Il gesuita Papa Francesco stocca il clericalismo

20.04.2013 09:48

Il gesuita Papa Francesco stocca il clericalismo

Visto che spesso siamo costretti a subirci gli slogan creati ad arte dai Media progressisti che strumentalizzano le parole dei Papi, questa volta analizzeremo anche noi certe frasi di Papa Francesco ma senza strumentalizzazioni di sorta, leggendoli piuttosto in termini e in chiave ecclesiale.

Abbiamo aperto questo Blog con un unico scopo: riscoprire le vie dei Santi per ritrovare nella nostra esistenza l'autentico dinamismo nel quale esercitare il ruolo dei Battezzati, ossia, dei "rivestiti di Cristo" che nella Chiesa ricevono un mandato specifico per essere veri seminatori e portatori dell'acqua viva, quella che davvero disseta, quella esperienza non con un testo scritto (per quanto sacro questo possa essere) ma dell'incontro esplosivo con una Persona speciale ed unica: Gesù Cristo, il Verbo incarnato, la Parola fatta carne.

In sostanza se questo incontro non ci cambia la vita, non ci converte e non ci rende testimoni credibili tanto da coinvolgere anche gli altri ad accostarsi al Cristo, allora rischiamo di diventare davvero una Chiesa esclusivamente "clericale", da qui la provocazione a quell'essere "anticlericali" a partire proprio da noi stessi.

La settimana scorsa, udendo Papa Francesco che già nel Giovedì Santo parlava contro una certa "autoreferenzialità" nella Chiesa, ci hanno scritto per chiederci cosa si intende con questo termine e che cosa sta cercando di dirci il nuovo Papa.

Volentieri dedichiamo questo articolo ad una più facile comprensione.

Papa Bergoglio è un Pastore della Chiesa che ben conosce le dinamiche pastorali perché non è semplicemente un teorico e non è un "curiale" bensì ha vissuto da sempre l'esperienza pastorale e con questa esperienza cerca di essere oggi il Vescovo di Roma, di fare il Papa, in sostanza l'esempio concreto, la testimonianza concreta dell'agire del Pastore nella Chiesa e nel mondo.

L'autoreferenzialità nella Chiesa è davvero una delle spine peggiori al suo fianco perché non le consente di applicare pienamente il suo essere "missionaria" e di conseguenza la priva di uno dei doni più eccelsi, quello dell'unicità nella propria dinamica che sforna santi e trae dalla moltitudine quanti sono chiamati alla vocazione, così insegnava già Benedetto XVI in molti suoi interventi.

In sostanza, autoreferenziali, significa quel compiacere sé stessi, accreditarsi da soli, parlare in modo autoreferenziale ossia esprimersi a favore di sé stessi e quindi in maniera a sé favorevole!

Significa escludere non solo Gesù Cristo, ma attribuirsi pienamente l'azione dello Spirito Santo come una sorta di servitore alle nostre intenzioni e dipendenze mentre, in verità, accade esattamente il contrario: noi siamo al servizio dello Spirito Santo, è Lui che da le referenze semmai e quindi rende credibile la Chiesa con tutta la sua missione e dottrina.

Quando diciamo che siamo "anticlericali" ci riferiamo a quel senso negativo di clericalismo autoreferenziale il quale, in ogni azione o pensiero, fa riferimento soltanto a sé stesso, alla propria vita o ai propri interessi e gusti.

Lo vediamo nel mondo della politica che è formato da una casta autoreferenziale, ideologica, partitica, che cerca di imporre il proprio pensiero.

Il pensiero che la Chiesa offre invece (non impone) non è suo nel senso che lo ha creato a tavolino, non è partitico, non è ideologico né filosofico, ma è l'incontro con Dio, l'incontro con la Persona Gesù Cristo attraverso il quale, lo Spirito Santo "fa vivere e santifica" e quindi promuove un certo pensiero universale(=cattolico) rendendo un servizio all'uomo in ogni tempo.

 

Per comprendere ancora meglio ciò che intendiamo, Papa Francesco ha spiegato nell'omelia della Messa del mattino del 19 aprile, chi sono coloro che, alla missione del Cristo, rispondono solo con la testa:

 "Sono i grandi ideologi. La Parola di Gesù va al cuore perché è Parola d’amore, è parola bella e porta l’amore, ci fa amare. Questi tagliano la strada dell’amore: gli ideologi. E anche quella della bellezza. E si misero a discutere aspramente tra loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’. Tutto un problema di intelletto! E quando entra l’ideologia, nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza del Vangelo, non si capisce nulla. (...)

E questi, sulla strada del dovere, caricano tutto sulle spalle dei fedeli. Gli ideologi falsificano il Vangelo. Ogni interpretazione ideologica, da qualsiasi parte venga – da una parte e dall’altra – è una falsificazione del Vangelo. E questi ideologi – l’abbiamo visto nella storia della Chiesa – finiscono per essere, diventano, intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla”.

