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La Beata Emmerich la Chiesa e i Papi

18.03.2013 15:28

 

Le Visioni della Beata Caterina Emmerick sui Papi e la Chiesa

tratte da Ed. Cantagalli 1995

Già più di due secoli fa la beata Caterina Emmerich preannunciava che la liberazione di Satana sarebbe avvenuta poco prima dell’anno 2000 dichiarando “Mi è stato anche detto che Lucifero verrà liberato per un certo periodo cinquanta o sessanta anni prima dell’anno di Cristo 2000. Mi vennero indicate le date di molti altri eventi che non riesco a ricordare; ma un certo numero di demoni dovranno essere liberati molto prima di Lucifero, in modo che tentino gli uomini e servano come strumenti della giustizia divina”.

A Natale del 1819 Anna Emmerich rivela che la Provvidenza le dona alcune Visioni sul futuro del mondo, dei Papi e la Chiesa, riepilogabili in sette periodi che, tuttavia, non furono né a suo tempo, né dopo facilmente riconducibili ad una chiara cronologia o ad una chiara decifrazione.

La Beata così comincia a descrivere questi sette tempi al "pellegrino" (il Brentano): " Io vidi attorno alla Chiesa di Pietro una enorme quantità di persone, alcune occupate a distruggerla e molte altre invece a ripristinarla. Vidi il Papa in preghiera circondato da falsi amici, i quali spesso agivano in contrasto alle sue disposizioni. Un individuo piccolo e nero agiva freneticamente contro la Chiesa di Dio, e mentre quest'ultima veniva così abbattuta, dall'altra parte era anche ricostruita, ma, per la vertà, senza molto vigore" (pag. 139).

 

(siamo sempre nella Visione del Natale 1819): "Poi vidi giungere un nuovo Papa con una processione. Sebbene questo fosse più giovane del Papa precedente, era anche molto più severo. Venne accolto con i più grandi festeggiamenti. Sembrava come se volesse inaugurare la Chiesa, ma io sentii una voce: - Non c'è bisogno di una nuova inaugurazione, soltanto il Santissimo è rimasto al suo posto -. Ci fu però una duplice e grande celebrazione ecclesiastica, un giubilo generale e la Chiesa fu ripristinata. Prima che il Papa iniziasse la celebrazione il suo contorno era già preparato alle varie sostituzioni; vidi uscire dall'assemblea un certo numero di persone distinte e strettamente religiose che senza obiezioni proseguirono il loro cammino in altra direzione, mentre altri lasciarono l'assemblea con rabbia e brontolii. Il Papa allora, dopo aver proceduto alle sostituzioni di laici e religiosi, iniziò la grande celebrazione nella Chiesa di San Pietro" (pagg. 140-141).

 

(30 dicembre 1819): "Quando la battaglia sulla terra ebbe termine gli Angeli e la Chiesa che prima erano scomparsi divennero visibilmente luminosi e bianchi. Anche la Croce era scomparsa e al suo posto, sulla Chiesa, comparve un figura femminile, alta e piena di splendore che spiegava il suo mantello dai raggi dorati. Sotto la Chiesa apparvero reciprocamente mortificazione e conciliazione. Vidi Vescovi e pastori avvicinarsi e scambiarsi i loro libri. Le sette riconobbero la Chiesa, convinte dalla meravigliosa vittoria dei bianchi e dalle luci della Rivelazione che avevano visto scendere su di loro. (...) Quando io vidi tutto ciò ebbi la sensazione che il Regno di Dio fosse vicino. (..)... in tutti gli uomini cresceva una attività interiore sacra, come al tempo della nascita di Cristo. Sentii tutto questo ed esultai. (..) ... vidi che questi miei sentimenti erano condivisi da tanti umili fedeli cristiani. (...) i nemici si erano sparpagliati e non furono perseguitati. Numerose processioni si snodavano innanzi e dentro la Chiesa che adesso era presieduta da un nuovo e severissimo Papa. Prima dell'inizio della celebrazione egli, come già vidi, aveva scacciato via molti vescovi e pastori indegni. Questa festa nella Chiesa fu particolarmente celebrata dagli Apostoli" (pagg. 143-145).

Cominciano da qui altre visioni da agosto e fino alla fine di ottobre 1820 il ché ci fa presupporre che quanto abbiamo letto nelle Visioni del 1819, parte integrante di almeno alcuni dei sette periodi accennati dalla Beata, possano essere già avvenuti con, per esempio, il Papa visto come un "severo" che possiamo riconoscere in San Pio X che condannò il Modernismo anche se, è bene sottolinearlo, dal 1819 ad oggi non risulta esserci mai stato un Papa che abbia " scacciato via molti vescovi e pastori indegni..."? Non lo pensiamo dal momento che non era nel progetto di San Pio: "inaugurare la Chiesa, ma io sentii una voce: - Non c'è bisogno di una nuova inaugurazione, soltanto il Santissimo è rimasto al suo posto -. Ci fu però una duplice e grande celebrazione ecclesiastica, un giubilo generale e la Chiesa fu ripristinata. " Come possiamo ben vedere restiamo sempre con i tanti punti interrogativi e al condizionale.

In queste nuove Visioni del periodo del 1820, la Emmerich descrive nuovamente una Chiesa sottoposta a guerre ininterrotte e di annientamento su tutto l'emisfero terrestre e in ogni angolo della terra. Descrive come queste guerre contro la Chiesa "in futuro non oggi" - dice la Beata - erano guidate dall'ormai radicato impero dell'Anticristo e, specifica il Brentano: " Questa visione è certamente piena di lacune, spesso difficile da decifrare, ma quello che lei ha visto in queste forme nude, e che può descrivere solo a fatica, si accosta molto alle forme della Rivelazione nel Libro di San Giovanni.. (..) ciò che è certo è che tutti abbiamo pensato alla descrizione degli ultimi tempi..."

Così cominciano i racconti delle Visioni da agosto a fine ottobre 1820:

"Io vidi nuovi martiri, non di adesso, bensì del futuro, io vidi gente precipitarsi verso la grande Chiesa... (qui c'è tutta la descrizione - pagg. 147-148 - della bestia descritta in Apocalisse), e dopo la battaglia con la quale ci è lecito pensare ad un altro dei sette tempi indicati dalla Mistica, così riporta: " La Chiesa aveva ripreso il suo magnifico splendore. Fin dai confini del mondo la gente di buona volontà, di tutte le condizioni e della terra intera, aveva formato una immane catena umana per passare ad una ad una le pietre per ricostruirla. Vidi ancora tanti uomini cattivi e altri che sarebbero divenuti nuovi martiri per Gesù. La Chiesa fu ricostruita in breve tempo..."

Il 10 agosto 1820 ripartono le Visioni drammatiche sul Pontefice, ci è lecito dunque pensare ad un altro dei sette periodi: " Vedo il Santo Padre in grande assillo; abita in un altro palazzo circondato da poche persone di fiducia, le sue forze stanno per confrontarsi con la fazione cattiva. Se le forze del male avranno la meglio egli soffrirà ancora grandi tribolazioni prima della sua morte. Vedo la chiesa delle tenebre in crescita ed influire in modo negativo sul mondo del sentimento.

La pena del Santo Padre e della Chiesa è realmente così grande che si deve supplicare Dio giorno e notte. Io sono stata guidata questa notte a Roma. vedo il Santo Padre in una grande pena d'animo ancora nascosto per sfuggire alle sinistre minacce. Egli è stanchissimo e del tutto sfinito dagli assilli, dalla tristezza e dalle preghiere. Si nasconde perchè non può più reggere, gli è vicino un prete che è suo devotissimo amico ricolmo della grazia di Dio, che vede e annota molto, e comunica tutto fedelmente al Santo Padre.

A questo sacerdote dovetti rivelare, in preghiera, quelli che erano i traditori e i cattivi intenzionati: altissimi funzionari e fiduciari stessi del Santo Padre. In questo modo il Papa sarebbe stato messo in guardia in modo da non confidarsi più con chi gli era vicino, ma che in realtà era suo nemico. Egli è così debole che non può più camminare..." (pagg.149-150).

 

Non vogliamo aggiungere nulla a quanto abbiamo letto, lasciando ad ogni lettore di riflettere e meditare che l'unico Pontefice in questa situazione e in queste condizioni dal 1820 ad oggi, lo abbiamo oggi e si chiama Benedetto XVI.

Ci teniamo anche a sottolineare che con queste Visioni non intendiamo affatto essere ambigui e attribuire al nuovo Pontefice Francesco una qualche responsabilità o colpa. Noi riconosciamo Papa Franciscus il legittimo 266° Sommo Pontefice di Santa Romana Chiesa, Successore legittimo di Papa Benedetto XVI. Non tiriamo alcuna conclusione, ma quanto è accaduto in questi nostri giorni può solo essere letto in chiave cattolica e di grande Fede e di amore per il Papa e la Chiesa.

Non possiamo così ignorare la Visione del 25 agosto, a quanto abbiamo letto (anche qui ci sembra lecito pensare ad un altro dei setti tempi), nella quale dice la Emmerich: "Non so come stanotte giunsi a Roma, mi ritrovai vicino alla Chiesa di S. Maria Maggiore e vidi colà molta gente povera e devota, piena di paura e preoccupazione a causa del ritiro del Papa. Per questo motivo c'era inquietudine in città e la gente si recava a supplicare la Madre di Dio....(... qui descrive i sentimenti della gente) Vidi allora apparire la Madre di Dio, la quale mi disse che il pericolo sarebbe aumentato e perciò la gente doveva pregare ferventemente in modo devoto, con le braccia aperte e distese tre Pater Noster al Supremo (...) i fedeli avrebbero dovuto supplicare e pregare in special modo affinché la chiesa delle tenebre ricada di nuovo nell'abisso. La Madre di Dio parlò mi di molte cose assai difficili a spiegarsi; appresi che solo un prete avrebbe offerto un sacrificio incruento dignitosamente e consapevolmente come fecero gli Apostoli, allontanando tutti i pericoli. (...) Questa gente buona e devota, adesso era diventata sprovveduta e disorientata. Tra loro non c'era più nessun nemico eppure sembravano aver paura l'uno dell'altro" (pagg.150-151).

