Potere Sacro e potere clericale

04.01.2013 11:29

 

Potere Sacro e potere clericale

 

Specifichiamo subito che parlare di "potere" in se non è corretto, ma noi useremo il termine primo perché è di uso comune, secondo perché se ben distinto dal significato umano e ben spiegato nel suo "servire", allora può essere usato.

 

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, tra il 2009 e il 2010, ha indetto l'Anno Sacerdotale motivando la sua decisione con queste parole: "Proprio per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l'efficacia del loro ministero, ho deciso di indire uno speciale 'Anno Sacerdotale' (..) nel 150° anniversario della morte del Santo Curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney, vero esempio di Pastore a servizio del gregge di Cristo".

 

Nel suo discorso del 16 marzo 2009, il Papa spiegò anche che mentre per ogni cristiano l'identità missionaria deriva dal battesimo e dalla cresima, per il presbitero scaturisce dalla dimensione intrinseca dell'esercizio dei tre poteri a lui conferiti nell'ordinazione sacerdotale, cioè quello di santificare, d'insegnare e di governare. Questo perché "la dimensione missionaria del presbitero nasce dalla sua configurazione sacramentale a Cristo-Capo".

La missione del presbitero si svolge nella Chiesa secondo quattro dimensioni che, connesse indissolubilmente l'una all'altra, ne delineano i contorni: la dimensione ecclesiale, quella comunionale, quella gerarchica e quella dottrinale.

La missione del sacerdote, evidenzia nel suo discorso il Papa, è:

 

- ecclesiale "perché nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro ed attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mondo";

 

- comunionale "perché si svolge in un'unità e comunione che solo secondariamente ha anche aspetti rilevanti di visibilità sociale. Questi, d'altra parte, derivano essenzialmente da quell'intimità divina della quale il sacerdote è chiamato ad essere esperto, per poter condurre, con umiltà e fiducia, le anime a lui affidate al medesimo incontro con il Signore";

 

- gerarchica e dottrinale in quanto tali aspetti "suggeriscono di ribadire l'importanza della disciplina (il termine si collega con ‘discepolo') ecclesiastica e della formazione dottrinale, e non solo teologica, iniziale e permanente".

 

Appare così evidente che Nostro Signore Gesù Cristo ha munito la Chiesa di un "potere sacro-dottrinale" e non piuttosto di un potere "clericale".

Gesù Cristo ha in se stesso questi tre poteri fondamentali:

- potere regale, - profetico e - sacerdotale.

Questo vuol dire che attraverso il Battesimo noi laici conformati a Gesù Cristo beneficiamo di questi tre poteri da cui si dice che ogni battezzato è re, profeta e sacerdote.

Nella Lettera ai Sacerdoti, così dice Benedetto XVI:

"Non si tratta certo di dimenticare che l’efficacia sostanziale del ministero resta indipendente dalla santità del ministro; ma non si può neppure trascurare la straordinaria fruttuosità generata dall’incontro tra la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro.

Il Curato d’Ars iniziò subito quest’umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato, decidendo di “abitare” perfino materialmente nella sua chiesa parrocchiale: “Appena arrivato egli scelse la chiesa a sua dimora... Entrava in chiesa prima dell’aurora e non ne usciva che dopo l’Angelus della sera. Là si doveva cercarlo quando si aveva bisogno di lui”, si legge nella prima biografia..."

 

Trovandoci in un Blog non è nostra intenzione sviluppare qui un argomento tanto complesso e che meriterebbe molto di più di un semplice articolo. A qualche lettore più erudito potrà interessare il libro di Romano Guardini "Il potere" pubblicato nel 1952. Altra premessa riguarda l'atteggiamento negativo sorto con il Protestantesimo nei confronti di un "potere sacro" legittimo nella Chiesa e combattuto, appunto, da Lutero tanto da arrivare a liquidare il ministero del sacerdozio, finendo per penalizzare tutto l'apparato liturgico e sacramentale della Messa, fino alla negazione della Divina Presenza nella Eucaristia.

Per giungere ai giorni nostri con l'aggravarsi di una massiccia presenza modernista interna alla Chiesa che pretende con superbia di appropriarsi di questo "potere sacro-dottrinale" per affermare dottrine eretiche quali il sacerdozio al femminile, o una sorta di equiparazione tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio dei fedeli.

