parlo di quella virtù pubblica che operò tanti prodigi nella Grecia ed in Roma, e che ne dovrà produrre altri, molto più sbalorditivi, nella Francia repubblicana. Di quella virtù che è in sostanza l’amore della patria e delle sue leggi.

Ma, dato che l’essenza della Repubblica, ossia della democrazia, è l’uguaglianza, ne consegue che l’amore della patria comprende necessariamente l’amore dell’uguaglianza".

 

(.. e dopo aver elogiato il concetto di democrazia e di uguaglianza, pur condivisibile in molti punti, ecco i metodi e il concetto di virtù che non possiamo affatto condividere)...

 

" Bisogna soffocare i nemici interni ed esterni della Repubblica, oppure perire con essa. Ora, in questa situazione, la massima principale della vostra politica dev’essere quella di guidare il popolo con la ragione, ed i nemici del popolo con il terrore.

Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù, senza la quale il terrore è cosa funesta; il terrore, senza il quale la virtù è impotente.

Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque una emanazione della virtù. È molto meno un principio contingente, che non una conseguenza del principio generale della democrazia applicata ai bisogni più pressanti della patria.

Si è detto da alcuni che il terrore era la forza del governo dispotico. Il vostro terrore rassomiglia dunque al dispotismo? Sì, ma come la spada che brilla nelle mani degli eroi della libertà assomiglia a quella della quale sono armati gli sgherri della tirannia. Che il despota governi pure con il terrore i suoi sudditi abbrutiti. Egli ha ragione, come despota. Domate pure con il terrore i nemici della libertà: e anche voi avrete ragione, come fondatori della Repubblica.

 (...) Punire gli oppressori dell’umanità: questa è clemenza! Perdonare loro sarebbe barbarie. Il rigore dei tiranni ha come fondamento soltanto il rigore: quello del governo repubblicano ha invece come sua base la beneficenza.

E così, maledetto chi oserà dirigere contro il popolo quel terrore che deve riversarsi solamente contro i suoi nemici! Maledetto chi – confondendo gli errori inevitabili della virtù civica con gli errori calcolati della perfidia o con gli attentati dei cospiratori – abbandona il pericoloso intrigante, per perseguitare il cittadino pacifico! Perisca lo scellerato che osa abusare del sacro nome di libertà, o delle armi terribili che essa gli ha affidato, per portare il lutto o la morte nel cuore dei patrioti!..."

 

Senza alcun dubbio Robespierre è un genio. Un genio per il laicismo e per la scristianizzazione dell'Europa partita appunto con la Rivoluzione Francese.

E poichè chi sta con lo zoppo impara a zoppicare, quanti, politicanti e non, si sono ispirati alle idee di Robespierre non hanno fatto altro che prendere il peggio, perchè di idee buone per la politica in se stessa ne aveva, ma erano i principi su cui voleva fondarla e l'ha fondata che erano e sono sballati, a partire da un Essere Supremo senza nome, inconoscibile, adattabile alle proprie ideologie. Un Dio senza una Rivelazione, è un dio accomodante.

 Fa riflettere il monito del Cristo: "tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada...." (Mt.26, 52), così finisce Robespierre che già ferito a morte viene portato alla ghigliottina fra il tripudio di quel popolo al quale aveva dato quella presunta libertà impostata sulla strana morale di un Essere Superiore senza nome, senza identità.

 

Certe persecuzioni hanno rinsaldato la fede del popolo. Ma questa francese sembra aver cancellato la cristianità.

" Sì, è così. Per 15 anni fu resa impossibile la trasmissione della fede. Un'intera generazione. Pensi che Michelet fu battezzato a 20 anni e Victor Hugo non ha mai saputo se era stato battezzato o no. Le chiese chiuse. I preti uccisi o costretti a spretarsi e sposarsi o deportati e esiliati. Francamente io non capisco come oggi i cattolici possano inneggiare alla Rivoluzione.

Altra cosa è il perdono e altra solidarizzare con i carnefici, rinnegando le vittime e i martiri. Penso che la Chiesa tema, parlando male della Rivoluzione, di sembrare antimoderna, di opporsi alla modernità. lo credo che sia il contrario. E sono orgoglioso che sia stato un Paese protestante come l'Inghilterra a dare asilo ai preti cattolici perseguitati. Infatti non c'è libertà più fondamentale della libertà religiosa."