Il 7 ottobre la Emmerich ha una nuova visione  in cui viene accompagna da Santa Francesca Romana, dopo un giro nelle catacombe, descrive: "Quando con Francesca Romana e il Santo martire (di cui dice di non ricordare il nome), giunsi a Roma, vedemmo un grande palazzo (il Vaticano spiega poi), avvolto nelle fiamme. Fui molto turbata, nessuno tentava di spegnere quell'incendio ed ebbi l'impressione che gli abitanti volessero forse essere bruciati, perché nessuno tentava di domare le fiamme. Appena ci avicinammo il fuoco scemò fino a spegnersi. Potemmo vedere il palazzo bruciato e annerito dalle fiamme. Entrammo ed attraversammo molte sale meravigliose. Giungemmo fino al Papa che sedeva su una grande sedia era malatissimo ed aveva perduto i sensi. Non poteva più muoversi. (..) I religiosi che lo circondavano non mi piacevano, apparivano essere falsi e tiepidi. I devoti semplici e fedeli invece, si trovavano nella parte più lontana del palazzo. Parlai a lungo con lui e mi sembrò che la mia presenza in quel luogo fosse necessaria.

Parlai al Papa dei Vescovi che sarebbero stati insediati e gli parlai pure del pericolo di lasciare Roma. Secondo me non avrebbe dovuto farlo altrimenti senza la sua presenza in città, tutto sarebbe caduto nella confusione.

Egli però era persuaso di lasciare la città e mi rispose che questo pericolo non poteva essere evitato, doveva andare via per salvare molti e per salvarsi.

Santa Francesca Romana parlò ancora a lungo con lui. Io ero molto debole e sfinita. Roma si trovava in una condizione miserabile, la più piccola scintilla avrebbe potuto provocare il più grande incendio...."

Dal 10 ottobre 1820 riprendono le visioni apocalittiche sulla Chiesa di San Pietro che la Beata vede distrutta "fino al coro", tribolazioni che si concludono sempre con il trionfo della Chiesa vera per poi ricominciare la sua battaglia soprattutto interna.

"La Chiesa - si lamentò la Emmerich - è in grave pericolo, io devo chiedere e supplicare chi viene da me di pregare per la salvezza della Chiesa, pregarlo affinché reciti il Pater Noster. Si deve pregare affinché il Papa non lasci Roma; ci sono molti pericoli e si deve invocare il Signore che faccia mantenere la presenza dello Spirito Santo nell'animo del nostro Papa. (..)

Stanotte in una visione sul Papa, ho visto San Francesco portare la Chiesa, la vidi anche portata sulle spalle da un piccolo uomo che aveva tratti giudei nel viso. Sembrava come se incombesse un pericolo grave. Maria apparve sul lato nord della Chiesa con il suo manto protettore aperto (...).

La Chiesa era semidistrutta di nuovo ma c'era ancora il pavimento e la parte posteriore, il resto era stato distrutto dalle sétte segrete e dagli stessi servitori della Chiesa. I Dodici allora la portarono in un altro posto, mentre alcuni palazzi sprofondarono intorno a loro come grano dalle spighe.  Quando vidi la Chiesa di Pietro in quella condizione e come tanti religiosi avevano contribuito all'opera di distruzione, senza che ciò apparisse pubblicamente, ebbi una tale pena che invocai la pietà di Gesù. In seguito a tale invocazione mi apparve il mio Sposo Celeste, come un giovane, e mi parlò per lungo tempo. Egli mi disse che la Chiesa solo apparentemente sembrava crollare sotto questo peso, ma in verità da questo carico ne verrà la tranquillità e la Chiesa risulterà sui suoi nemici nuovamente vincitrice. Se anche un solo cristiano cattolico le resterà fedele, essa potrà vincere ancora..."

La Emmerich spiega poi come il Signore stesso la consola del fatto che nella Chiesa, in ogni tempo, ci sono sempre veri fedeli, ma esortandola a pregare e a soffrire in modo costante e perseverante: "Fui resa consapevole che i cristiani intesi nel senso vero della parola non esistono quasi più. Restai molto addolorata nell'apprendere questo"...  (pag.152-157).

 

A pag. 156 parte un'altra Visione sempre collegata a quanto abbiamo letto fino a qui:

La pia suora si lamentò a voce alta: "Vidi la Chiesa solitaria, interamente abbandonata. Sembrava che tutti fossero scappati via. Imperava la disarmonia più completa. Dappertutto vidi grandi difficoltà e odio, tradimenti e amarezze, inquietudini e cecità piena. Da un gruppo sinistro vennero inviati messaggeri segreti per dare intorno una notizia spiacevole che provocò odio e rabbia nel cuore degli ascoltatori. Io pregai diligentemente per questi nuovi oppressi. Vidi delle luci illuminare i luoghi dove i singoli pregavano, su tutti gli altri invece calare le tenebre oscure. La condizione si presentava in modo terribile. Ho supplicato la compassione di Dio per quegli uomini e per quella città.

O città, città (Roma), quali minacce! La tempesta è vicina. Fai attenzione! Ma io spero che tu resterai salda".

 

Infine il 16 ottobre la Emmerich descrive quest'altro particolare degno di nota perché descrive ampi giardini e una Via Crucis che solitamente si fa nei Venerdì di Quaresima: "Stanotte ho percorso la Via Crucis di Coesfeld. Ero in compagnia di molte anime. Esse mi presentarono la situazione difficile della Chiesa e mi mostrarono la necessità di pregare. Mi vidi circondata da molti giardini. Nei medesimi era simboleggiato il rapporto del Papa coi Vescovi. Il Papa era sul suo trono in giardino, e le figure e le forze di questoi Vescovi mi apparvero rappresentati da piante, frutta e fiori, sparsi nei singoli giardini. Dal trono del Papa si estendevano raggi su tutti i giardini, le piante e la frutta; erano le relazioni e gli influssi della Santa Sede".

 

Terminiamo qui questa prima parte dedicata espressamente alle figure di alcuni Pontefici e di una certa situazione nella Chiesa, attraverso le Visioni della Mistica Beata Caterina Emmerich.

Come abbiamo spiegato non intendiamo affatto usare queste Visioni contro il legittimo nuovo Pontefice, Papa Francesco, ci è sembrato molto più saggiamente portare i lettori alla riflessione e alla meditazione, alle molte coincidenze che riscontriamo nel testo con i fatti che stiamo vivendo.

Il modo migliore per leggere questi fatti è quello suggerito dalla Beata stessa: pregare, pregare, pregare; fare sacrifici, restare fedeli alla Chiesa, essere coerenti con la fede Cattolica che si vuole professare, amare incondizionatamente il Papa e la Chiesa. Incondizionatamente significa proprio amare il Papa e la Chiesa non come la vorremmo noi, ma come è e come la vuole Iddio, anche con i suoi "sfarzi" usati per il vero ed unico Culto Sacro, all'Eucaristia Santissima ai Riti.

 

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Primato Petrino e la collegialità dei Vescovi

06.03.2013 09:58

 

Primato Petrino o semplice collegialità fra "pari"?

 

Cari amici, anche a causa della storica rinuncia di Benedetto XVI alla guida attiva della Chiesa, da molte parti si è riacceso un dibattito che vede in testa le schiere progressiste e moderniste nella Chiesa in quella martellante collegialità atta a scardinare il ruolo del Primato Petrino.

Da più parti si invoca, in tal senso, un Successore che possa modificare le più imponenti Dottrine della Santa Chiesa, aggiornandole dicono, alle necessità del nostro tempo. La stessa rinuncia del Pontefice sembra dar credito a questa pressione.

Ma le cose stanno veramente così?

Non ci soffermeremo sulle stravaganti e recidive affermazioni di chi vorrebbe imporre una propria immagine di Chiesa con altrettanti visionari ruoli, né vogliamo perdere il tempo a fare elenchi di nomi assai noti, piuttosto vogliamo aiutare il lettore a comprendere cosa insegna la Chiesa, come ha insegnato fino all'ultimo lo stesso Benedetto XVI anche per comprendere che la sua rinuncia non ha nulla a che vedere con certe proposte di cambiamento.

Resta illuminante un punto indiscutibile: anche i più reazionari, atei o eretici che fossero, tutti guardano alla Sede Petrina come ad un primato unico e fondamentale a tal punto che, diabolicamente, non vogliono rinnegare tale primato, ma sovvertirlo, usarlo per l'edificazione di una chiesa del mondo. Come i preti che vogliono sposarsi tanto per affermare il detto di chi vuole la botte piena e la moglie ubriaca. O come le donne che pretendono il sacerdozio, dunque non lo rinnegano affatto, ma lo vogliono come rivendicazione di una parità con il maschio.

Sembra davvero ignoto a molti (è stato fatto un piccolo sondaggio a livello parrocchiale ed è risultato che nessun sacerdote conosce questo testo) un importante Documento della CdF firmato dall'allora cardinale Ratzinger in qualità di Prefetto e, naturalmente, firmato e approvato dall'allora Pontefice Giovanni Paolo II, si tratta del testo ufficiale:

Il Primato del Successore di Pietro nel Mistero della Chiesa.

 

Ma facciamo un breve passo indietro.

"Eminenza, c'è chi dice che sia in atto un processo di "protestantizzazione" del cattolicesimo".

La risposta, come al solito, accetta in pieno la battuta: "Dipende innanzitutto da come si definisce il contenuto di " protestantesimo ". Chi oggi parla di "protestantizzazione" della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un'altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista".

(Rapporto sulla Fede - Intervista di V. Messori a J. Ratzinger cap.XI)

 

Nell' approfondire l'argomento, vi invitiamo a munirvi anche di un eccellente tascabile: "Pietro ama e unisce - la responsabilità del Papa per la Chiesa universale" .

In questo libro si affronta proprio la questione della collegialità e delle false interpretazioni che hanno scalfito (si legge proprio così) lo stesso dialogo Ecumenico rischiando, molte volte di confondere il Primato di Pietro con la Collegialità dei Vescovi.

A pag. 19, per esempio, vi è riportato un disappunto dell'allora card. Ratzinger proprio su queste false interpretazioni.

Ratzinger fa emergere e denuncia "i malintesi" sorti con un altra affermazione al tempo del grande Giubileo del 2000: per una comprensione di "comunione basterebbe accogliere il Mistero della Trinità"...... Sì, dice Ratzinger in sostanza, riconoscere la Trinità è importante, ma non è sufficiente per parlare di "comunione".

e dice: " Nella misura in cui communio divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata...." e aggiunge che lo stesso "malinteso" avvenne per il concetto di "popolo di Dio" e così anche l'Eucarestia cominciò a ridursi alla problematica del rapporto fra chiesa locale e Chiesa Universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra...."