 

Quello che a noi interessa approfondire nello specifico è presto detto e ben visibile nella foto sopra postata.

Per "potere clericale" intendiamo proprio quella presuntuosa presidenza nella Messa che scalza il vero Protagonista, con tutto ciò che poi questo comporta nella vita sacramentale, nella dottrina, nella pratica.

Protagonista della Messa e nella Messa è Nostro Signore Gesù Cristo che agisce, infatti, per mezzo, tramite, il Sacerdote: «Alter Christus, il sacerdote è profondamente unito al Verbo del Padre, che incarnandosi ha preso forma di servo, è diventato servo (Fil 2,5-11). Il sacerdote è servo di Cristo, nel senso che la sua esistenza, configurata a Cristo ontologicamente (cioè nel suo essere, per sempre), assume un carattere essenzialmente relazionale: egli è in Cristo, per Cristo e con Cristo a servizio degli uomini. Proprio perché appartiene a Cristo, il presbitero è radicalmente al servizio degli uomini: è ministro della loro salvezza, della loro felicità, della loro autentica liberazione, maturando in questa progressiva assunzione della volontà di Cristo, nella preghiera, nello “stare a cuore a cuore” con Lui. E’ questa allora la condizione imprescindibile di ogni annuncio, che comporta la partecipazione all’offerta sacramentale dell’Eucaristia e la docile obbedienza alla Chiesa»

[Benedetto XVI, Catechesi, 24 giugno 2009].

 

Ma cosa sono diventate oggi le Messe?

Se va bene sono diventate delle riunioni nelle quali ogni gruppo esprime se stesso, limitando gli abusi a forme di sentimentalismo, più o meno, variopinte e nelle quali ci si sforza di esprimere una forma affettiva superficiale, legata all'attivismo.

Se va male, oltre a quanto appena descritto, ci ritroviamo in talune Messe nelle quali il sacerdote non solo esprime se stesso, ma usa il presbiterio (laddove non sia stato divelto e abusivamente cancellato) come teatro, come palcoscenico, delle volte anche come palco elettorale e politico, di protesta, spesso obbligando i fedeli ad una partecipazione attiva forzata con canti danzanti, battimani e quant'altro. La Messa così non è più quel vivere il mistero del sacro, ma in molti casi è diventata strumento per esprimere se stessi, o per imporre il proprio potere comunitario.

E questo non riguarda solo il sacerdote quando compie abusi liturgici e non accetta correzioni, ma si riflette anche nei Movimenti, nei vari Cammini, gruppi interni alle Parrocchie che usano l'ambiente per imporre il proprio cammino modificando la Messa fatta a propria immagine e somiglianza di se stessi e del gruppo che si vuole pubblicizzare.

Dove sta la vigilanza del Vescovo?

 

"Nella concreta prassi pastorale e di formazione del clero perdurano queste due concezioni del clero:

- “Da una parte una concezione sociale – funzionale che definisce l’essenza del sacerdozio con il concetto di ‘servizio’: il servizio alla comunità, nell’espletamento di una funzione …

- Dall’altra, vi è la concezione sacramentale – ontologica, che naturalmente non nega il carattere di servizio del sacerdozio, lo vede però ancorato all’essere del ministro, e ritiene che questo essere è determinato da un dono concesso dal Signore attraverso la mediazione della Chiesa, il cui nome è sacramento”

(J. Ratzinger, Ministero e vita del sacerdote, Brescia 2005, p. 165).

Non si tratta, però, di due concezioni contrapposte, e la tensione che pur esiste tra di esse va risolta dall’interno. Lo strappo (o l'assunzione di tale potere clericale) avviene, come è ben visibile nella foto, nel momento in cui il sacerdote contrappone una delle due, le separa, usando una o l'altra per esprimere superbamente se stesso, celebrando se stesso e le proprie opinioni anziché esprimere e celebrare il Mistero che è chiamato a servire per se stesso e per i Fedeli accorsi.

La predicazione cristiana non proclama “parole”, ma la Parola, il Logos – Parola, e l’annuncio coincide con la persona stessa di Gesù Cristo, ontologicamente aperta alla relazione trinitaria con il Padre ed obbediente alla sua volontà nello Spirito Santo, spiega ancora Benedetto XVI.

