Papismo, papalatria, il senso dei termini
Papismo, papalatria, il senso dei termini
" Si guardino i sacerdoti dall'accettare nessuna delle idee del liberalismo, che, sotto la maschera del bene, pretende di conciliare la giustizia con l'iniquità...
I cattolici liberali sono lupi coperti dalla pelle di agnello; perciò il sacerdote, che è veramente tale, deve svelare al popolo, commesso alle sue cure, le loro perfide trame, i loro iniqui disegni. Sarete chiamati papisti, clericali, retrogradi, intransigenti. Vantatevene!
Siate forti, ed ubbidite a quel comando che è ricordato in Isaia :"Grida, non darti posa, alza la voce come una tromba, e annunzia al popolo mio le sue scelleratezze e alla casa di Giacobbe i suoi peccati"......"
Con queste parole il futuro San Pio X, Giuseppe Sarto all'epoca Patriarca di Venezia, così istruiva i Seminaristi della sua Diocesi.
Prendiamo spunto da queste sue parole per affrontare un argomento attualissimo, si dice infatti: papista o papa-latria?
Naturalmente "papalatria", come tutti i termini creati dalle mode del nostro tempo, in sé non esiste, è un termine che useremo in modo provocatorio perché, tuttavia, rappresenta - o ne è l'espressione - una certa realtà nel rapporto odierno fra i fedeli e la figura del Romano Pontefice.
Avevamo già affrontato un simile argomento con due articoli chiari: Nuovo Papa e non un Papa nuovo, e La Chiesa di Cristo o la chiesa del Papa?
ora si rende necessario avanzare nell'argomento.
Partiamo dal "papismo"
Perché un santo Sacerdote e futuro santo Pontefice come san Pio X usò il termine "papista" additandolo come vanto?
Per comprendere il significato che Papa Sarto dava al termine bisogna risalire a Lutero, si, a lui che per primo usò questo termine, naturalmente in senso dispregiativo e contro coloro che restarono fedeli al Papa dopo le scorribande eretiche di Lutero e la nascita stessa del Protestantesimo.
Papisti, per Lutero, erano tutti quei cattolici che dopo la sua riforma decisero di restare con il Papa difendendone il diritto e l'autorità pontificia, difendendo la vera fede, difendendo la Chiesa Cattolica nel suo corpus dottrinale confermato da Pietro.
Quindi in teoria "papisti" lo siamo ancora oggi tutti noi cattolici che prestiamo fedeltà ed obbedienza al Romano Pontefice.
Ma vediamo di capire come questi significati si sono evoluti oggi.
Dalla metà dell'Ottocento e agli inizi del Novecento (anche sotto san Pio X appunto), con gli eventi della Questione Romana e della caduta degli Stati Pontifici - nonché dopo il Concilio Vaticano I sulla questione dell'infallibilità papale - il termine "papista" cominciò ad assumere un contorno ben più marcato a livello "politico" per taluni (per esempio quanti difendevano la tenuta del potere temporale in chiave politica) e per altri restava, il Sommo Pontefice, il perno dell'unità dottrinale ed ecclesiale.
In poche parole sembrava non bastasse più definirsi "Cattolici" ma che fosse diventato necessario sottolineare una comunione diretta con il Pontefice, magari attraverso un epiteto ad effetto.
Non è un caso che il Successore di san Pio X, Papa Benedetto XV nel 1914 ritenne opportuno sottolineare l'uso di certi termini nel Documento "Ad beatissimi Apostolorum" nel quale vi si legge:
"Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici; e procurino di evitarli non solo come « profane novità di parole », che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché ne nascono fra i cattolici grave agitazione e grande confusione.
Il cattolicesimo, in ciò che gli è essenziale, non può ammettere né il più né il meno: Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo; o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: «Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome»; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina".
Perciò, quando ci sentiamo dire: "sono papista, lo ha detto san Pio X", andiamoci piano! Non è esattamente così.