 

Così Ratzinger cercò di citare la Lettera ai Vescovi "Communions notio" del 28.5.1992 la quale insegna espressamente la precedenza ontologica e temporale della Chiesa Universale sulla Chiesa particolare....

Ratzinger nel raccontare quei momenti denuncia con profondo rammarico di come "si abbattè una grandinata di critiche da cui ben poco riuscì a salvarsi", in sostanza ci fu un "ammutinamento di molti Vescovi" contro il quale nulla poterono fare (o forse non vollero per timore di un grave scisma) Giovanni Paolo II e lo stesso Ratzinger, se non ribadire l'insegnamento della Chiesa.

Ratzinger rispose allora spiegando ragionevolmente il suo testo sulla base della Scrittura e sulla stessa Patristica e confessò di non riuscire a comprendere le obiezioni che, disse il Prefetto di allora e poi Pontefice: "potrebbero sembrare possibili solo se non si vuole e non si riesce più a vedere la grande Chiesa ideata da Dio con a capo Cefa, per rifugiarsi in una immagine empirica delle Chiese nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

 

E ancor Ratzinger non mancò così di trarre la seguente e grave conclusione:

"Questo però significa che la Chiesa come tema teologico verrebbe cancellata. Se si può vedere la Chiesa ormai solo nella organizzazione umana e nella gestione collegiale, allora in realtà rimane soltanto desolazione. Ma allora non è abbandonata solo l'ecclesiologia dei Padri, ma anche quella del Nuovo Testamento e la stessa concezione di Israele nell'A.T...."

 

Un altra denuncia portata da Ratzinger nel chiarire i vari aspetti dell'Ecumenismo, è quella secondo la quale basterebbe la presenza di un vescovo e di una chiesa-comunità per stabilire una qualche forma di unità senza soffermarsi sull'essenza dottrinale!

Ratzinger denuncia quel relativismo secondo il quale non pochi teologi, erroneamente, si sono posti la domanda " Con quale diritto la Chiesa cattolica si presenta quale unica Chiesa di Cristo?"

La replica di Ratzinger è precisa: "la Chiesa di Cristo esiste realmente. Egli (Gesù Cristo) l'ha voluta, ha posto Pietro alla guida e lo Spirito Santo pur di fronte ad ogni fallimento umano la crea continuamente a partire dalla Pentecoste e la sostiene nella sua identità... (...) di qui è fondamentale sostenere che la Chiesa non è e non deve essere intesa come la somma di tutte le chiese o come la somma delle comunità cristiane con i loro vescovi.....la Chiesa Cattolica sussiste pertanto una e indivisa nella Chiesa ideata da Cristo con a capo Pietro..."

E quando venne eletto Pontefice, successore di questo Pietro, Cefa, Benedetto XVI disse il 23 agosto 2005 all'incontro ecumenico di Colonia:

"Non può esserci un vero dialogo a prezzo della verità; il dialogo deve svolgersi nella carità, certamente, ma soprattutto nella verità.."

Il problema Ratzinger l'aveva individuato molto bene e sta in quel:

"... rifugiarsi in una immagine empirica delle Chiese nelle loro relazioni reciproche e nelle loro conflittualità arbitrate più o meno dal collegio dei vescovi, ma questa non è la Chiesa!"

e in quella grave conseguente conclusione:

"Questo però significa che la Chiesa come tema teologico verrebbe cancellata".

Riguardo così anche ad una ecu-mania volta a smobilitare il Primato Petrino e quindi anche della stessa Chiesa Cattolica, riducendola ad una "inter-paris" con tutte le altre Comunità non cattoliche, così ammoniva il Prefetto diventato Pontefice, sempre nella Communionis Notio:

"Nelle Chiese e Comunità cristiane non cattoliche esistono infatti molti elementi della Chiesa di Cristo che permettono di riconoscere con gioia e speranza una certa comunione, sebbene non perfetta. (..) Siccome però la comunione con la Chiesa universale, rappresentata dal Successore di Pietro, non è un complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi costitutivi interni, la situazione di quelle venerabili comunità cristiane implica anche una ferita nel loro essere Chiesa particolare.

La ferita è ancora molto più profonda nelle comunità ecclesiali che non hanno conservato la successione apostolica e l'Eucaristia valida. Ciò, d'altra parte, comporta pure per la Chiesa Cattolica, chiamata dal Signore a diventare per tutti  un solo gregge e un solo pastore, una ferita in quanto ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia.

(...) In questo impegno ecumenico, hanno un'importanza prioritaria la preghiera, la penitenza, lo studio, il dialogo e la collaborazione, affinché in una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma, e vedere realizzato il ministero petrino, come è inteso dal Signore, quale universale servizio apostolico, che è presente in tutte le Chiese dall'interno di esse e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia".

 

Quindi: e che, salva la sua sostanza d'istituzione divina, può esprimersi in modi diversi, a seconda dei luoghi e dei tempi, come testimonia la storia, non significa il riconoscimento sincretista di una sorta di "inter-paris" con le altre Chiese particolari (si legga gli Ortodossi) e Comunità Cristiane (si legga i Protestanti che non sono Chiese), o l'appiattimento del ruolo Petrino, infatti leggiamo che per una piena comunione è necessaria: una rinnovata conversione al Signore diventi possibile a tutti riconoscere il permanere del Primato di Pietro nei suoi successori, i Vescovi di Roma.

Sempre attraverso alcuni interventi di Ratzinger in diverse occasioni, viene spiegato il senso corretto per interpretare questa Communions Notio, ossia questa Comunione tra il Papa e i vescovi.

Egli rammenta che il Vangelo di Matteo pone a Simone, Cefa, l'autorità apostolica superiore, collegata certamente all'istituzione degli altri undici "che agiscono in comunione con lui, ma mai senza di lui, sottolinea Ratzinger....(cfr.Mt.10,1; 18,18).

Pietro ha un primato "autorevole" che include l'insegnamento e la guida sicura, egli è istituito "per primo ed in modo singolare e specifico" (Mt.16,18 ss): senza Pietro non esisterebbe alcun ruolo di vescovo perché nessun vescovo potrebbe darsi il mandato da sé stesso, non vi sarebbe alcuna comunione, al contrario vediamo che ci sono vescovi che nella storia della Chiesa hanno creato la divisione separandosi dalla comunione con Pietro, ma essi non hanno dato origine ad altre Chiese bensì hanno dato origine alla divisione nell' unica Chiesa di Cristo che ha al suo vertice visibile Pietro e i suoi Successori in questa Sede.

Così anche il Vangelo di Marco e di Luca pongono il ruolo di Simone in una posizione unica di autorità all'interno del Sacro Collegio.

Luca nel Vangelo e negli Atti approfondisce la parola "primato" (22,31) dove appunto spetta a Simone e solo a Lui confermare gli altri in questa unica Fede. Questo compito non venne chiesto a tutti gli "Undici", ma solo a Pietro. Questo passo va letto con quello di Giovanni, rammenta Ratzinger, in Gv. 21,15-17 dove l'evangelista sottolinea il passaggio da Gesù "supremo Pastore" a Pietro, guida della comunità che è diventato pastore "in sua vece" (da qui il termine "Vicario" di Cristo)!

 

Questa singolarità, spiega Ratzinger, è unica a Pietro e non può essere dissociata quando si parla di collegialità e di comunione tra i vescovi: Pietro possiede una unicità che non è stata data ad altro!

Se infatti gli Atti presentano Pietro come il garante della Dottrina nella Tradizione Cristiana appena nata, Paolo lo riconosce come l'autorità con cui è necessario ed indispensabile concordare (1Cor.9,5) al contrario, nella giovane comunità, non è mai Pietro che scende a compromessi con i presbiteri o i nuovi vescovi appena nominati, lo stesso Paolo nell'istruire Tito e Timoteo, raccomanda ad essi di attenersi "scrupolosamente" alle istruzioni da lui ricevute, istruzioni per le quali andò fino da Cefa (Galati 1;2) per ottenere conferma della sua predicazione!

All'Udienza generale così spiegò Benedetto XVI:

7 giugno 2006, Pietro, la roccia su cui Cristo ha fondato la Chiesa:

"Le tre metafore a cui Gesù ricorre sono in se stesse molto chiare: Pietro sarà il fondamento roccioso su cui poggerà l'edificio della Chiesa; egli avrà le chiavi del Regno dei cieli per aprire o chiudere a chi gli sembrerà giusto; infine, egli potrà legare o sciogliere nel senso che potrà stabilire o proibire ciò che riterrà necessario per la vita della Chiesa, che è e resta di Cristo. E’ sempre Chiesa di Cristo e non di Pietro. E' così descritto con immagini di plastica evidenza quello che la riflessione successiva qualificherà con il termine di "primato di giurisdizione".

 

Concetti che più volte Ratzinger aveva ripreso quando da Cardinale rispondeva alle tante domande che gli venivano poste.

Nello spiegare appunto la Nota sulla Comunione dei Vescovi, egli torna a ribadire l'unicità decisionale spettante a Pietro la quale non può essere inglobata nel concetto di collegialità, ma la collegialità quanto l'esercizio petrino non si contrappongono, non possono disgiungersi, pena la divisione.

"Si deve infatti affermare che la collegialità episcopale non si contrappone all'esercizio personale del primato nè lo deve relativizzare..."

(CdF il primato del successore n.5 EV 17)

 

La collegialità, spiega Ratzinger, viene semmai confermata dalla presenza di Pietro e dalla sua professione di fede: "Così è stato consegnato ad uno solo ciò che doveva essere comunicato a tutti "

(S.Leone Magno, Discorsi, 4,3- pl 54,150,151)

La stessa Lumen Gentium (n.22) asserisce chiaramente come il Vescovo di Roma è L'UNITA' della Chiesa e i Vescovi nel loro insieme e per mezzo dell'obbedienza rappresentano "la comunione con l'unità", non dunque alla pari ma "con Pietro".

Denuncia così lo stesso Ratzinger che dopo il Concilio Vaticano II sia in casa cattolica quanto in campo ecumenico i due termini  "comunione ed unità" non siano stati  compresi distintamente come è sempre stato, ma di come siano stati gravemente confusi e relativizzati.

