Laici o laicisti?

07.01.2013 14:46

 

Laicità o laicismo? Laici o laicisti?

 

Proponiamo questo breve articolo per rispondere ad una delle osservazioni rivolte a noi da Antonio F. - risorgimentale - in un suo messaggio nel Libro degli ospiti, certi così di fare a lui e ai lettori, cosa gradita.

 

Laico è un termine fin troppo abusato, ma esso deriva dal latino "laicus" e dal greco "laikos", aggettivo formato da "laos" che vuol dire popolo - onde laitos e leitos che vuol dire "pubblico". Il termine così ha da sempre significato nella Chiesa il popolo, la gente, colui che appartiene al popolo ossia che non ha abbracciato la vita ecclesiastica e vive tra la gente, "secolare".

Il primo testo in cui compare la parola laico è la famosa Lettera ai Corinti di Clemente romano, Papa,  della fine del primo secolo, dove egli indica che la comunità cristiana deve essere ordinata (distingue facendo riferimento al giudaismo: sommo sacerdote, sacerdoti, leviti, laici).

I laici, immersi nelle realtà del mondo, all’interno della compagine ecclesiale sono coloro che appartengono al popolo: i battezzati che non rivestono alcuna funzione nella gerarchia ecclesiastica. Etimologicamente San Girolamo attribuisce il termine laici alla radice greca λαός (popolo).

Fin dai primi tempi del cristianesimo nella comunità cristiana si vanno delineando i tratti della sua composizione: una struttura gerarchica e un popolo laico.

Nei laici si trovano carismi spirituali diversi che corrispondono a vocazioni particolari. Le donne vi partecipano come gli uomini.

Insomma il termine non ha mai indicato l'ateo, l'agnostico o altro, ma semplicemente colui che non era sacerdote, ecclesiastico, il popolo e, nello specifico, il popolo che lentamente confluiva nella vita della Chiesa.  

E' errato pensare e dire che questo termine fu usato "poi" dalla Chiesa, è esattamente il contrario, nell'Impero Romano e nel mondo fino ad allora conosciuto, il termine "laico" non era di uso comune, lo rese celebre proprio la Chiesa nel suo distinguere il popolo dai consacrati.

E' normale che all'epoca il termine non indicasse gli atei come si pretende far congiungere oggi perché il problema non esisteva, non esisteva un popolo di "non credenti" che rivendicasse il proprio ateismo quindi, quando si parlava di laici, si è sempre indicato principalmente il "popolo credente" ma non consacrati nel ministero.

Suggeriamo di leggere questa ricostruzione del laico nella storia:

https://www.iuscanonicum.it/Contributi/10%20laici%20nella%20storia.htm

 

A partire dall'anno Mille circa, con gli Ordini terziari associati agli Ordini religiosi, vengono a formarsi i primi gruppi di laici "consacrati", un esempio comprensibile a tutti è la posizione assunta da Santa Caterina da Siena "mantellata domenicana", laica consacrata del medesimo Ordine di San Domenico, a questa forma si aggiunsero le Confraternite, gruppi di laici che all'interno di queste strutture fornivano aiuto ai sacerdoti, si prodigavano verso i più poveri, custodivano il decoro delle Chiese e degli Ospedali, organizzavano Feste patronali, alimentando e custodendo la devozione o il culto al Santo del proprio Paese, inoltre erano davvero imponenti quando si prodigavano negli Anni giubilari estendendo una fitta rete di aiuti materiali e spirituali ai pellegrini. Tanto per fare un esempio citiamo le Confraternite che ininterrottamente operano ancora oggi presso i Santuari più famosi come quello di Santiago di Compostela, o altri Santuari mariani.

In definitiva, l'essere laico, era semplicemente non amministrare il Culto, ma prestare un servizio agli "amministratori dei misteri divini" (cfr. 1Cor. 4 "Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio.") il cui ministero va dal servizio della carità materiale, quanto al servizio della carità sacramentale.

Laici erano considerati anche quanti appartenevano alla classe politica. Lo stesso ruolo di Cesare e dell'Impero Romano era riconosciuto come laico da Gesù stesso, così come il concetto di Stato, nella Chiesa, è sempre stato considerato "laico", ossia svincolato dal Culto e dunque non confessionale. Ma "non confessionale" non vuol dire neppure "ateo".