Quindi un autentico servizio della Parola richiede da parte del sacerdote nel suo essere che tenda ad una approfondita abnegazione di sé, sino a dire esistenzialmente con l’Apostolo e con gioia: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” ontologicamente, nel mio essere e per sempre dal giorno dell’ordinazione.

Il presbitero, spiega ancora il Pontefice, non può mai considerarsi “padrone” della Parola proponendola con proprie dottrine private, ma servo di una Parola il cui soggetto in continuità o Tradizione è il popolo di Dio cioè la Chiesa.

Il presbitero non è la parola ma “voce” della Parola: “Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” (Mc 1,3). Ora, essere “voce” della Parola, non costituisce per il sacerdote un mero aspetto funzionale. Al contrario, nel suo essere dal sacramento e preesistente nel suo esistere, presuppone un sostanziale “perdersi” in Cristo cioè nel Suo Corpo che è la Chiesa, partecipando al suo mistero di morte e di risurrezione liberamente cioè per amore con tutto il proprio io: intelligenza, volontà e offerta dei propri corpi, come sacrificio vivente (Rm 12, 1-2).

Solo la partecipazione al sacrificio di Cristo, alla sua chénosi, rende autentico l’Annuncio! E questo è il cammino che ogni sacerdote non può non percorrere con Cristo per giungere felice, insiste il Papa, realizzato, a dire al Padre insieme a Cristo: si compia “non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). L’annuncio, allora, comporta sempre anche esistenzialmente il sacrificio di sé, condizione perché l’annuncio sia autentico ed efficace.

Il Santo Curato d’Ars ripeteva spesso con le lacrime agli occhi: “come è spaventoso essere prete!”. Ed aggiungeva: “Come è da compiangere un prete quando celebra la Messa come un fatto ordinario! Come è sventurato un prete senza vita interiore!”. “Tocca all’Anno sacerdotale – concludeva Benedetto XVI – condurre tutti i sacerdoti ad immedesimarsi totalmente con Gesù Crocifisso e Risorto, perché ad imitazione di san Giovanni Battista, siano pronti a “diminuire” perché Lui cresca; perché, seguendo l’esempio del Curato d’Ars, avvertano in maniera costante e profonda la responsabilità della loro missione, che è segno e presenza dell’infinita misericordia di Dio (impossibile senza il senso del peccato).

"Questa è la principale dimensione, essenzialmente missionaria e dinamica, dell’identità e del ministero sacerdotale: attraverso l’annuncio del Vangelo essi generano la fede in coloro che ancora non credono, perché possano unire al sacrificio di Cristo il loro sacrificio, che si traduce in amore per Dio e per il prossimo" [Benedetto XVI, Catechesi, 1 luglio 2009].

 

Benedetto XVI osserva che a fronte di tante incertezze e stanchezze anche nell’esercizio del ministero sacerdotale, è urgente il recupero di un giudizio chiaro e inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive san Tommaso d’Aquino: ‘Il più piccolo dono della grazia supera il bene naturale di tutto l’universo’ (Summa Theologiae, I – II, q. 113, a. 9, ad 2). La missione di ogni singolo presbitero dipenderà, pertanto, anche e soprattutto dalla consapevolezza della realtà sacramentale (Dio nella via umana) del suo ‘nuovo essere’. Dalla certezza della propria identità, non artificialmente costruita ma gratuitamente e divinamente donata e accolta, dipende il sempre rinnovato entusiasmo del sacerdote per la missione. Anche per i presbiteri vale che ‘all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva’ (Deus caritas est, 1).

 

Benedetto XVI osserva che dopo il Concilio Vaticano II, si è prodotta qua e là l’impressione che nella missione dei sacerdoti in questo nostro tempo, ci fosse qualcosa di più urgente di ciò che aveva richiamato il Concilio di Trento; alcuni pensavano che si dovesse in primo luogo costruire una diversa società. La pagina evangelica sta invece a richiamare i due elementi essenziali del ministero sacerdotale. Gesù invia, in quel tempo e oggi, gli Apostoli ad annunciare il Vangelo, non le proprie idee sul mondo o su come deve essere la società, e dà ad essi il potere di cacciare gli spiriti cattivi.

 

Annuncio’ e ‘potere’, cioè ‘parola’ e ‘sacramento’ sono pertanto le due fondamentali colonne del servizio sacerdotale, al di là delle sue possibili molteplici configurazioni.