 

L'errore principale parte da un documento messo a punto a Monaco dalle frange ribelli: "Documento di Monaco, III, 4 in Enchiridion Oecumenicum 1"

il teso dice: " L'episkopè della Chiesa universale viene affidata dallo Spirito all'insieme dei vescovi locali, in reciproca comunione", Ratzinger allora sottolinea l'errore del Documento dal quale sembra così, che la comunione derivi unicamente dal riconoscimento reciproco bastante di fratellanza e buona volontà senza più alcun riferimento alla "conferma" da parte di Pietro; inoltre, sottolineava allora il card. della Dottrina della Fede che l'insieme sinodale prenderebbe in tal modo il posto del Primato Romano nella "presidenza" della Chiesa! E questo è inaccettabile, infine, tale documento, affermerebbe che tale primato risiederebbe solo nello Spirito Santo (concetto luterano) mentre come ci insegnano i Vangeli e la Tradizione esso venne affidato da Gesù a Pietro e agli altri undici uniti a Lui. E' Pietro che dà il mandato, che conferma e che riconosce la comunione tra i Vescovi, non il contrario.

La Congregazione per la Dottrina della Fede promulgherà, a condanna della Dichiarazione di Monaco e degli altri documenti analoghi, l’Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, emanata il 24 maggio 1990 dal Prefetto card. Joseph Ratzinger con l'approvazione di Giovanni Paolo II. Le Comunità di Base, per bocca di don Franco Barbero, dissero al cardinale Ratzinger di occuparsi non già dei teologi ribelli, ma piuttosto di quelli eccessivamente obbedienti. Intervenì ovviamente anche Martini e mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, intimò: «il magistero deve ascoltare di più il popolo di Dio».

Come vediamo i nomi sono sempre gli stessi: il lupo cambia il pelo ma non il vizio.

 

C'è anche un interessante riferimento di Ratzinger al Concilio di Calcedonia quando la Chiesa di allora rigettò il canone 28 il quale dice:

XXVIII. Voto sui Privilegi della sede di Costantinopoli.

"Seguendo in tutto le disposizioni dei santi padri, preso atto del canone [III] or ora letto, dei 150 vescovi cari a Dio, che sotto Teodosio il Grande, di pia memoria, allora imperatore si riunirono nella città imperiale di Costantinopoli, nuova Roma, stabiliamo anche noi e decretiamo le stesse cose riguardo ai privilegi della stessa santissima chiesa di Costantinopoli, nuova Roma.

Giustamente i padri concessero privilegi alla sede dell'antica Roma, perché la città era città imperiale.

Per lo stesso motivo i 150 vescovi diletti da Dio concessero alla sede della santissima nuova Roma, onorata di avere l'imperatore e il senato, e che gode di privilegi uguali a quelli dell'antica città imperiale di Roma, eguali privilegi anche nel campo ecclesiastico e che fosse seconda dopo di quella.

Di conseguenza, i soli metropoliti delle diocesi del Ponto, dell'Asia, della Tracia, ed inoltre i vescovi delle parti di queste diocesi poste in territorio barbaro saranno consacrati dalla sacratissima sede della santissima chiesa di Costantinopoli. E’ chiaro che ciascun metropolita delle diocesi sopraddette potrà, con i vescovi della sua provincia, ordinare i vescovi della sua provincia, come prescrivono i sacri canoni; e che i metropoliti delle diocesi che abbiamo sopra elencato, dovranno essere consacrati dall'arcivescovo di Costantinopoli, a condizione, naturalmente, che siano stati eletti con voti concordi, secondo l'uso, e presentati a lui".

 

La Chiesa di Roma - spiegava Ratzinger - non può ritrovarsi in questo perché la sua "maternità" è di natura Apostolica e il suo Primato è di diritto Divino di conseguenza non può scendere a patti o a compromessi equiparandola alle altre Sedi. Per questo la Chiesa insiste molto sul ruolo stesso di Maria nel Cenacolo fino a proclamarla, come lo era già da sempre: Mater Ecclesiae.

E citando sempre il canone 28 di quel Concilio, spiegava il rigetto di tale articolo che la Chiesa manifestò fin dal principio "perchè in base a questo articolo la sede di Costantinopoli poteva rivendicare poteri pari a quelli di Roma a scapito di altri Patriarcati e, dopo la caduta dell'Impero d'Oriente, cominciò infatti a ritenersi quale centro di una ecclesiologia universale verso la quale tutti dovevano sottostare", spostando così il centro della Sede Petrina da Roma a Costantinopoli. E' ovvio che Roma, la Sede Petrina mai e poi mai avrebbe potuto accettare un compromesso di questo genere senza tradire il mandato datole dal Cristo! La Chiesa non difende la "chiesa di Pietro" ma difende un primato legittimo datole dal Cristo, difende il ruolo di Pietro nella Chiesa di Cristo, l'unica Chiesa, così come Pietro, a sua volta, difende il ruolo dei Vescovi in comunione con lui confermandoli nella comune fede, inviandoli nel mondo, assegnando ad essi porzioni di popolo, il gregge di Cristo, non di Pietro o di singoli vescovi come rammenta Gesù stesso a Pietro: "Pasci le mie pecore".

 

E mai avrebbe potuto condividere teorie dette della "traslazione" del primato o come quella della Kidemonia panton secondo cui l'ortodossia doveva essere considerata "un unico organismo con a capo il Patriarca di Costantinopoli", una sorta di "Papa oriental", mentre i vescovi erano i suoi delegati, alla pari, e infatti neppure le altre chiese Ortodosse hanno accettato queste teorie, dando origine alle Chiese dette "autocefale".

Nella sua Lettera ai Vescovi del 2009, proprio per chiarire la questione della Tradizione nella Chiesa associata alla discussione alla FSSPX, il Pontefice Benedetto XVI ha detto:

"Ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel  corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive".

 

Nel discorso che  Papa Benedetto XVI ha tenuto l'anno prima, nel 2008 per la Pentecoste, ritroviamo ripetuti i medesimi concetti che stiamo esprimendo qui:

11 maggio 2008: Cappella Papale nella Solennità di Pentecoste...

dice il Papa :

"Societas Spiritus", società dello Spirito: così sant’Agostino chiama la Chiesa in un suo sermone (71, 19, 32: PL 38, 462). Ma già prima di lui sant’Ireneo aveva formulato una verità che mi piace qui ricordare: "Dov’è la Chiesa, là c’è lo Spirito di Dio, e dov’è lo Spirito di Dio, là c’è la Chiesa ed ogni grazia, e lo Spirito è la verità; allontanarsi dalla Chiesa è rifiutare lo Spirito" e perciò "escludersi dalla vita" (Adv. Haer. III, 24, 1)

(...) La Chiesa che nasce a Pentecoste con a capo già visibilmente Pietro che "prende la parola" non è anzitutto una Comunità particolare – la Chiesa di Gerusalemme – ma la Chiesa universale, che parla le lingue di tutti i popoli. Da essa nasceranno poi altre Comunità in ogni parte del mondo, Chiese particolari che sono tutte e sempre attuazioni della sola ed unica Chiesa di Cristo. La Chiesa cattolica non è pertanto una federazione di Chiese, ma un’unica realtà: la priorità ontologica spetta alla Chiesa universale. Una comunità che non fosse in questo senso cattolica non sarebbe nemmeno Chiesa".

 

E ancora, sull'Osservatore Romano del 4 marzo 2000 troviamo un lungo ma fondamentale articolo del Prefetto della CdF, Ratzinger: L'Ecclesiologia della costituzione «Lumen Gentium».

Partendo dalla crisi della fede e della Liturgia il Cardinale ripercorre una linea chiara atta a spiegare certi errori che partendo da una immagine di Chiesa diversa da quella che la Tradizione ci ha donato, si giunge inevitabilmente a modifiche che nulla hanno a che vedere neppure con il Concilio, ma che sono dei veri tranelli. Dopo aver spiegato l'origine della crisi liturgica, il Prefetto diventato poi Pontefice arriva a discutere sulla falsa immagine di una nuova Chiesa.

Riportiamo ampi stralci da lasciare alla vostra riflessione:

"Vorrei subito anticipare la mia tesi di fondo: il Vaticano II voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teologico, ma la recezione del Concilio ha finora trascurato questa caratteristica qualificante in favore di singole affermazioni ecclesiologiche, si è gettata su singole parole di facile richiamo e così è restata indietro rispetto alle grandi prospettive dei Padri conciliari. (..)

L'ecclesiologia di comunione è fin dal suo intimo una ecclesiologia eucaristica. Essa si colloca così assai vicino all'ecclesiologia eucaristica, che teologi ortodossi hanno sviluppato in modo convincente nel nostro secolo. (..)

L'Eucaristia include il servizio sacerdotale della «repraesentatio Christi» e quindi la rete del servizio, la sintesi di unità e molteplicità, che si palesa già nella parola «Communio». (..)

Per tutti questi motivi ero grato e contento, quando il Sinodo del 1985 riportò al centro della riflessione il concetto di «communio». Ma gli anni successivi mostrarono che nessuna parola è protetta dai malintesi, neppure la migliore e la più profonda. Nella misura in cui «communio» divenne un facile slogan, essa fu appiattita e travisata.

Come per il concetto di popolo di Dio così si doveva anche qui rilevare una progressiva orizzontalizzazione, l'abbandono del concetto di Dio.

L'ecclesiologia di comunione cominciò a ridursi alla tematica della relazione fra Chiesa locale e Chiesa universale, che a sua volta ricadde sempre più nel problema della divisione di competenze fra l'una e l'altra. Naturalmente si diffuse nuovamente il motivo egualitaristico, secondo cui nella «communio» potrebbe esservi solo piena uguaglianza.

Si è così arrivati di nuovo esattamente alla discussione dei discepoli su chi fosse il più grande, che evidentemente in nessuna generazione intende placarsi. Marco ne riferisce con maggiore insistenza. Nel cammino verso Gerusalemme Gesù aveva parlato per la terza volta ai discepoli della sua prossima passione. Arrivati a Cafarnao egli chiese loro di che cosa avevano discusso fra di loro lungo la via. «Ma essi tacevano», perché avevano discusso su chi di loro fosse il più grande — una specie di discussione sul primato ( Mc 9, 33-37).