 

Fino al 1700 circa, ossia fino all'implodere dell'Illuminismo e delle varie Rivoluzioni, il termine laico non è mai stato oggetto di interesse, né di assegnazione al negativo o al positivo. Fu con l'avanzare di uno spaventoso anticlericalismo massonico attraverso il quale essere consacrati, essere preti era giudicato in negativo, a far scaturire un concetto di positività o negatività al termine laico. Una positività che si riscontrava però a discapito del Prete, a discapito dell'appartenenza alla Chiesa. Nasce così il "laicismo" per contrapporsi a quel "rendere a Dio ciò che è di Dio".

E' erroneo e non corrisponde al vero che il cosiddetto "Stato laico" sarebbe semplicemente uno Stato "ateo" libero dalla legge di Dio.

Non solo questo è falso, ma alimenta di fatto la mostruosità che lo Stato sarebbe, a questo punto, dio di se stesso, con un ritorno al Cesare-dio in cui oggi la divinità sarebbe lo Stato e la sua bibbia la Costituzione.

 

Nel dicembre 2008 Avvenire riportava questo articolo interessante:

"Sul nesso fra Dio, religione e politica, l'insegnamento di Gesù Cristo si pone come evento inedito per quanto concerne la diversità fra Dio e Cesare (Mt.22,17): la novità cristiana è racchiusa nella nota frase: «Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Si tratta di un detto instauratore, capace di introdurre un passo in avanti nell'esperienza spirituale e politica dell'umanità.

Venne così introdotta la duplicità della rappresentanza (spirituale e temporale) al posto dell'unità tipica della città antica in cui si congiungeva in un solo vertice (nell'imperatore che era anche pontefice) la rappresentanza sacrale e quella civile.

La diversità cristiana apparve un attentato di cospicue dimensioni alla politica poiché, introducendo la "laicità" sconosciuta alle culture antiche, apriva inedite possibilità di liberazione e di dissidio.

Come spesso ha rivelato Joseph Ratzinger, la frase di Gesù sottolinea non solo che occorre marcare i confini fra Dio e Cesare, ma che occorre rendere o dare. Il risuonare di tale verbo cambia la prospettiva della semplice separatezza fra Dio e Cesare. Il rendere a Cesare quanto è necessario: giustizia, pace, diritti, rispetto, è qualcosa di grande. Ma Cesare non è Dio.

Cesare può essere patria temporale, ma non è patria definitiva per alcun uomo.

Il rendere a Cesare implica, perché sia autentico e pieno, il rendere a Dio quanto è necessario e salutare. Dare solo a Cesare senza dare a Dio è rovina. Il versetto evangelico domanda un doppio dare, e l'uno non può stare senza l'altro.

Il secolarismo europeo è esattamente definito dal dare a Cesare senza minimamente dare a Dio, mediante l'ipocrisia di confinare Dio nella più remota privatezza della coscienza, come ha denunciato Benedetto XVI.

In questo modo si sterilizza il contributo che la religione offre al miglioramento civile. Mirando al vigore della vita morale e delle virtù, essa raggiunge la società nel suo punto più nevralgico.

 Contrariamente all'asserto del materialismo storico marxista, l'anatomia della società civile è l'etica, non l'economia politica. Chi riesce a migliorare il comportamento morale delle persone adempie il compito più importante nella società.

Non ve ne è nessuna che, per quanto dotata di istituzioni molto elaborate, possa sussistere in maniera decente e costituire una vita civile accettabile, se i suoi cittadini cedono troppo ai vizi e allo scatenamento delle passioni.

Se lo Stato può soggiacere a smisurate richieste eudaimonistiche ma non può garantire i propri fondamenti morali, deve trovare fuori di sé, ossia nella società, tali basi: che oggi sono messe a rischio dal relativismo intellettuale e morale, e dal secolarismo.

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E ancora:

"La Chiesa non rivendica il diritto di dominare la dimensione secolare, ma ha tutto il diritto - di fatto l'obbligo, il dovere - di impegnare l'autorità secolare e di sfidare quanti la esercitano a soddisfare le esigenze di giustizia. In questo senso, la Chiesa cattolica non può stare, non è mai stata e non starà mai "fuori dalla politica". La politica implica l'esercizio del potere. L'uso del potere ha un contenuto morale e conseguenze umane. Il benessere e il destino della persona umana sono decisamente materia, e speciale competenza, della comunità cristiana".

(...)