Quando non si tiene conto del ‘dittico’ consacrazione – missione, spiega il Papa, diventa veramente difficile comprendere l’identità del presbitero e del suo ministero nella Chiesa.

- Chi è infatti il presbitero, se non un uomo convertito e rinnovato dallo Spirito, che vive del rapporto personale con Cristo, facendone costantemente propri i criteri evangelici?

- Chi è il presbitero se non un uomo di unità e di verità, consapevole dei propri limiti e, nel contempo, della straordinaria grandezza della vocazione ricevuta, quella di concorrere a dilatare il regno di Dio presente là dove Dio è amato e giunge il suo amore fino agli estremi confini della terra? Sì! Il sacerdote è un uomo tutto del Signore, poiché è Dio stesso a chiamarlo ed a costituirlo nel suo servizio apostolico. E proprio essendo tutto del Signore, è tutto degli uomini, per gli uomini.

Sempre nella Lettera ai Sacerdoti Benedetto XVI dicendo che tra i 408.024 sacerdoti nel mondo ci sono “splendide figure di generosi Pastori, di Religiosi ardenti di amore di Dio e per le anime, di Direttori spirituali illuminati e pazienti, gli insegnamenti e gli esempi di san Giovanni Maria Vianney possono offrire a tutti un significativo punto di riferimento. Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. E’ il mondo a trarne motivo di scandalo e di rifiuto. Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio”.

“Perfino – dice il Papa nell' Omelia dei Vesperi del 19 giugno 2009 – le nostre carenze, i nostri limiti e debolezze devono ricondurci (alla fedeltà) del Cuore di Gesù. Se infatti è vero che i peccatori, contemplandoLo, devono apprendere da Lui il necessario “dolore dei peccati” che li riconduca al Padre, questo vale ancor più per i sacri ministri. Come dimenticare, in proposito, che nulla fa soffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cristo, quanto i peccati dei suoi pastori, soprattutto di quelli che si tramutano in “ladri delle pecore” (Gv, 10,1ss), o perché le deviano con le loro private dottrine, o perché le stringono con lacci di peccato e di morte?

Anche per noi, cari sacerdoti, vale il richiamo alla conversione e al ricorso alla Divina Misericordia, e ugualmente dobbiamo rivolgere con umiltà l’accorata e incessante domanda al Cuore di Gesù perché ci preservi dal terribile rischio di danneggiare coloro che siamo tenuti a salvare”.

Nella  Prefazione al suo libro "La Regola di Benedetto", David Gibson scrive che Benedetto XVI in un’intervista del 2006 ha sottolineato (durante la Visita Apostolica in Baviera) che "la Chiesa Cattolica stessa è una sfera per la contemplazione, non per l’attivismo" (da non confondersi con la vera attività evangelizzatrice e di carità che la Chiesa deve invece compiere). Papa Benedetto ha aggiunto che il rinnovamento "non può venire da opportune iniziative pastorali, quale che sia la loro utilità, o da piani scritti su una lavagna"...

Argomento ripreso nuovamente dal Pontefice nell'Udienza del 25 aprile 2012:

"Non dobbiamo perderci nell'attivismo puro, ma sempre lasciarci anche penetrare nella nostra attività dalla luce della Parola di Dio e così imparare la vera carità, il vero servizio per l'altro, che non ha bisogno di tante cose - ha bisogno certamente delle cose necessarie - ma ha bisogno soprattutto dell'affetto del nostro cuore, della luce di Dio".

 

Nel capitolo IX del famoso libro "Rapporto sulla fede", Messori riporta quanto riteniamo sia rimasto un punto centrale di quel Ratzinger diventato poi Pontefice:

"... ciò che per Ratzinger va ritrovato in pieno è "il carattere predeterminato, non arbitrario, " imperturbabile -, " impassibile " del culto liturgico". "Ci sono stati anni - ricorda - in cui i fedeli, preparandosi ad assistere a un rito, alla Messa stessa, si chiedevano in che modo, in quel giorno, si sarebbe scatenata la " creatività " del celebrante...".

Il che, ricorda, contrastava oltretutto con il monito insolitamente severo, solenne del Concilio: "Che nessun altro, assolutamente (al di fuori della Santa Sede e della gerarchia episcopale, n.d.r.); che nessuno, anche se sacerdote, osi di sua iniziativa aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica" (Sacrosanctum Concilium n. 22).