Non è così anche oggi? Mentre il Signore va verso la sua passione, mentre la Chiesa e in essa egli stesso soffre, noi ci soffermiamo sul nostro tema preferito, sulla discussione circa i nostri diritti di precedenza. E se egli venisse fra di noi e ci chiedesse di che cosa abbiamo parlato, quanto dovremmo arrossire e tacere.

(..) Vescovo non si è come singoli, ma attraverso l'appartenenza ad un corpo, ad un collegio, che a sua volta rappresenta la continuità storica del «collegium apostolorum».

In questo senso il ministero episcopale deriva dall'unica Chiesa e introduce in essa. Proprio qui diviene visibile che non esiste teologicamente alcuna contrapposizione fra Chiesa locale e Chiesa universale. Il Vescovo rappresenta nella Chiesa locale l'unica Chiesa, ed egli edifica l'unica Chiesa, mentre edifica la Chiesa locale e risveglia i suoi doni particolari per l'utilità di tutto quanto il corpo.

Il ministero del successore di Pietro è un caso particolare del ministero episcopale e connesso in modo particolare con la responsabilità per l'unità di tutta quanta la Chiesa.

Ma questo ministero di Pietro e la sua responsabilità non potrebbero neppure esistere, se non esistesse innanzitutto la Chiesa universale. Si muoverebbe infatti nel vuoto e rappresenterebbe una pretesa assurda. Senza dubbio la retta correlazione di episcopato e primato dovette essere continuamente riscoperta anche attraverso fatica e sofferenze. Ma questa ricerca è impostata in modo corretto solo quando viene considerata a partire dal primato della specifica missione della Chiesa e ad esso in ogni tempo orientata e subordinata: il compito cioè di portare Dio agli uomini, gli uomini a Dio. Lo scopo della Chiesa è il Vangelo, e attorno ad esso tutto in lei deve ruotare.

Questo non vuol dire che nella Chiesa non si debba anche discutere sul retto ordinamento e sulla assegnazione delle responsabilità. E certamente vi saranno sempre squilibri, che esigono correzioni. Naturalmente può verificarsi un centralismo romano esorbitante, che come tale deve poi essere evidenziato e purificato. Ma tali questioni non possono distrarre dal vero e proprio compito della Chiesa: la Chiesa non deve parlare primariamente di se stessa, ma di Dio, e solo perché questo avvenga in modo puro, vi sono allora anche rimproveri intraecclesiali, per i quali la correlazione del discorso su Dio e sul servizio comune deve dare la direzione..."

***

"Il Primato differisce nella propria essenza e nel proprio esercizio dagli uffici di governo vigenti nelle società umane (32): non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d'onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico.

Il Romano Pontefice è - come tutti i fedeli - sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall'inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione.

Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l'arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato. (..)

Tutti i Vescovi sono soggetti della sollicitudo omnium Ecclesiarum  in quanto membri del Collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, di cui ha fatto parte anche la straordinaria figura di San Paolo. Questa dimensione universale della loro episkopè (sorveglianza) è inseparabile dalla dimensione particolare relativa agli uffici loro affidati. Nel caso del Vescovo di Roma — Vicario di Cristo al modo proprio di Pietro come Capo del Collegio dei Vescovi —, la sollicitudo omnium Ecclesiarum acquista una forza particolare perché è accompagnata dalla piena e suprema potestà nella Chiesa: una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena e universale, ma anche immediata, su tutti, sia pastori che altri fedeli".

(Il Primato del Successore di Pietro nel Mistero della Chiesa.)

 

I suoi fratelli Vescovi pascolano legittimamente il gregge di Cristo solo in unione effettiva ed affettiva con la Cattedra di Pietro.

Altrimenti si ritorna all’esperienza del IV secolo, quando quasi tutti i Vescovi del mondo si piegarono al volere di un imperatore ariano.

Solo il Papa, e un manipolo di Vescovi fedeli a lui, preservarono la fede cattolica. Il Papa sta lì a ricordare che la Chiesa non è una struttura umana. Anche questo è il motivo per cui così tante culture e così tanti popoli diversi trovano in essa la loro identità diventando membra del Corpo della Chiesa, diventando appunto "cattolici", ossia universali.

Potremmo fare il paragone con una chitarra: la cassa di risonanza, la struttura, la roccia è Pietro, le corde i vescovi, le membra, senza la struttura sia le membra quanto i Vescovi non troverebbero dove accordarsi.

 

Così spiegava mons. Nicola Bux ad Agenzia Fides del 2/7/2009:

"Clemente Romano, raccontando della morte degli apostoli Pietro e Paolo, osserva che l’invidia di alcuni nella stessa comunità cristiana la facilitò.  Dopo duemila anni, il peccato è sempre presente negli uomini.

(...) C’è il tentativo di ridurre la Chiesa ad una agenzia mondiale umanitaria e l’utopia che l’unità delle nazioni possa essere realizzata dagli organismi internazionali e non da Cristo.

Il Cardinale J.H.Newman supponeva che l’apostasia del popolo di Dio, in varie epoche e luoghi, avesse sempre preceduto la venuta degli “anticristi”, tiranni come Antioco e Nerone, Giuliano l’Apostata, i leader atei della Rivoluzione francese, ciascuno un “tipo” o “presagio” dell’anticristo, che sarebbe venuto alla fine della storia, quando il mistero di iniquità avrebbe manifestato la sua insensatezza finale e terribile.

L’incapacità dei credenti di vivere la propria fede, ammoniva Newman, come nelle epoche precedenti, avrebbe condotto “al regno dell’uomo del peccato, che avrebbe negato la divinità di Cristo e innalzato se stesso al suo posto”

(Il Nemico, Cinisello Balsamo 2006, pp. 175-176).

Ma il Signore, anche se dorme sulla barca in tempesta, nel momento finale si risveglierà e placherà i flutti. Poi tornerà da noi e ci chiederà perché abbiamo avuto così poca fede. Nel frattempo portiamo la croce.

Osserviamo il tradimento. Soffriamo.

Scrive ancora Newman: “Lo scopo del diavolo, quando semina la rivoluzione nella Chiesa è gettarla in confusione, perché la sua attenzione sia distratta e le sue energie disperse. In questo modo veniamo indeboliti proprio nel momento della storia in cui avremmo bisogno di essere più forti” .

“Perché il Santo Padre non agisce? Non può imporre a questi prelati l’obbedienza?”. “Lo ha fatto ripetutamente e nel modo più cristiano.

Ma non comanda una polizia, o un esercito. Di recente è stato più fermo con i dissidenti […] La soluzione però non è l’autoritarismo, perché quello getterebbe solo benzina sul fuoco della rivolta.

Il Santo Padre opera finché c’è luce. Richiama noi tutti a Colui che ha portato la croce e che è morto su di essa. Nelle sue mani porta solo questo, una croce; parla sempre del trionfo della Croce. Quelli che non vogliono ascoltare ne risponderanno a Dio” (Ivi,p 402-403)".

***

Vogliamo concludere queste riflessioni con un poema dottrinale e di granitica fede che un Vescovo pronunciò al Concilio Vaticano I, esprimendo in tal modo come è da intendersi l'autentica collegialità.

S.E.R. Monsignor Josè Francisco Ezequiel Moreira, vescovo di Ayacucho (1826-1874)

Breve discorso tenuto al Concilio Vaticano I il 2 luglio 1870

"Eminentissimi presidenti, eminentissimi e reverendissimi padri, dopo le magnifiche orazioni dei sapientissimi vescovi, rinunzio alla mia (..)

Perdonatemi se dirò solo qualche parola in segno di lode e d'amore per la Cattedra di San Pietro, dirò qualche parola che in sè contiene la dottrina dell'Infallibilità, poichè se la fede della Chiesa romana è la fede della Chiesa cattolica, ne segue che questa cattedra di San Pietro, dove si conserva questa fede, sempre e ovunque mantiene la sua forza.

O Santa e benedetta cattedra di Pietro, fondata su Pietro! Tu sei quella cattedra che quando insegna, insegna il Vero. Quando definisci, definisci nello Spirito Santo, quando leghi, leghi con vincoli indissolubili, quando sciogli, veramente e realmente sciogli, quando anatematizzi, anatematizzi con una maledizione celeste, quando dispensi, dispensi con l'autorità ricevuta da Cristo, quando apri, apri il Paradiso e il Purgatorio.

Oh Cattedra!

Chi non ti teme, è già condannato! Chi non ti venera, è maledetto! Chi non ti obbedisce è scismatico, chi si separa da te, è eretico. La tua autorità è divina, il tuo timore santo, la tua dottrina vera, il tuo giudizio retto, il tuo decoro supremo, la tua benedizione celeste.

Non posso qui esimermi dal rendere grazie. O Santa Chiesa Romana, unica tra tutte le chiese apostoliche che non sei venuta mai meno nella fede!

E' venuta meno l'Acaia dove sedeva Andrea, l'Etiopia dove sedeva Matteo, l'India dove sedeva Tommaso, la Siria dove sedeva Filippo, la Giudea dove sedeva Giacomo, la Persia dove sedeva Simone, la Grecia dove sedeva Paolo, Tu invece, Chiesa Romana, dove sedeva Pietro, non sei mai venuta meno, nè mai avverrà che tu venga meno. Ho pregato per te affinchè la tua fede non venga meno e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli, che si affaticano ai remi.

Questa è la lode che esprimo alla Santa Chiesa Romana in ossequio e amore".

 

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Per i Cardinali riuniti in Conclave

04.03.2013 12:21

https://www.inmondadori.it/img/Trittico-romano.-Meditazioni-Giovanni-Paolo-II-papa/ea978882097451/BL/BL/01/NZO/

 

Premesso che non ci permettiamo di dare "consigli o suggerimenti" ai Cardinali di Santa Romana Chiesa riuniti in Conclave, i quali spettano esclusivamente allo Spirito Santo, con la speranza che molti di loro ancora davvero ci credono! Vogliamo offrire solo alcune riflessioni, due per la precisione che ci sono state suggerite da una lettrice:

la prima: dal famoso TRITTICO ROMANO, poesie di Giovanni Paolo II sulla Cappella Sistina, l'allora cardinale Ratzinger scrisse la Prefazione e, ricordando gli ultimi Conclavi e rivolti, quasi profeticamente, al conclave che poi lo avrebbe visto Successore di Pietro, così scriveva e di certo ammoniva nel 2003:

"Dagli occhi interiori del Papa emerge nuovamente il ricordo dei Conclave dell’agosto e dell’ottobre 1978.
Poiché anch’io ero presente, so bene come eravamo esposti a quelle immagini nelle ore della grande decisione, come esse ci interpellavano; come insinuavano nella nostra anima la grandezza della responsabilità.