San Pio X appoggiava e sosteneva il significato del termine usato, però, dai nemici del papato e della Chiesa, e non quale nuovo aggettivo per definire un cattolico!
Siamo perciò "papisti" non perché tale appellativo è un "epiteto alla professione del cattolicesimo", quanto piuttosto perché usato dai nemici della Chiesa per offenderci, offendere la nostra comunione con il Pontefice.
In tal senso, per San Pio X l'epiteto non può offenderci, ma deve essere "un vanto", anzi è un vanto unito ai termini quali "clericali, retrogradi o intransigenti" come ha spiegato lo stesso Pontefice.
Questo è essere veramente "papisti": perseguitati perché si professa integralmente la fede-dottrina della Chiesa e si difende l'autorità del Sommo Pontefice in quel comando divino: "...e tu Pietro, conferma gli altri nella fede" (cfr Lc.22,31-32).
Oggi infatti assistiamo anche ad una sorta di contro altare del termine, l'essere "papisti" infatti ha assunto contorni diversi. Intanto lo si è assunto quale termine identificativo contrariamente a quanto affermato da Benedetto XV nella sua condanna ad assumere nuovi epiteti, inoltre ha assunto un significato diverso. Essere "papisti" oggi, per alcuni, significa essere più papi del Papa stesso, difendere cioè il ruolo del Pontefice da sé stesso!
Si, abbiamo letto bene: difendere il Papa da sé stesso.
Quest'ultimo aspetto nasce con il Concilio Vaticano II a causa di frange che se in un primo momento avevano ragione di difendere il Papato dalle spinte moderniste e progressiste che usando il Concilio come una sorta di cavallo di Troia non aspettavano altro che buttare giù il Primato Petrino, dall'altra però hanno finito per assumere un ruolo quasi superiore al Papa stesso. Come a dire che, per difendere il Primato Petrino realmente messo a rischio, come ebbe a dire Paolo VI, si è finito per diventare più infallibili del Papa stesso, insomma ci si è lasciati prendere un pò troppo la mano.
Il vero "papista" è colui che crede nel ruolo di Pietro, crede nella sua missione e lo sostiene, lo appoggia come può, lo aiuta come hanno fatto i Santi anche criticando certe scelte (criticare le scelte non il Papa in quanto tale) se queste risultassero erronee, ma restando sempre al suo fianco e soprattutto nell'obbedienza al Magistero bimillenario, altro termine - obbedienza - sovente usato dallo stesso San Pio X a seguito del termine che stiamo analizzando.
Qualunque Cattolico, piuttosto, sostenitore dell'autorità di Pietro nel legittimo Successore regnante, è in sé un "papista", e di questo papismo, come diceva San Pio X, esserne fieri.
In poche parole l'essere "papisti" era, per San Pio X, essere difensori della Sede Petrina con il Suo legittimo Successore regnante, come insegna anche San Giovanni Bosco.
Facciamo ora un ulteriore passo in avanti.
Se vi fermaste, infatti, nella lettura solo fino a questo punto, naturalmente, attribuireste immediatamente questo uso profano del senso "papista" alla frangia esclusivamente detta "tradizionalista" che, senza dubbio in alcune frange più estremiste è facilmente riscontrabile.
Ma non era a loro che pensavamo in particolare, anzi, in termini personali non citiamo nessuno, ognuno ha il dovere di farsi un esame di coscienza per comprendere fino a che punto è davvero "papista" nel senso puro del termine (usato con disprezzo dalle frane protestanti ieri e moderniste oggi), da quel "papismo - autoreferenziale" che pretenderebbe di sostituirsi a Pietro.
Chiarito questo aspetto scaturirebbero da qui centinaia di domande, tutte legittime, ne prendiamo una che abbiamo ricevuto da un sacerdote.
Il Sacerdote che ci ha scritto ci ha elencato una serie di problemi reali e concreti all'interno della sua parrocchia: abusi liturgici, stravolgimento dottrinale, autoreferenzialità nell'esporre le Norme che disciplinano un rito o lo stesso Catechismo.