Aggiunge: "La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese " simpatiche ", di trovate " accattivanti ", ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l'attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere "fatta" da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il " successo " in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è lo assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non ne è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi".

Continua: "Per il cattolico, la liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere " predeterminata ", " imperturbabile ", perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata " la vecchia rigidità rubricistica ", accusata di togliere " creatività ", ha coinvolto anche la liturgia nel vortice del " fai-da-te ", banalizzandola perché l'ha resa conforme alla nostra mediocre misura".

C'è poi un altro ordine di problemi sul quale Ratzinger vuole richiamare l'attenzione: "Il Concilio ci ha giustamente ricordato che liturgia significa anche actio, azione, e ha chiesto che ai fedeli sia assicurata una actuosa participatio, una partecipazione attiva".

Mi sembra ottima cosa, dico.

"Certo - conferma -. è un concetto sacrosanto che però, nelle interpretazioni postconciliari, ha subìto una restrizione fatale. Sorse cioè l'impressione che si avesse una " partecipazione attiva " solo dove ci fosse un'attività esteriore, verificabile: discorsi, parole, canti, omelie, letture, stringer di mani... Ma si è dimenticato che il Concilio mette nella actuosa participatio anche il silenzio, che permette una partecipazione davvero profonda, personale, concedendoci l'ascolto interiore della Parola del Signore. Ora, di questo silenzio non è restata traccia in certi riti".

***

Vogliamo ricordare a tutti che la Riforma in atto per mezzo della paziente e mite opera di Benedetto XVI non riguarda il rito nella forma detta oggi "straordinaria" giustamente liberalizzata, riabilitata nella Riforma fatta da Giovanni XXIII, quanto piuttosto riguarda proprio il rito nella forma detta "ordinaria", è qui che il Santo Padre ha apportato non già delle modifiche ma il ripristino del senso del Sacro, nonché la correzione a talune infiltrazioni abusive propagate, purtroppo, nei precedenti pontificati e nelle Messe celebrate dai Pontefici dopo il Concilio.

In una intervista del 2011, così spiegava mons. Guido Marini, Maestro per le Celebrazioni Liturgiche del Pontefice:

" Nell'ambito liturgico, ciò che il Papa sta indicando con la sua parola e con il suo esempio, è l'applicazione compiuta e fedele del Concilio Vaticano II, in sviluppo armonico con tutta la tradizione liturgica precedente della Chiesa. ... il Santo Padre è un Maestro di liturgia, per quanto riguarda i contenuti, l'insegnamento e il pensiero, e allo stesso tempo un grande 'liturgo', perché ci insegna l'arte della celebrazione. Benedetto XVI ha mutato la liturgia con il suo stesso stile celebrativo e allo stesso tempo con le sue indicazioni e orientamenti.

Se c'è una sottolineatura nelle celebrazioni presiedute dal Papa è proprio questa ricerca di andare al cuore e all'essenza della Liturgia, che è il Mistero del Signore celebrato nel quale tutti siamo chiamati ad entrare, in quel clima di adorazione e di preghiera che anche il momento del silenzio contribuisce a creare..."

 

«Le nostre liturgie della terra, interamente volte a celebrare questo atto unico della storia, non giungeranno mai ad esprimerne totalmente l’infinita densità. La bellezza dei riti non sarà certamente mai abbastanza ricercata, abbastanza curata, abbastanza elaborata, poiché nulla è troppo bello per Dio, che è la Bellezza infinita. Le nostre liturgie terrene non potranno essere che un pallido riflesso della liturgia, che si celebra nella Gerusalemme del cielo, punto d’arrivo del nostro pellegrinaggio sulla terra. Possano tuttavia le nostre celebrazioni avvicinarsi ad essa il più possibile e farla pregustare!» (Omelia alla celebrazione dei Vespri nella Cattedrale di Notre Dame a Parigi, 12 settembre 2008).

 

Chiediamo troppo ai nostri Vescovi e ai nostri Parroci?

 

Il 5 febbraio del 2010, la Redazione de IlGiornale.it esordiva scrivendo:

"L'Italia ha una brutta malattia, il clericalismo. Lo dico da cattolico con un vivo senso religioso. Questo è un Paese perdutamente clericale nella fede ma anche nell'ateismo, che non rispetta la verità ma il potere del clero, cioè la forza e l'involucro. Un Paese non devoto ma servile, che si genuflette non alla verità ma al clero che ne impone il monopolio. Un clero anche laico, dunque....