(professor Pierre Chaunu, una delle autorità per la storia moderna, membro dell'Institut de France)

 

Che ci furono poi aspetti positivi negli ideali politici di Robespierre, è innegabile.

Ma con i moti rivoluzionari francesi nasce il mito solare della Rivoluzione, quella che cambiò il corso dell'Europa, era il 1789.

Il 5 settembre 1793, invece, il sogno della rivoluzione si trasforma nell'incubo del terrore.

La Rivoluzione Francese fu una vera e propria "rivoluzione sociale", smisuratamente più radicale di qualunque equivalente sollevazione. Fu la sola fra tutte le rivoluzioni contemporanee ad essere veramente universale: le sue soldatesche popolari si levarono per rivoluzionare il mondo, le sue idee lo rivoluzioneranno veramente. Nella stessa Costituzione del 1795, nel Preambolo - noto come "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" - ritroviamo riassunti gli ideali rivoluzionari, poi condensati nell'espressione: "Liberté, Égalité, Fraternité".

La prima parola del motto repubblicano, Liberté, fu concepita secondo l'idea liberale. Essa, nella "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino", fu definita in questo modo: "La libertà consiste nel potere di fare ciò che non nuoce ai diritti altrui". "Vivere liberi o morire" fu la grande massima repubblicana. L'Uguaglianza, invece, ha un alto valore morale, poiché con il termine Égalité si voleva assegnare alla legge un valore democratico: tutti divenivano uguali e le differenze per nascita o condizione sociale dovevano essere abolite. Ognuno, quindi, aveva il dovere di contribuire alle spese dello Stato in proporzione a quanto possedeva, tutti divenivano uguali dinanzi alla legge. Il terzo motto repubblicano, Fraternité, fu infine definito così: "Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi". In pratica, "fate costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere".

 

Era pratica o solo teoria?

Secondo i contemporanei coinvolti negli avvenimenti della rivoluzione in Francia, anche il "Terrore", come abbiamo letto sopra, che scaturì dai moti rivoluzionari andava giudicato essenzialmente secondo il metro della Virtù.

Il "Terrore" riferì Robespierre nel suo celebre discorso "Sui principi della morale politica" esposto alla Convenzione nazionale, sopra riportato, "non è altro che la giustizia severa e inflessibile, ossia l'emanazione della Virtù".

All'apice della Rivoluzione francese troviamo quindi il "Terrore" come necessità, che mise a soqquadro la Francia. Esso fu la naturale conclusione di un movimento che, per accelerazioni progressive, volle fare terra bruciata del passato religioso, culturale e civile della Francia, e praticò sistematicamente, come metodo di lotta politica, l'annichilamento dell'avversario esercitando il potere in modo totalitario.

 

Entra in scena la ghigliottina.

E quale curiosità vi troviamo, ad inventarla è un ex gesuita.

Durante tutto il periodo rivoluzionario esiste un binomio terrificante: "Rivoluzione-patibolo". Esso si precisa meglio con l'assimilazione del patibolo con una nuova macchina: la ghigliottina. Anche se già inventata nel 1790, il suo uso è introdotto da un voto dell'Assemblea Legislativa nel 1792. La "macchina per ammazzare" è inventata da Joseph Ignace Guillotin, un ex gesuita uscito dalla Compagnia di Gesù nel 1763 per studiare la medicina del corpo anziché quella dell'anima. Nel 1789 entra negli Stati Generali (poi trasformatisi in Assemblea Nazionale) come rappresentante del Terzo Stato di Parigi, la città dove esercita l'arte medica.

 

I massacri dei preti che dissero no al giuramento

«Fino alla Costituzione civile del clero non ci fu rottura fra Chiesa e rivoluzione» scrive Luigi Mezzadri.

In una «atmosfera d'infatuazione e di speranze, il clero era stato all'avanguardia». Persino «la rinuncia ai beni e la perdita dei privilegi era stata assorbita in modo dignitoso». Rimaneva soltanto da chiarire un fatto: i preti erano i rappresentanti di una religione considerata come un «servizio pubblico», oppure come qualcosa da relegare nella coscienza dei singoli?

La risposta venne il 12 luglio 1790 con la Costituzione civile del clero (sostenuta da Robespierre), che considerava preti e vescovi funzionari dello Stato (con tanto di giuramento di fedeltà alla nazione).