Il Papa parla ai Cardinali del futuro Conclave "dopo la mia morte" e dice che a loro parli la visione di Michelangelo. La parola Con-clave gli impone il pensiero delle chiavi, dell’eredità delle chiavi lasciate a Pietro. Porre queste chiavi nelle mani giuste: è questa l’immensa responsabilità in quei giorni. Si ricordano così le parole di Gesù, il "guai" che ha rivolto ai dottori della legge: "avete tolto la chiave della scienza" (Lc 11, 52). Non togliere la chiave, ma usarla per aprire affinché si possa entrare per la porta: a questo esorta Michelangelo".

 

la seconda: viene dal libro "Memorie di un cardinale italiano" del Cardinale Giacomo Biffi che scrisse una "lettera aperta" proprio durante l'ultimo Conclave che vide eletto Joseph Ratzinger.

Scriveva così il Cardinale Biffi:

Conclave 2005, che cosa ho detto al futuro papa
(pp. 614-615)

 


I giorni più faticosi per i cardinali sono quelli che precedono immediatamente il conclave. Il Sacro Collegio si raduna quotidianamente dalle ore 9,30 alle ore 13, in un’assemblea dove ciascuno dei presenti è libero di dire tutto ciò che crede.
S’intuisce però che non si possa trattare pubblicamente l’argomento che più sta a cuore agli elettori del futuro vescovo di Roma: chi dobbiamo scegliere?
E così va a finire che ogni cardinale è tentato di citare più che altro i suoi problemi e i suoi guai: o meglio, i problemi e i guai della sua cristianità, della sua nazione, del suo continente, del mondo intero. È senza dubbio molto utile questa generale, spontanea, incondizionata rassegna delle informazioni e dei giudizi. Ma senza dubbio il quadro che ne risulta non è fatto per incoraggiare.
Quale fosse nell’occasione il mio stato d’animo e quale la mia riflessione prevalente emerge dall’intervento che dopo molte perplessità mi sono deciso a pronunciare il venerdì 15 aprile 2005. Eccone il testo:

"1. Dopo aver ascoltato tutti gli interventi – giusti opportuni appassionati – che qui sono risonati, vorrei esprimere al futuro papa (che mi sta ascoltando) tutta la mia solidarietà, la mia simpatia, la mia comprensione, e anche un po’ della mia fraterna compassione. Ma vorrei suggerirgli anche che non si preoccupi troppo di tutto quello che qui ha sentito e non si spaventi troppo. Il Signore Gesù non gli chiederà di risolvere tutti i problemi del mondo. Gli chiederà di volergli bene con un amore straordinario: 'Mi ami tu più di costoro?' (cfr. Giovanni 21,15). In una 'striscia' e 'fumetto' che ci veniva dall’Argentina, quella di Mafalda, ho trovato diversi anni fa una frase che in questi giorni mi è venuta spesso alla mente: 'Ho capito; – diceva quella terribile e acuta ragazzina – il mondo è pieno di problemologi, ma scarseggiano i soluzionologi'.

"2. Vorrei dire al futuro papa che faccia attenzione a tutti i problemi. Ma prima e più ancora si renda conto dello stato di confusione, di disorientamento, di smarrimento che affligge in questi anni il popolo di Dio, e soprattutto affligge i 'piccoli'.

"3. Qualche giorno fa ho ascoltato alla televisione una suora anziana e devota che così rispondeva all’intervistatore: 'Questo papa, che è morto, è stato grande soprattutto perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali'. Non so se Giovanni Paolo II avrebbe molto gradito un elogio come questo.

"4. Infine vorrei segnalare al nuovo papa la vicenda incredibile della 'Dominus Iesus': un documento esplicitamente condiviso e pubblicamente approvato da Giovanni Paolo II; un documento per il quale mi piace esprimere al cardinal Ratzinger la mia vibrante gratitudine. Che Gesù sia l’unico necessario Salvatore di tutti è una verità che in venti secoli – a partire dal discorso di Pietro dopo Pentecoste – non si era mai sentito la necessità di richiamare. Questa verità è, per così dire, il grado minimo della fede; è la certezza primordiale, è tra i credenti il dato semplice e più essenziale. In duemila anni non è stata mai posta in dubbio, neppure durante la crisi ariana e neppure in occasione del deragliamento della Riforma protestante. L’averla dovuta ricordare ai nostri giorni ci dà la misura della gravità della situazione odierna. Eppure questo documento, che richiama la certezza primordiale, più semplice, più essenziale, è stato contestato. È stato contestato a tutti i livelli: a tutti i livelli dell’azione pastorale, dell’insegnamento teologico, della gerarchia.

"5. Mi è stato raccontato di un buon cattolico che ha proposto al suo parroco di fare una presentazione della 'Dominus Iesus' alla comunità parrocchiale. Il parroco (un sacerdote per altro eccellente e ben intenzionato) gli ha risposto: 'Lascia perdere. Quello è un documento che divide'. 'Un documento che divide'. Bella scoperta! Gesù stesso ha detto: 'Io sono venuto a portare la divisione' (Luca 12,51). Ma troppe parole di Gesù oggi risultano censurate dalla cristianità; almeno dalla cristianità nella sua parte più loquace".

 

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Benedetto XVI la Rinuncia e San Gregorio Nazianzeno

28.02.2013 14:27

(Benedetto XVI da San Celestino)

 

Rinuncia del Papa e san Gregorio Nazianzeno

Vista la drammatica situazione in cui ci troviamo, e pur non volendo nutrire le voci mediatiche che si pongono contro la scelta del Papa accusandolo quasi di "lesione al ruolo Petrino", oppure all'opposto, di stolti progressisti atti a rivendicare un cambiamento radicale del ruolo di Pietro che possa, con il futuro Pontefice modificare a suo piacimento la dottrina della Chiesa su svariati argomenti, oppure divagando su una serie di artificiosi articoli tendenti ad interpretare l'interpretabile, ci sembra comunque un dovere non tacere e rivolgere a noi stessi e a voi lettori articoli di riflessione lasciando aperta quella porta del Mistero che vede sempre e comunque lo Spirito Santo artefice e guida della Sposa di Cristo.

 

Vogliamo riportare dal sito Orizzonti Cristiani, questo eccellente passo che vogliamo fare nostro:

 

I precedenti in realtà sono abbondanti e molto significativi, ma non tanto nella storia dei papi, quanto nelle biografie dei padri della Chiesa antica. I grandi vescovi e teologi dei primi secoli, cresciuti in un mondo pagano e in uno spirito laico, non avevano certamente remore e sfumature nel parlare del proprio rapporto con le cariche ecclesiastiche, descritte come una tentazione da sfuggire in ogni modo.

Vi era in questo “elogio della fuga” un duplice intento, quello di evitare la tentazione del potere e quello di affermare la superiore dimensione mistica della “fuga mundi”, soprattutto a partire dal diffondersi del monachesimo nel IV secolo.

Potremmo ricordare tanti nomi della Chiesa d’Oriente e d’Occidente, da sant’Atanasio di Alessandria a sant’Agostino di Ippona, ma forse la testimonianza più adatta a comprendere il gesto del papa attuale è quella di san Gregorio Nazianzeno, grandissimo teologo e letterato della seconda metà del IV secolo in Cappadocia, che dopo essersi più volte sottratto alla carica episcopale fu “costretto” ad accettare quella più prestigiosa del tempo, il patriarcato di Costantinopoli.
Con la sua parola, i suoi famosi “discorsi teologici”, riconquistò alla vera fede un popolo quasi interamente traviato dall’eresia ariana, permettendo la celebrazione di uno dei più importanti Concili della storia della Chiesa, il Costantinopolitano I del 381, il cui simbolo di fede si ripete ancora oggi a memoria in tutte le chiese. Queste furono le sue accorate parole, alla fine di quello straordinario servizio alla Chiesa universale:

 

 « Lasciatemi riposare dalle mie lunghe fatiche, abbiate rispetto dei miei capelli bianchi ...

Sono stanco di sentirmi rimproverare la mia condiscendenza, sono stanco di lottare contro i pettegolezzi e contro l'invidia, contro i nemici e contro i nostri. Gli uni mi colpiscono al petto, e fanno un danno minore, perché è facile guardarsi da un nemico che sta di fronte.

Gli altri mi spiano alle spalle e arrecano una sofferenza maggiore, perché il colpo inatteso procura una ferita più grave (...)

Come potrò sopportare questa guerra santa?

Bisogna parlare di guerra santa così come si parla di guerra barbara. Come potrei riunire e conciliare questa gente? Levano gli uni contro gli altri le loro sedi e la loro autorità pastorale e il popolo è diviso in due partiti opposti (...) Ma non è tutto: anche i continenti li hanno raggiunti nel loro dissenso, e così Oriente e Occidente si sono separati in campi avversi” (Discorsi 42, 20-21) ».

 

 Anche Benedetto XVI può a buon diritto essere inserito nella lista dei padri della Chiesa contemporanea. Come Gregorio passò gli ultimi anni della sua vita nel silenzio e nella preghiera, componendo meravigliose poesie, così Joseph Ratzinger pregherà per noi, forse scrivendo testi altrettanto meravigliosi, lodando il Signore con il suo pianoforte e il suo sorriso.

P. Stefano Caprio

 

***

 

Si potrebbe essere pignoli e dire: ma san Nazianzeno non era il Papa e non era Vicario di Cristo, non era il successore di Pietro ..

Questo naturalmente detto fra noi perchè poi le polemiche stanno a zero davanti ai progetti di Dio del quale leggiamo: Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore (Is.55,8), e perché il senso stesso delle parole di san Gregorio Nazianzeno sono davvero le stesse che potrebbe pronunziare Papa Benedetto XVI per il nostro oggi.

Noi crediamo che la legittimazione dell'atto vada cercato anche nel come è mutato il ruolo del Papa da dopo il Concilio.