(...)

Della verità non frega nulla ai clericali, è quasi un ingombro e una distrazione; conta l'osservanza alla Cupola, la conformità a un codice di ipocrisie e salamelecchi. Per clero non s'intende per forza quello della Chiesa cattolica, ma un blocco di potere, fosse pure un clero di atei, un partito intellettuale, un gruppo di potere. Un clero laicissimo, massonico, intellettuale, mediatico o affaristico. Siamo sottomessi al clero dei magistrati e al clero della finanza, al clero dei partiti e al clero dei poteri culturali. E sacrifichiamo la verità al potere.

Clericale è il ceto di potere in carriera, anche quello religioso, come ha osservato giustamente il Papa l'altro giorno, ma non solo quello. Se hai la possibilità di fare lobby e partito, di imporre una verità di comodo o una bugia organizzata, meriti la devozione clericale. Quel che si traduce in complotto o più modestamente in conformismo è affiliazione clericale. Poi dei meriti veri o presunti, se sei bravo o sei una nullità, non conta nulla. Conta la tua collocazione, se non sei funzionale all'Operazione in corso vai bruciato. Questo è un Paese clericale, che di Dio, dell'anima e della fede non sa che farsene, ma che di servitù, menzogna e apparenza si nutre. Che brutto vivere in un Paese di clericali senza Dio."

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Concordiamo con questo pensiero ma specificando alcuni punti che useremo a conclusione di questo articolo.

Se questo nostro Paese fosse veramente "clericale nella fede", e per fede intendiamo quella vera, dottrinale e devota della Chiesa, non avremmo oggi necessità di scrivere questi articoli.

Piuttosto questo nostro Paese è certamente e perdutamente clericale in quell'ateismo che non rispetta la Verità, ma si è reso supino ad un potere clericale lontano invece dalla vera Fede e per questo parliamo di "clericalismo e di potere".

Un Paese che nelle sue membra sociali e culturali si genuflette ad ogni monopolio, non solo a quello clericale dal momento che anche certo Clero si è genuflesso a certi poteri civili (leggasi l'articolo nel Blog sulle cinque piaghe della Chiesa del beato Rosmini).

E senza dubbio una sorta di clero laico dal momento che si è tentato ovunque di equiparare il ministero sacerdotale a quello dei fedeli.

 

Così rifletteva Paolo Rodari il 20 giugno 2010 dal suo Blog:

«Il carrierismo, la ricerca del potere, era più di tanti altri mali, “il male” presente nella chiesa (soprattutto nel clero) che il cardinale Joseph Ratzinger aveva denunciato nelle meditazioni della via crucis del 2005 quando, poche settimane prima di succedere a Giovanni Paolo II, disse: “Quanta sporcizia c’è nella chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!”.

Su questo tema Benedetto XVI è tornato più volte, ad esempio quando ha detto il 3 febbraio 2010: “Non è forse una tentazione quella della carriera, del potere, una tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo nella Chiesa?”.

Il Papa, in modo più potente, ne aveva parlato il 12 settembre del 2009, quando elencò le caratteristiche che non devono mancare nella vita del prete.

A un certo punto disse: “Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introduciamo nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità. La fedeltà è altruismo, e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati. Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità, per il bene comune”.

 

Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica.

Ed infine, non si tratta di privilegiare la forma di un Rito della Messa a discapito di un'altra, quanto è necessario invece rendere palese che, la forma ordinaria della Messa nelle Parrocchie celebrata contro la riforma di Benedetto XVI, si presta allo strapotere clericale, dove ci si genuflette alle imposizioni del gruppo predominante anziché piegare le proprie ginocchia davanti all'Eucaristia, davanti al Tabernacolo (sfrattato dalle Chiese), nel mentre si riceve la Comunione.

Si prestano onori ai Caduti, alle autorità civili, militari e religiose, recita l'ufficio del protocollo istituzionale, ma non si prestano più gli onori a Colui che solo è degno di ricevere gli onori e la gloria, al di là e al di sopra di ogni Istituzione.

 

"La prima caratteristica, che il Signore richiede dal servo, è la fedeltà. Gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene. La Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato".

(Benedetto XVI Omelia ai nuovi Vescovi 12 settembre del 2009)

 

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