D'altro canto vi sono personalità influenti, sia negli Stati Uniti sia in Europa, che cercano di ridurre la religione e la fede a un'opzione privata senza un ruolo pubblico da svolgere. Quindi cercano di edificare ciò che un critico definisce "una nuda pubblica piazza", rinchiudendo così la religione tra le pareti domestiche e secolarizzando totalmente la dimensione pubblica. (...)

... i cattolici, con il loro impegno per la tradizione della legge naturale, portano un contributo importante alla vita pubblica e al processo politico ... Infatti, come si può contribuire al bene comune se non si portano nei dibattiti e nelle discussioni le proprie convinzioni morali e i propri valori profondi?

Inoltre, le figure più autorevoli della tradizione cattolica, come san Tommaso d'Aquino, riconoscono la legittima autonomia della dimensione secolare-laica. La pretesa di "Cesare" alla lealtà e alla dedizione dei cittadini è legittima, ma la lealtà non può mai usurpare l'obbedienza alla corretta morale e il culto che si devono solo a Dio.

(..)

...un esempio è il santo inglese Tommaso Moro, che  Giovanni Paolo II definì "il celeste patrono dei governanti e dei politici".

 La grandezza di Moro sta nella sua lotta coraggiosa per restare fedele al proprio dovere verso il suo sovrano terreno senza mai compromettere la sua dedizione fondamentale ai dettami della propria coscienza di laico come riflesso della sua obbedienza al suo Re celeste. Come è ben noto, questa coerenza alla fine gli costò la vita, ma la sua testimonianza resta una forza potente e una ispirazione per quanti cercano di illuminare l'ordine sociale con la luce del Vangelo.

(..)

... ai laici di oggi è chiesta la stessa sfida che san Paolo pose ai suoi concittadini dell'impero romano:  "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (Romani, 12, 2). La chiave qui è la virtù del discernimento - e questo è sempre un compito arduo.

(dall'Oss. Romano del 11-12 agosto 2008)

 

Sant'Ambrogio chiede ripetutamente agli imperatori di stare attenti a far sì che i loro atti di governo non siano contrari al volere di Dio:  è questo il modo concreto attraverso il quale, in dualità di ambiti, l'autorità politica onora e rende gloria a Dio. Così, il santo segnala che la dimensione morale non appartiene solo all'ambito religioso, ma anche a quello politico:  ed è questo ordine morale, che le due sfere condividono, il luogo in cui s'incontrano.

 

 Un laico, insomma, può benissimo essere cattolico, e un cattolico  è un laico. Non ci sono laici contro cattolici. È interessante notare  che "cattolico", usato socialmente dal XVI sec. circa, in seguito allo scisma d’Oriente, viene dal greco cattolico katholicos (da kata +  gen. di holos) e significa “universale”. Insomma, ciò che contraddistingue il cattolicesimo dalle altre dottrine cristiane (e persino non) è la vocazione universale e inclusiva, ovvero in grado di abbracciare anche chi non ha preso i voti, ovvero i laici.

Lo scontro tra laici e cattolici è cominciato con le Rivoluzioni, quando si è cominciata ad usare la dea-ragione contro la Divina Sapienza infusa nella Chiesa, contro l'etica e la morale (legge naturale), contro i Dieci Comandamenti.

 

Non a caso così spiega Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Pace 2013:

"La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana.

Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita.

Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri?

Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente.

Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita.

Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.

Questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace. (..)

 La Chiesa si sente partecipe di una così grande responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione, che ha come suoi cardini la conversione alla verità e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la rinascita spirituale e morale delle persone e delle società..."

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Quindi ricorda: laici, laicità è una realtà individuata dalla Chiesa fin dal primo secolo.

Laicismo, laicisti no! E' una perversione del termine e del significato usato oggi contro la Chiesa, contro la religione, contro Dio, contro l'uomo di fede, contro la ragione stessa. Il laicismo è progressista (non progresso) e pretende di imporre una società secolarizzata nella quale non vi sia più il riferimento a Dio e alle radici Cristiane.

 

Suggerimenti alla lettura:

 

1. un libro: Laici e laicità: nei primi secoli della Chiesa - a cura di mons. Enrico Dal Covolo

 

2. Le radici della laicità (I-V secolo d.C.) prof. Paolo Siniscalco - Università di Roma “La Sapienza”

https://www.dirittoestoria.it/10/memorie/Siniscalco-Radici-laicita.htm

 

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