E' l'ideologia del moralismo, dell'estetismo, dell'eticismo che, come tutti gli "ismi" della storia ci insegnano, falsificano non solo il Vangelo, ma di conseguenza anche l'immagine della Chiesa, il volto della Sposa, della Madre riducendola ad un accumulo di dottrine pesanti, noiose, incomprensibili.

Certo che Gesù ha insegnato, per esempio, che il Matrimonio è indissolubile e di conseguenza la Chiesa è contro il divorzio, ma ciò che manca a questi ideologi e quindi ad un certo clericalismo (anche laico) è quell'andare alla radice dell'indissolubilità, al perché Gesù la promuove, manca quell'incarnare la Parola per renderla davvero viva e visibile, comprensibile nel mondo.

Quando noi insistiamo sulla conoscenza dei Santi, non facciamo ideologia, non siamo autoreferenziali, ma poniamo come esempi dei fatti concreti, persone concrete che hanno cambiato nel loro proprio tempo situazioni stagnanti.

Ha detto infatti Papa Francesco sempre nell'omelia citata:

"I Santi sono quelli che portano la Chiesa avanti! La strada della conversione, la strada dell’umiltà, dell’amore, del cuore, la strada della bellezza … Preghiamo oggi il Signore per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra Madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, che porta l’amore ed è tanto bello! E anche ci fa belli, a noi, con la bellezza della santità. Preghiamo oggi per la Chiesa!”.

Qualcuno ha ragionevolmente detto che: dacché "il Verbo si fece carne" oggi abbiamo troppi che hanno trasformato "la Parola in carta"...

Non siamo forse sepolti da libri che tendono ad interpretare il Verbo, quello Eccelso, a seconda delle proprie autoreferenzialità, moralismi d'ogni sorta, slogan ideologici e quant'altro? Troppi interpreti della Parola e pochi testimoni della stessa.

Quando, infatti, parliamo dell'amore ci riferiamo a quel "Dio è amore" che seppur è riscontrabile in tutta la Scrittura, è detto letteralmente una sola volta nella Lettera di Giovanni e che non a caso apre la prima Enciclica di Benedetto XVI:

« Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1Gv. 4, 16).

Queste parole della Prima Lettera di Giovanni - scrive il Pontefice - esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: « Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto ».

 

La prima grande professione di fede scaturisce perciò non da un testo o da chissà quali ragionamenti, ma dall'Amore vivo e vero che Dio ha per noi, ed in questo abbiamo creduto e abbiamo operato; in questo crediamo ed operiamo.

Cercando di lasciarci addolcire anche dallo stile autenticamente pastorale di Papa Francesco, sempre nell'omelia della Messa delle 7 del mattino, il 18 aprile ha detto:

"Quante volte tanta gente dice in fondo di credere in Dio. Ma in quale Dio tu credi?”, una domanda diretta con la quale il Pontefice ha messo di fronte l’evanescenza di certe convinzioni con la concretezza di una fede vera:

“Un ‘dio diffuso’, un ‘dio-spray’, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia. Noi crediamo in Dio che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Noi crediamo in Persone, e quando parliamo con Dio parliamo con Persone: o parlo con il Padre, o parlo con il Figlio, o parlo con lo Spirito Santo. E questa è la fede”.

 

«L’ultimo scalino della consolazione — ha detto il Papa nell'omelia del mattino del 4 aprile — è la pace: si incomincia con lo stupore, e il tono minore di questo stupore, di questa consolazione è la pace». Il cristiano, pur nelle prove più dolorose, non perde mai «la pace e la presenza di Gesù» e con «un po’ di coraggio, possiamo dirlo al Signore: “Signore, dammi questa grazia che è l’impronta dell’incontro con Te: la consolazione spirituale”».

E, soprattutto, ha sottolineato poi, «mai perdere la pace». Guardiamo al Signore, il quale  «ha sofferto tanto, sulla Croce, ma non ha perso la pace. La pace, questa, non è nostra: non si vende né si compra. È un dono di Dio che dobbiamo chiedere». La pace è come «l’ultimo scalino di questa consolazione spirituale, che incomincia con lo stupore di gioia». Per questo, non dobbiamo farci «ingannare dalle nostre o da tante altre fantasie, che ci portano a credere che queste fantasie siano la realtà».

Infine, anche alla Messa a Santa Marta del 5 aprile, Papa Francesco ha spiegato l'importanza del nome di Gesù:

«Il nome di Gesù. Non c’è un altro nome. Forse ci farà bene a tutti noi, che viviamo in un mondo che ci offre tanti “salvatori”.  A volte «quando ci sono dei problemi — ha sottolineato —  gli uomini si affidano non a Gesù, ma ad altre realtà,  ricorrendo magari a sedicenti maghe  perché risolvano le situazioni, oppure vanno a consultare i tarocchi per sapere e capire cosa fare. Ma non è ricorrendo a maghi o tarocchi che si trova la salvezza: essa è  nel nome di Gesù. E dobbiamo dare testimonianza di questo! Lui è l’unico salvatore».