Dopo aver tentato in diversi modi di reagire e di portare la famosa e quanto più dimenticata "correzione fraterna", il Sacerdote sente di aver fallito e si è arreso davanti a questa situazione incresciosa, così ci ha scritto e del passo che riteniamo molto significativo, egli scrive:
"Ecco la mia vigliaccheria, non ho saputo reagire, chi avrebbe voluto reagire rimanendo solo ha con me taciuto, ma io forse avrei dovuto dare l'esempio, ma per fare cosa? Mi sono rifugiato nel silenzio, pregando e leggendo il Santo Curato d'Ars, ma lui aveva almeno il Papa alla sua parte, oggi portano come esempio il Papa non per correggere gli errori, ma per sostenere gli abusi...."
Dove e come si configura oggi il termine "papista" all'interno di una situazione così grottesca e paradossale a tal punto che non avremmo più un Papa che ci sostiene nella lotta contro gli abusi liturgici, l'eresia o se preferite l'apostasia, ma un Papa usato e strumentalizzato per legittimare gli abusi, per legittimare la contro-informazione a riguardo della sana dottrina, etica e morale, per legittimare la caduta dell'uomo del nostro tempo?
Domanda ed uso del condizionale d'obbligo poiché basterebbe prendere migliaia di citazioni dei recenti Pontefici, compreso quello regnante, per comprendere che di strumentalizzazioni si tratta, e che i Papi non hanno affatto legittimato gli abusi, l'eresia o l'apostasia.
In verità quel che manca un pò ai Papi oggi è quel:"tra il dire e il fare v'è di mezzo un mare" nel senso che laddove il Magistero riesce ad essere ancora credibile e comprensibile a riguardo di certe condanne, dall'altra parte, all'atto pratico non troviamo il sostegno dei Pontefici nell'applicazione di questo Magistero sempre più risicato e sempre più filtrato dal "politicamente corretto".
In due parole trattasi del monito di nostro Signore: "Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt.5,37) accompagnato e sostenuto dall'autentica apertura apportata dalla predicazione paolina: "Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno" (Col.4,6).
Come si può essere autenticamente "papisti", oggi, senza rischiare di diventare più "papisti del Papa stesso" e neppure così "autoreferenziali" come indicava recentemente Papa Francesco?
Basta davvero ciò che valeva fino a cinquanta anni fa, ossia: "bisogna obbedire al Papa e basta; il Papa ha sempre ragione; qualunque cosa accada io sto con il Papa, ecc..."?
Nell'ultima osservazione, senza dubbio sì: qualunque cosa accada "restare con Pietro" diventa davvero l'unico faro imponente in questo mondo che avanza nelle tenebre più fitte. Così come è pacifico il dovere dell'obbedienza a Pietro.
Tuttavia il punto invece che è possibile discutere è quel "il Papa ha sempre ragione", perché questa "ragione" ha una dipendenza ed è la trasmissione integrale della Fede e della Dottrina della Chiesa di cui il Papa è il custode non il padrone. Quindi anche il Papa è soggetto ad una obbedienza, è soggetto alla conversione, è soggetto a quel "morire a se stessi".
Non vi è affatto contraddizione nell'obbedire al Papa e al tempo stesso muovergli delle critiche laddove le sue scelte sociali e politiche risultassero errate, o comunque superate. Abbiamo molti esempi, possiamo citare la famosa "cattività avignonese" per confermare così un fatto storico.
Oppure il breve episodio di San Marcellino Papa (296-304), il Liber Pontificalis, che si basa sugli Atti di San Marcellino, narra che durante la persecuzione di Diocleziano, Marcellino venne chiamato per compiere un sacrificio, e offrì incenso agli idoli, ma che, pentendosi poco dopo, confessò la fede in Cristo e soffrì il martirio assieme a molti compagni, altri documenti parlano della sua defezione, ed è probabilmente questa sua mancanza che spiega così il silenzio su di lui degli antichi calendari liturgici.