Prima i Papi non erano soggetti a spostamenti così vertiginosi e continui, non a caso dopo il Concilio di Trento e con la scoperta dell'America, il Papa invia i Nunzi apostolici per sostituirlo, non c'erano le Gmg e non c'era la necessità del Papa di "farsi vedere". Per non parlare di lunghissime Sedi Vacanti, persino due anni senza Pietro.

Con Paolo VI le cose cambiano, vedasi il gesto della Tiara che infatti non è mai stata abolita, ma che da allora lascia al Successore di Pietro la libertà se usarla o meno. Paolo VI "venderà" per altro la "sua" tiara, quella che gli regalarono i milanesi, e non ha mai venduto quelle appartenenti alla Sacrestia pontificia.

Il tarlo di una certa collegialità (tarlo, termine usato da Ratzinger nella presentazione del documento Communionis Notio e che più avanti tratteremmo con un articolo specifico) infiltrandosi cercherà di portare il ruolo petrino alla pari con gli altri vescovi.

Un tarlo che queste dimissioni, questa rinuncia, ripropone da parte di quelli che vogliono vedere nel gesto del Papa solo un marciume in atto a modificare il ruolo petrino.

Certo è che con Paolo VI il ruolo del Pontefice è cambiato, è diventato quasi un ruolo ad personam, un pò complici i Media che strumentalizzano parole e gesti di un pontefice adattandolo alle esigenze laiciste.

Un esempio lo abbiamo avuto con la malattia di Giovanni Paolo II. Egli ebbe il merito e come compito divino-pastorale di radunare i giovani dopo averli tolti dalle piazze ideologiche e partitiche. Il suo Successore, Benedetto XVI, ha avuto il compito di istruire alla vera dottrina questi giovani compiendo così anche una sorta di selezione naturale nella quale ci sono stati anche molti abbandoni dopo la morte del Pontefice.

Ma il Papa all'ultima Udienza del Mercoledì è stato chiaro, per chi vuole ben intendere questo gesto epocale: non è abbandonare la Chiesa.

Il Papa non è un superman come i Media avevano identificato nel suo predecessore.... e quindi è legittimamente suscettibile di rinuncia laddove le sue forze non fossero in grado di tenere il passo con le esigenze che spesso sono proprio mediatiche.

A luglio c'è la GmG e il Papa giustamente è preoccupato: andare o non andare? e in quale stato? in carrozzella attirando su di sè l'attenzione mediatica?

non è da Ratzinger....

Ha capito che sopraggiungendo la dura vecchiaia, i Media avrebbero cominciato a fare le pulci alla sedia a rotelle (non dimentichiamo i commenti acri, acerbi, quando Benedetto XVI salì per la prima volta sulla pedana mobile, catturando le prime pagine dei giornali con commenti davvero diabolici), ad ogni movimento del suo corpo, alla voce sempre più flebile.... una radiografia odiosa che tutti ben ricordiamo con il predecessore, che senza sua colpa il Papa era diventato una sorta di feticcio da adorare perchè malato e quindi DA COMPATIRE.


Noi crediamo che Ratzinger odi quella compassione laicista e mediatica alla quale non vuole offrire la sua vita.

Infine crediamo che Benedetto XVI abbia così lanciato un messaggio forte ai Cardinali: occorre un Papa forte ed energico per far fronte alle derive del mondo e non per compiacerle come certi commenti progressisti hanno avanzato!

Lui in 8 anni ha deposto ben oltre 20 vescovi dalle loro postazioni, l'ultima rinuncia l'ha accolta da O'Bryan....

Ora tocca al nuovo Papa! E noi siamo fiduciosi e crediamo che lo Spirito Santo avrà l'ultima parola allor quando il sacrificio, questo martirio bianco di Papa Benedetto, eleverà al Cielo (insieme al Popolo veramente santo e che solo Dio sa riconoscere come tale), suppliche e preghiere per le quali ci consola sapere dalla parola di Dio che:

"a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati" (Mt.24, 22).

 

***

 

 

 

Benedetto XVI cita una nostra citazione

28.02.2013 00:14

 

Non vogliamo fare i profani, nè approfittare di questo momento per noi drammatico per tirare l'acqua al nostro mulino, tuttavia sarebbe davvero ingrato da parte nostra se non ci soffermassimo su alcune espressioni usate da Benedetto XVI nell'ultima Catechesi del suo Pontificato, 27.2.2013.

Così ha detto il Papa:

"Siamo nell’Anno della fede, che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno, anche nella fatica. Vorrei che ognuno si sentisse amato da quel Dio che ha donato il suo Figlio per noi e che ci ha mostrato il suo amore senza confini. Vorrei che ognuno sentisse la gioia di essere cristiano. In una bella preghiera da recitarsi quotidianamente al mattino si dice: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano…». Sì, siamo contenti per il dono della fede; è il bene più prezioso, che nessuno ci può togliere! Ringraziamo il Signore di questo ogni giorno, con la preghiera e con una vita cristiana coerente. Dio ci ama, ma attende che anche noi lo amiamo!"

 

Vi invitiamo a soffermarvi nella parte riportata da noi in grassetto e di confrontarla con l'articolo da noi postato il 24.1.2013

Attenzione alle citazioni da "bacio perugina" quando sono fatte da un Uomo della Chiesa

dove scrivevamo quanto segue:

Perché nella Preghiera quotidiana diciamo: "Ti ringrazio di avermi fatto cristiano"?

 

Del perchè, poi, abbiamo fatto questa domanda che era più una affermazione, vi invitiamo a scoprirlo leggendo quell'articolo.

Dal canto nostro non possiamo che ringraziare il Papa per questa conferma ad un richiamo alla bellezza di essere cristiani e specialmente cattolici, senza alcuna necessità di rincorrere altre fedi, altre religioni per cercare il vero Dio!

 

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DEMONIO INFERNO: come parlarne ai bambini?

22.02.2013 00:23

 

Una mamma, dal Libro degli Ospiti, ci pone queste domande e riflessioni:

 

"Salve a tutti! Sono passata di qui per caso e ho trovato molto interessanti i vostri articoli. Preciso che io vado in chiesa e frequento con la mia famiglia la parrocchia e abbiamo tre figli. Ho solo una perplessità: come parlare ai bambini del diavolo e dell'inferno? Esistono davvero?

Certo che ho chiesto anche al mio parroco ma ciò che mi ha detto non mi convince. Dice che l'inferno non è un luogo eterno e che non bisogna parlarne ai bambini, a loro basta parlare del paradiso. Io ricordo che Benedetto XVI in una parrocchia all'omelia ne ha parlato, ma non ricordo il passo.

Diciamo che non voglio polemizzare ma sapere come si può parlare ai bambini di questa realtà alla quale io credo, ma senza terrorizzarli.

Grazie di tutto, seguiterò a leggere eventuali risposte".

 

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Carissima "mamma", le sue domande vanno ad integrare una gravissima deformazione e lacuna del nostro tempo. Deformazione in quanto è noto che da dopo il Concilio una certe corrente modernista nella Chiesa ha tentato e tenta di rimuovere l'Inferno dall'insegnamento, Vescovi e Sacerdoti non vi credono più e seminano l'errore. Lacuna in quanto molti Sacerdoti, purtroppo, non sono stati preparati alla sana dottrina da quando nei Seminari c'è stata la rivoluzione modernista del dopo Concilio che ha tolto loro i veri Maestri come san Tommaso d'Aquino, i tanti Dottori della Chiesa come san Bellarmino, ecc... per cedere il posto a professorini modernisti come K. Rahner, Enzo Bianchi ed altri (1).

Ha fatto bene a ricordare il grande Pontefice Benedetto XVI il quale, infatti per ben due volte ha parlato, senza mezzi termini, dell'esistenza del demonio, delle sue opere, e dell'Inferno quale realtà drammaticamente autentica ed eterna.

Ne ha parlato nel Messaggio per la Pace del 2006 « Nella verità, la pace », quando dice:

- "E allora, chi e che cosa può impedire la realizzazione della pace? A questo proposito, la Sacra Scrittura mette in evidenza nel suo primo Libro, la Genesi, la menzogna, pronunciata all'inizio della storia dall'essere dalla lingua biforcuta, qualificato dall'evangelista Giovanni come « padre della menzogna » (Gv 8, 44). La menzogna è pure uno dei peccati che ricorda la Bibbia nell'ultimo capitolo del suo ultimo Libro, l'Apocalisse, per segnalare l'esclusione dalla Gerusalemme celeste dei menzogneri: « Fuori . . . chiunque ama e pratica la menzogna! » (22, 15). Alla menzogna è legato il dramma del peccato con le sue conseguenze perverse, che hanno causato e continuano a causare effetti devastanti nella vita degli individui e delle nazioni. (2)

- dall'Omelia del 25.3.2007, dice il Papa:

"E’ venuto Gesù per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l’inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore. Anche in questo episodio, dunque, comprendiamo che il vero nostro nemico è l’attaccamento al peccato, che può condurci al fallimento della nostra esistenza. Gesù congeda la donna adultera con questa consegna: "Va e d’ora in poi non peccare più". Le concede il perdono affinché "d’ora in poi" non pecchi più". (3)

 

Il Sacerdote che negasse questa realtà, deve essere amorevolmente corretto, e pregare per lui.

Anche noi non vogliamo polemizzare! Ma è necessario dire la verità.

Dice Baudelaire: "Il capolavoro di Satana è di aver fatto perdere le sue tracce e di aver convinto gli uomini che egli non esiste". Eppure senza la presenza di Satana resta inspiegabile tutto il male che c'è nel mondo, come senza la presenza di Dio resta inspiegabile tutto il bene che c'è, compresa la nostra stessa esistenza.

A tal proposito, dopo averle consigliato di munirsi del solido Catechismo della Chiesa Cattolica e del suo Compendio, e di trovare in questo le risposte alle sue domande, ci accingiamo ad offrire a Lei e a tutti i lettori, un breve articolo del grande esorcista dei nostri tempi: Don Gabriele Amorth, un articolo arricchito e completato anche da riferimenti biblici.

Infine insieriamo il consiglio di un altro utente che sempre dal Libro degli Ospiti comunica questo:

Autore: catholicpride

Mi permetto di consigliare la lettura di un bellissimo libro sull'argormento di Padre Giovanni Cavalcoli, OP, intitolato "L'inferno esiste - La verità negata", editto da Fede&Cultura.
https://www.fedecultura.com/libro/l-inferno-esiste/

 

La ringraziamo molto per la sua attenzione e la invitiamo ad usare il santo Rosario ogni giorno, magari insieme ai suoi Familiari.