Un riferimento poi è stato dedicato al ruolo della Vergine Maria. «La Madonna — ha concluso il Pontefice — ci porta sempre a Gesù. Invocate la Madonna, e Lei farà quello che ha fatto a Cana: “Fate quello che Lui vi dirà!”.  Lei ci porta sempre a Gesù. È la prima ad agire nel nome di Gesù».

 

Nella Lettera inviata ai Vescovi argentini, ha così stoccato Papa Francesco:

«La malattia tipica della Chiesa ripiegata su se stessa  è l'autoreferenzialità: guardarsi allo specchio, incurvarsi su se stessa come quella donna del Vangelo. È una specie di narcisismo, che ci conduce alla mondanità spirituale e al clericalismo sofisticato».
La terapia che il Papa propone ai vescovi argentini e alla Chiesa tutta è sempre la stessa: «uscire da se stessi per andare verso le periferie esistenziali». O si fa così, o la malattia si aggrava. «Una Chiesa che non esce fuori da se stessa, presto o tardi, si ammala nell'atmosfera viziata delle stanze in cui è rinchiusa».

 

Ora, se meditiamo a fondo l'episodio di Maria alle Nozze di Cana, la soluzione stessa che ci propone la Madre è proprio questo "uscire da noi stessi" per fare "tutto ciò che Lui ci dirà"; se non facciamo e non predichiamo cosa Cristo ha detto di fare, diventiamo autoreferenziali e ci chiudiamo in noi stessi, non predichiamo più la Chiesa ma una nostra immagine di Chiesa, una nostra immagine di Cristo.

La scena a Cana è chiarissima: i veri servi non dicono una sola parola, il dialogo si svolge fra Gesù e la Madre e il tutto parte non da una richiesta personale della Madre, ma da una materna preoccupazione che è una constatazione in quel "non hanno più vino", con il rischio che tutta la festa e l'inizio di quel matrimonio potrebbero essere compromessi se Gesù non farà qualcosa. A questo punto, dopo il dialogo fra Gesù e la Madre, nostra avvocata presso il Figlio, i servi obbediranno alle istruzioni di Gesù.

E' in questo "fare tutto ciò che Lui dice" che il Signore può operare.

Questo significa uscire da se stessi e mettersi alla sequela autentica di Cristo, essere veri servi della Parola e non della sua più vasta interpretazione a seconda delle nostre opinioni, constatare le esigenze degli altri alla luce del Vangelo e rispondere come risponderebbe Cristo stesso attraverso gli esempi che abbiamo sia nei Vangeli quanto nei Santi (=Tradizione).

Certo che, come insegnava Benedetto XVI, non abbiamo delle ricette facili. La fede e la sua applicazione sono un cammino costante, anche con cadute e ricadute, ma sempre un cammino per questo i Sacramenti sono un bene insostituibile, specialmente la Confessione e l'Eucaristia. Vivere dei Sacramenti è proprio questo predisporsi per ricevere il vino buono. La Confessione, fatta bene e costantemente, ci svuota del nostro ego, l'Eucaristia ci riempie del vino buono.

Per questo invitiamo e sollecitiamo i Sacerdoti ad occuparsi delle anime e non di altro!

Li invitiamo ad essere meno clericali di quella autoreferenzialità che offusca la loro stessa identità di Ministri santificatori, "amministratori dei misteri di Dio"(cfr 1Cor.4,1) e non del loro sapere nelle loro opinioni, spesso anche speculazioni teologiche.

 

"Mi incontro oggi con voi, sacerdoti chiamati da Cristo a servirlo nel nuovo millennio. Siete stati scelti tra il popolo, costituiti nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Credete nella potenza del vostro sacerdozio! In virtù del sacramento avete ricevuto tutto ciò che siete. Quando voi pronunciate le parole "io" o "mio" ("Io ti assolvo... Questo è il mio Corpo..."), lo fate non nel nome vostro, ma nel nome di Cristo, "in persona Christi", che vuole servirsi delle vostre labbra e delle vostre mani, del vostro spirito di sacrificio e del vostro talento. (..)  Non lasciamoci prendere dalla fretta, quasi che il tempo dedicato a Cristo in silenziosa preghiera sia tempo perduto. È proprio lì, invece, che nascono i più meravigliosi frutti del servizio pastorale. Non bisogna scoraggiarsi per il fatto che la preghiera esige uno sforzo, né per l'impressione che Gesù taccia. Egli tace ma opera.

(..) In un mondo in cui c'è tanto rumore, tanto smarrimento, c'è bisogno dell'adorazione silenziosa di Gesù nascosto nell'Ostia. Siate assidui nella preghiera di adorazione ed insegnatela ai fedeli. In essa troveranno conforto e luce soprattutto le persone provate.

Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa:  che siano degli specialisti nel promuovere l'incontro dell'uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale".

(Benedetto XVI - Incontro con il Clero Polonia - 25 maggio 2006)

 

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