Ma per restare ai tempi nostri, con le problematiche del nostro tempo, riportiamo un Documento ufficiale che l'allora cardinale Ratzinger, in qualità di Prefetto per la CdF, ebbe a firmare nel maggio 1990.
Per la prima volta, nel documento sui teologi firmato dal cardinale diventato poi Pontefice, viene affrontata la questione degli errori dottrinali dei papi.
Ecco la spiegazione che viene data, citiamo dal testo integralmente:
"E' accaduto che dei documenti magisteriali non fossero privi di carenze..... (attenzione, non parla di errori dottrinali, ma di carenze, nota nostra)
In questo ambito degli interventi di ordine prudenziale, è accaduto che dei documenti magisteriali non fossero privi di carenze. I Pastori non hanno sempre colto subito tutti gli aspetti o tutta la complessità di una questione. Ma sarebbe contrario alla verità se, a partire da alcuni determinati casi, si concludesse che il Magistero della Chiesa possa ingannarsi abitualmente nei suoi giudizi prudenziali, o non goda dell’assistenza divina nell’esercizio integrale della sua missione...."
Lo stesso Ratzinger, esemplificando quei determinati casi, ha accennato alle dichiarazioni dei Papi del secolo scorso sulla libertà religiosa, per esempio, e alle decisioni antimodernistiche di San Pio X all'inizio del Novecento. Il cardinale le ha definite una specie di "disposizione provvisoria", affermando in una intervista di quell'anno che:"... il loro nocciolo resta valido, anche se i singoli particolari, sui quali hanno influito le circostanze dei tempi, possono aver bisogno di ulteriori rettifiche, ossia di assestamento tenendo conto del momento che stiamo vivendo. In alcuni particolari delle determinazioni contenutistiche esse furono superate, la stessa condanna del Modernismo, ad esempio, non ha bisogno di rettifiche, quel Magistero resta sempre valido, tuttavia dopo che nel momento avevano adempiuto al loro compito a riguardo della condanna, era ora necessario andare avanti..."
Ma proseguiamo nella lettura integrale di una parte interessante del Documento:
"La missione del Magistero è quella di affermare, coerentemente con la natura «escatologica» propria dell’evento di Gesù Cristo, il carattere definitivo dell’Alleanza instaurata da Dio per mezzo di Cristo con il suo popolo, tutelando quest’ultimo da deviazioni e smarrimenti, e garantendogli la possibilità obiettiva di professare senza errori la fede autentica, in ogni tempo e nelle diverse situazioni. Ne consegue che il significato del Magistero ed il suo valore sono comprensibili solo in relazione alla verità della dottrina cristiana ed alla predicazione della Parola vera. La funzione del Magistero non è quindi qualcosa di estrinseco alla verità cristiana né di sovrapposto alla fede; essa emerge direttamente dall’economia della fede stessa, in quanto il Magistero è, nel suo servizio alla Parola di Dio, un’istituzione voluta positivamente da Cristo come elemento costitutivo della Chiesa. Il servizio alla verità cristiana reso dal Magistero è perciò a favore di tutto il Popolo di Dio, chiamato ad entrare in quella libertà della verità che Dio ha rivelato in Cristo.
15. Perché possano adempiere pienamente il compito loro affidato di insegnare il Vangelo e di interpretare autenticamente la Rivelazione, Gesù Cristo ha promesso ai Pastori della Chiesa l’assistenza dello Spirito Santo. Egli li ha dotati in particolare del carisma di infallibilità per quanto concerne materie di fede e di costumi. L’esercizio di questo carisma può avere diverse modalità. Si esercita in particolare quando i vescovi, in unione con il loro capo visibile, mediante un atto collegiale, come nel caso dei concili ecumenici, proclamano una dottrina, o quando il Pontefice romano, esercitando la sua missione di Pastore e Dottore supremo di tutti i cristiani, proclama una dottrina «ex cathedra»[13].