Si aprì una ferita che generò «due Chiese»: una incline al giuramento e l'altra refrattaria.

Con un atto di forza vennero nominati vescovi costituzionali al posto dei refrattari. Cominciò anche la persecuzione di preti e vescovi refrattari (che fece montare il caso della Vandea) con deportazione di decine di migliaia di loro ( 40 mila nel 1792) e molte esecuzioni: il 2 settembre 1790, per esempio, 20 preti e 3 vescovi all'abbazia di Saint-Germain, oltre 70 al seminario di Saint-Firmin (nel 1926 191 vittime furono riconosciute martiri e beatificate), fino ai conati del 1797 con 41 esecuzioni di sacerdoti e distruzione di chiese ed edifici religiosi...

La Rivoluzione di Robespierre fece sparire nel nulla circa 10.000 fra sacerdoti e religiosi, molti dei quali non si seppe più nulla.

Liberté, Égalité, Fraternité.... ebbè!

 

Così riportava un articolo Avvenire nel 2004:

Le acque si sono comunque calmate ed è giunto il momento di tirar qualche somma. Come fa Luigi Mezzadri, che nel suo recente La Rivoluzione francese e la Chiesa (Città Nuova, pagine 216, euro 14,50) ci propone una ricostruzione limpida, equilibrata e di largo respiro di un rapporto molto articolato e complesso, insofferente di semplificazioni.

La periodizzazione, anzitutto: in quale arco cronologico situare il discorso? La faccenda non è così semplice. Quando finì la Rivoluzione francese? Col Termidoro, col Consolato, con l'Impero, con la Restaurazione? Gaetano Salvemini, in un suo saggio storiograficamente parlando abbastanza radicale, era perentorio: già il Terrore rappresenta una degenerazione della Rivoluzione, che per questo si arresta al 1793 per dar luogo a una serie di fasi tiranniche.

Con abbondanza di documenti Mezzadri dimostra che membri del clero erano molto coinvolti nella contestazione, all'origine solo finanziaria e amministrativa, allo strapotere della corona e ai privilegi economici e fiscali dei prelati e degli aristocratici; e che in fondo la Rivoluzione che finì con l'accanirsi contro le Chiese e la gente di chiesa non si potrebbe definire né "borghese", né di popolo, bensì rappresentava l'esito di una sorta di dittatura trasversale allargata (i celebri "ventimila" della Commune parigina dei quali ha parlato lo Chaunu). Ma, una volta avviata, la macchina rivoluzionaria infierì soprattutto sui membri del clero e sui fedeli: e qui il Mezzadri non tace i massacri, le sevizie, le violenze d'ogni sorta.

Liberté, Égalité, Fraternité.... ebbè!

 

Durante la rivoluzione francese, Robespierre è stato il "portavoce della (sua) sana Virtù",
ma certamente anticipò il ruolo politico dei dittatori del XX secolo.

 

In una intervista di Antonio Socci al professore Chanau dopo l'uscita del suo libro, gli chiese:

"Professore, il suo libro è uscito in Francia a marzo, già da alcuni anni lei si è ribellato al coro degli intellettuali e alle ingiunzioni del potere politico, contestando la legittimità di queste celebrazioni. Perché?"

 

ecco la risposta con la quale concludiamo questo articolo:

"È una mascherata indecente, un'operazione politica elle sfrutta le stupidaggini che la scuola di Stato insegna sulla Rivoluzione. Pensi alle bétises del ministro della Cultura Lang: "L’89 segna il passaggio dalle tenebre alla luce". Ma quale luce? Stiamo commemorando la rivoluzione della menzogna, del furto e del crimine. Ma trovo scioccante soprattutto che, alle soglie del '92, anche tutto il resto d'Europa festeggi un periodo dove noi ci siamo comportati da aggressori verso tutti i nostri vicini, saccheggiando mezza Europa e provocando milioni di morti. Cosa c'è da festeggiare? Eppure qua in Francia ogni giorno una celebrazione, il 3 aprile, il 5, il 10. È grottesco".

 

Replica ironicamente Socci:

"Ma è stato comunque un evento che ha cambiato la storia".

 

la risposta di Chanau:

"Certo, come la peste nera del 1348, ma nessuno la festeggia".

 

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