16. Il compito di custodire santamente e di esporre fedelmente il deposito della divina Rivelazione implica, di sua natura, che il Magistero possa proporre «in modo definitivo»[14] enunciati che, anche se non sono contenuti nelle verità di fede, sono ad esse tuttavia intimamente connessi, così che il carattere definitivo di tali affermazioni deriva, in ultima analisi, dalla Rivelazione stessa[15].
Ciò che concerne la morale può essere oggetto di magistero autentico, perché il Vangelo, che è Parola di vita, ispira e dirige tutto l’ambito dell’agire umano. Il Magistero ha dunque il compito di discernere, mediante giudizi normativi per la coscienza dei fedeli, gli atti che sono in se stessi conformi alle esigenze della fede e ne promuovono l’espressione nella vita, e quelli che al contrario, per la loro malizia intrinseca, sono incompatibili con queste esigenze. A motivo del legame che esiste fra l’ordine della creazione e l’ordine della redenzione, e a motivo della necessità di conoscere e di osservare tutta la legge morale in vista della salvezza, la competenza del Magistero si estende anche a ciò che riguarda la legge naturale[16].
D’altra parte la Rivelazione contiene insegnamenti morali che di per se potrebbero essere conosciuti dalla ragione naturale, ma a cui la condizione dell’uomo peccatore rende difficile l’accesso. È dottrina di fede che queste norme morali possono essere infallibilmente insegnate dal Magistero[17].
***
Perdonateci la lunga citazione, ma fondamentale, per comprendere - e così concludere - in quale senso noi possiamo essere fieri, oggi, di sentirci dire per disprezzo "siete papisti".
Nel momento in cui siamo in grado di provare con il Magistero alla mano (Catechismo e Documenti: testi, encicliche, lettere apostoliche, e quant'altro di ufficiale nel loro complesso e non nelle singole estrapolazioni) la realtà di questo "esercizio-compito- ", servizio petrino in difesa della verità dottrinale, e di quel sano discernimento " per la coscienza dei fedeli, gli atti che sono in se stessi conformi alle esigenze della fede e ne promuovono l’espressione nella vita, e quelli che al contrario, per la loro malizia intrinseca, sono incompatibili con queste esigenze....",
noi dobbiamo appoggiare e sostenere il Sommo Pontefice, e nel farlo siamo "papisti".
Tutto il resto che non rientrasse all'interno di questo "esercizio", restando ai margini di scelte politiche e al di fuori dei termini dottrinali (o se disgraziatamente persino contro), noi abbiamo il dovere di discuterlo senza per questo mettersi contro il Pontefice.
Veniamo così alla provocazione finale: papa-latria
Che cosa si intende?
Essendo un termine dal conio moderno e nuovo, associato ad un comportamento più dei fedeli che dall'esercizio del Pontefice, ricordiamo che lo stiamo usando in senso provocatorio e non certo quale affermazione di una nuova realtà oggettiva.
C'è un paradosso: papa-latria è un termine usato oggi contro quei cattolici "papisti" (ma nel senso corretto come indicato da San Pio X) che cercano di difendere l'autorità del Pontefice legittimamente regnante che, pontificando contro una certa deriva etica e morale, vengono accusati di non avere il coraggio di opporsi al Magistero Pontificio e difendere la legittima democrazia che dovrebbe entrare - secondo loro - nella Chiesa e porre fine a degli obblighi morali dettati dalle dottrine intramontabili.
Perché lo definiamo un paradosso?
Perché in realtà esiste una papa-latria oggi, ma non appartiene a chi è davvero "papista", bensì appartiene a quella schiera di cattolici che, navigando contro i Dieci Comandamenti e contro l'etica e la morale insegnata dalla Chiesa, quindi dai Pontefici, davanti all'opinione pubblica stanno sì con il Papa ma solo se è "simpatico, buono, bravo e bello", insomma ci troviamo davanti al "culto della persona" del Pontefice, a seconda delle simpatie ma senza obbedire alle dottrine, senza ascoltarlo nel Magistero, oppure estrapolando singole frasi e strumentalizzandone i contenuti disseminano cambiamenti dottrinali in suo nome, attribuendo il tutto al Papa.
Questa è la vera papa-latria.
Facciamo qualche esempio concreto.
Il Papa parla della povertà. C'è stata una eco assordante quando Papa Francesco ha detto come primo Discorso ai giornalisti: quanto vorrei una Chiesa povera!
In un momento la frase del Papa ha fatto il giro del mondo attribuendogli, tuttavia, una interpretazione contro la Chiesa stessa a riguardo (solito esempio trito e ritrito) degli accessori liturgici, le Basiliche con i loro contenuti come se bastasse, per risolvere la crisi della povertà, vendendo un patrimonio che non è affatto vendibile in quanto senza prezzo, e che se vendibile chi dovrebbe essere l'acquirente? Un museo, un privato, uno Stato?
Qui si è scatenata la vera papa-latria: simpatia alla massima centrifuga per il Papa che finalmente "spoglierà la Chiesa e venderà tutti i suoi ori"....
Ma quando Papa Francesco ha detto nella prima Messa con i Cardinali le seguenti parole: "Quando non si confessa Gesù Cristo..... “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.... camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso"... queste parole non hanno avuto la stessa eco, non sono state assimilate da questi cattolici effetti da papa-latria.
Parole completamente ignorante e sepolte.
Il vero "papista" vive invece di queste espressioni e sa perfettamente che confessare Gesù Cristo Crocifisso significa anche vivere di quella povertà che non è affatto lo spogliarsi esteriormente, o andare in giro a spogliare la Sposa di Cristo di accessori che non gli appartengono, ma "spogliarsi internamente" - morire a sé stessi - per poi arrivare, per chi può, a quella perfezione che sta nel "vendere tutto quello che hai, darlo ai poveri, e poi seguire il Signore" ossia consacrarsi a Lui (Mt.19,21), vivere di Lui, per Lui e con Lui.
Vendi quello che hai, vendi ciò che è in tuo possesso, e non "vendi ciò che non ti appartiene".
Il Papa stesso non potrebbe vendere affatto nulla di ciò che è dentro le Basiliche (tanto per fare un esempio) a disposizione per il servizio liturgico perché non è "un suo possesso" ma ne è il custode con tutta la dottrina che questi apparati comportano. La vera Chiesa povera sta nella sobrietà di vita delle sue Membra, questo ha sempre insegnato la dottrina della Chiesa, questo è stato sempre l'esempio concreto di molti Santi e Beati, Sacerdoti e Vescovi.
Passiamo ad un altro esempio eclatante: Giovanni Paolo II baciò il Corano.
Ci è lecito criticare il gesto rimanendo onestamente "papisti", senza scontrarsi con l'accusa di "saperne più del Papa"?
Sì!
La papa-latria la esercitò chi applaudì quel gesto attribuendo al Papa stesso intenzioni certamente mai sfiorate. Si applaudì il gesto dimenticando lo scandalo che questo gesto ha prodotto dal momento che nel Corano non è solo contenuto la negazione dell'Incarnazione divina del Figlio di Dio e la negazione della Morte di Gesù sulla Croce e persino la negazione della Sua Risurrezione, ma c'è proprio scritta ed impartita la condanna ai fedeli cristiani che non faranno abiura della dottrina della Chiesa sulla realtà di Dio stesso.
Nel momento in cui non ci è possibile venire a conoscenza delle intenzioni assunte dal Pontefice e le eventuali "giustificazioni" socio-politiche di quel momento storico, abbiamo tuttavia il dovere di affermare senza esitazione che quel gesto in sé stesso provocò grave scandalo e seminò una gravissima confusione all'interno del gregge molto del quale, imbevuto di mediatica papi-latria, finì per affermare che il Papa aveva decretato con quel gesto che "tutte le religioni sono uguali".
Il vero "papista" invece, fu colui che pur condannando il gesto in sé non esitò a far celebrare Messe di riparazioni, rimase accanto al Papa soffrendo per quel bacio ad un testo che condanna i cristiani e che nega la Santissima Trinità.
Vogliamo portare un ultimo esempio perché proviene da una penna molto più importante e credibile della nostra, dal cardinale Giacomo Biffi dal suo libro "Memorie di un cardinale italiano".
In questo libro il cardinale mette a nudo alcune leggerezze messe in atto da Giovanni XXIII attraverso alcune sue affermazioni, quindi muove delle critiche costruttive.
Mette a nudo l'episodio che anticipava il famoso "Mea culpa" di Giovanni Paolo II al quale il cardinale stesso racconta di come gli avesse fatto presente delle lacune e delle ambiguità contenute in alcune espressioni del testo.
Infine dedica una Lettera aperta al futuro Papa che non era ancora stato eletto, e che poté leggere proprio in Conclave dal quale uscì Benedetto XVI nel 2005.
Fra le "cose che avrebbe voluto dire al futuro Papa", disse questo:
"Vorrei dire al futuro papa che faccia attenzione a tutti i problemi. Ma prima e più ancora si renda conto dello stato di confusione, di disorientamento, di smarrimento che affligge in questi anni il popolo di Dio, e soprattutto affligge i 'piccoli'. Qualche giorno fa ho ascoltato alla televisione una suora anziana e devota che così rispondeva all’intervistatore: 'Questo papa, che è morto, è stato grande soprattutto perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali'. Non so se Giovanni Paolo II avrebbe molto gradito un elogio come questo...."
Lampante il riferimento alla prima riunione interreligiosa di Assisi in pieno fetore sincretista dal quale lo stesso Ratzinger prese le distanze correggendo per una futura partecipazione corretta una volta diventato Papa.
Eccolo un vero "papista", quella suora portata nell'esempio del cardinale invece è, chiaramente, una affetta da papa-latria.
Potremmo accennare all'uso anche del termine "papa-crazia", usato da molti cattolici progressisti che vorrebbero così un Pontefice democratico, ossia umano, e non legato al suo ruolo nell'infallibilità petrina e associato alla famosa "collegialità", ma alla fine sarebbe lo stesso della papa-latria.
Potremmo anche dire che credevamo che certa papa-latria avesse raggiunto il suo culmine con il Pontificato di Giovanni Paolo II, ma probabilmente, in questo, ci eravamo sbagliati.
Noi siamo certi che il Pontificato di Papa Francesco riserverà moltissime sorprese ai cattolici progressisti, non sorprese a loro favorevoli, ma non escludiamo un eccesso di papa-latria ancora maggiore al suo Predecessore beatificato che a quanto pare è stato già eclissato dai Media.
Vogliamo restare piuttosto fedeli al termine "papisti" così come lo intendevano san Pio X e san Giovanni Bosco ed anche l'umile frate san Pio da Pietralcina che in fatto di obbedienza al Papa, ma al tempo stesso anche di critica a certo sistema curiale, ha ancora molto da insegnare.
Una volta un santo Sacerdote ci disse: "... in fondo le membra della Chiesa dovrebbero o potrebbero somigliare un pò le Guardie Svizzere: queste sono persone che si arruolano in modo del tutto volontario non solo per mantenere viva una tradizione nata nel sangue, ma soprattutto perché credono in quello che fanno e lo svolgono egregiamente. Forse ogni battezzato cattolico dovrebbe avere nel cuore un sentimento tanto vivo come quello che anima l'arruolamento di queste persone per la tutela della libertà del Papa, una libertà di cui nessuno mai parla, mentre ognuno difende la propria".
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