 

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DEMONIO INFERNO: come parlarne ai bambini?

Consigli per genitori, sacerdoti e catechisti

don Gabriele Amorth con il magistero della Chiesa

Da più parti mi sento rivolgere questa domanda che interessa genitori, catechisti, educatori, Il Signore si rivelò nell’Antico Testamento per mezzo dei profeti, e infine si manifestò nel ministero pubblico di Cristo: insegnò sempre l’intera verità a tutti, grandi e piccoli. Certamente i bambini ne avevano una comprensione conforme alla loro intelligenza; anche l’insegnamento privato deve tener conto dell’età e del metodo che si deve usare con i fanciulli, conforme alla loro comprensione. Ma sarebbe un grave errore nascondere ai bambini delle verità, temendo di spaventarli.


Mi vengono in mente, in proposito, le osservazioni di Sr. Lucia di Fatima quando, già in età matura, ripensava a quel famoso 13 luglio 1917, in cui la Madonna fece vedere l’inferno ai piccoli veggenti e rivelò loro i famosi tre segreti. Ebbene, Lucia fa notare: “Qualche volta si teme di parlare dell’inferno ai bambini, per paura di spaventarli. La Madonna invece, quasi senza tener conto della nostra età (rispettivamente 7, 9, 10 anni), non solo ci parlò dell’inferno, ma ce lo fece vedere e ne fummo terrorizzati a tal punto che saremmo morti di paura, se Lei non ci avesse assicurato poco prima che ci avrebbe portati in Paradiso”. Da questa visione e dalla visione delle anime che in massa precipitavano nell’inferno, venne ai tre fanciulli uno slancio enorme di riparazione, uno zelo ininterrotto a offrire sacrifici per la conversione dei peccatori.

Così come abbiamo nell'insegnamento della Chiesa la grande dottrina di santa Caterina da Genova sul Purgatorio che, se insegnata ai fanciulli, si darà a loro fin da subito di pregare per queste Anime e sollecitare la loro stessa intelligenza all'esistenza della nostra vera Patria, il Paradiso.

E' importante, infatti che ogni lezione impartita sull'Inferno non venga mai disgiunta dall'esistenza del Paradiso, luogo di delizia e beatitudine che Gesù stesso ha promesso:

«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via».

Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?».  Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto» (Gv.14,1-7).

Senza dimenticare la prima indulgenza che il Signore concesse dalla Croce al buon Ladrone: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».  Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso» (Lc.23,42-43).

E' importante far capire ai bambini che la nostra Patria vera è il Paradiso per il quale Gesù è la via e la verità e che se non andiamo in Paradiso non è che esistono altri paradisi religiosi o il nulla, ma c'è solo il suo opposto, l'Inferno.

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica teme solo una cosa: il fondamentalismo. Cosa significa?

Significa che estremizzare un solo aspetto della Buona Novella, rende vano ogni sforzo per la conversione. Per esempio: se si insegnasse solo l'Inferno, semineremo soltanto angustia, terrore, paura, rischiando di far scappare i bambini ma anche gli adulti; se insegnassimo solo il Paradiso come purtroppo spesso accade nei nostri giorni quando si rinnega l'esistenza del diavolo e dell'Inferno, si finirebbe con il nascondere l'importanza della croce di ognuno e della stessa conversione perchè, in Paradiso, non si va senza la croce e senza la conversione.


Quando Gesù parlava dell’Inferno ne parlava a tutti, anche ai bambini, sulla cui presenza i Vangeli ci informano più volte. Ognuno poi comprende e ritiene secondo le sue capacità soprattutto se genitori, sacerdoti e catechisti saranno capaci di aiutarli alla comprensione; ma non è detto che i fanciulli capiscano meno degli adulti: l’effetto prodotto dalla vista dell’inferno da parte dei bambini di Fatima ci dice che molte volte i fanciulli sanno comprendere perfettamente, alla lettera, senza minimizzare come fanno tanti adulti ( teologi e persino esegeti...); e poi si comportano di conseguenza, con una coerenza anche eroica.


Credo inoltre che ci siano alcuni concetti fondamentali su cui si possa e si debba insistere con i bambini. Sono concetti basilari, tali da non spaventare nessuno, e che certamente dovrebbero essere ben tenuti presenti anche dagli adulti.


1 - Un primo concetto è che Dio è buono e ha creato buone tutte le cose e tutti gli esseri, specie quelli intelligenti e immortali: angeli e uomini. Dio non ha creato i diavoli e neppure i cattivi; ha creato solo angeli buoni. Ma ha dato agli angeli (come poi agli uomini) il dono della libertà. Alcuni angeli hanno usato male di questo dono: si sono sentiti così grandi nel loro orgoglio, da disobbedire a Dio, da opporsi a Dio; così invece di seguire il bene che è Dio stesso, e non essendoci altre strade che Dio avesse creato, hanno dato origine ad una strada che è il contrario del Bene, cioè il Male. Perciò esiste il male: non perché l'abbia creato Dio, ma perché questo male ha avuto origine dalla rinuncia e dal rifiuto di seguire il bene, cioè Dio.

E invece di rimanere angeli luminosi e felici, sono diventati demoni tenebrosi e disgraziati; si sono condannati da sè all’eterno supplizio dell’inferno. Anche nelle favole, che sono semplici fatterelli inventati, si tiene conto di questa realtà: chi non fa il suo dovere può finire male e degradarsi; chi compie il male se la deve vedere con gli eroi. E' importante far capire ai bambini, partendo proprio dalle favole, che noi abbiamo più che un eroe, abbiamo il Figlio di Dio che facendosi uomo è venuto per salvarci. Salvarci da che cosa? Ecco la domanda che dobbiamo suscitare nella curiosità tipica del bambino.

Ad esempio Pinocchio, per non voler studiare ma solo giocare, diventa.. un asino. Se non vuoi andare a scuola, ne paghi le conseguenze, si resta ignoranti ed analfabeti e nella vita ti precludi molte cose interessanti come leggere, scrivere, fare il ragioniere, e così via. Le nostre scelte nella vita determinano dove finiremo.
Ogni essere umano è stato creato da Dio: buono e per il bene. Il fine a cui siamo destinati è il Paradiso, per questo nasciamo. Ma Dio ci ha dato il dono della libertà, che rende meritevole il bene che facciamo. Però se compiamo il male ne abbiamo colpa, e ci condanniamo da noi stessi al castigo. In sostanza: chi fa il bene riceve il bene; chi fa il male riceve il male. Lo dice la Scrittura: ti sarà dato ciò che avrai scelto.

Si può e si deve insegnare ai bambini la parabola del ricco Epulone e di Lazzaro (Lc.16,19-31).

 

2 - Il demonio, essendo diventato nemico di Dio, cerca di fare in modo che anche l’uomo si distacchi da Dio e lo disubbidisca; ecco perchè ci tenta. Si deve far sapere ai bambini la verità: Dio che è tanto buono ha mandato a noi il suo Figlio Unigenito perchè ci salvasse e ci aiutasse in questa battaglia, come la chiama san Paolo. Mentire non serve a nulla! Il bambino deve conoscere l'amore grande ed immenso del Crocefisso per noi, per questo il demonio si accanisce contro gli uomini ingannandoli, dividendoli nelle famiglie. Tutti i bambini devono avere la possibilità di scegliere da che parte stare, aspettare che diventino grandi è troppo tardi e molti di loro già nell'adolescenza, il periodo in cui matura la malizia nell'uomo e si affermano i vizi, sono già perduti se nessuno rammenterà loro la verità  sulla loro esistenza. Per questo il grande San Pio X, che era un saggio catechista nel cuore, si premunì di avvicinare i bambini alla Prima Comunione non appena avessero raggiunto l'età scolare, i sette anni: lo fece per proteggerli dal crescere senza la sana dottrina, e per ricevere Gesù in uno stato di grande purezza e innocenza.

E poi: Dio ci ha dato gli Angeli che ci proteggono; ognuno di noi ha il suo angelo custode.

Ma dipende da noi ubbidire alle tentazioni del demonio o alla voce dell’angelo. Possiamo fare l'esempio dei genitori: quante volte la mamma deve mettere in guardia il figlio dai pericoli che ci sono in casa e fuori casa? Oppure quando i figli crescono, in una famiglia naturale e cristianamente normale, non saranno forse premurosi i genitori nel dire loro fin dove possono andare quando escono, quanto devono fare attenzione alle cattive compagnie, di come non devono prendere droghe e cose varie? E cosa succede se i figli non ascoltano ed anzi vogliono fare quello che gli pare loro andando contro i moniti dei genitori? O come la favola di Pinocchio che abbiamo citato: anche per lui c'è un aiuto, la coscienza che è il grillo parlante, ed anche la fatina e come si comporta Pinocchio? che invece di ascoltare loro, finisce per scegliere di seguire gli scaltri perditempo del gatto e la volpe.

Altro esempio è il medico: se il medico dice al bambino che è necessario che prenda una certa medicina perchè lui stia meglio, non ascolterà egli il medico anche se la medicina potrebbe non piacergli?

Altro esempio la scuola, gli insegnanti: puoi pretendere di avere buoni voti se sei cosciente di non aver studiato e di non esserti ben applicato?

Un altro esempio per gli amanti dello sport: quanto deve faticare un giovane atleta per raggiungere i risultati di un campione?

Perciò non dobbiamo avere nessuna paura, ma essere fedeli a Dio: chi è fedele a Dio va in Paradiso, come gli angeli e i santi; chi si ribella a Dio va all’inferno, come i demoni.

Il successo che vogliamo avere nella vita deve essere in sintonia con quello dell'eternità. Dobbiamo insegnare ai bambini che abbiamo anche un anima, oltre al corpo, da nutrire e proteggere perchè mentre il corpo con la morte si disfa, diventa polvere, l'anima resta ed è eterna. E che se vogliamo risorgere splendenti con il corpo trasformato come ha promesso Gesù, è necessario che facciamo anche quanto Lui ci dice di fare.

 

3 - Il demonio ha i suoi alleati, da cui dobbiamo stare in guardia. I primi alleati sono le nostre passioni disordinate, che vanno tenute a freno col dominio di sè, con i sacrifici volontari (fioretti), con le azioni virtuose, la preghiera, i sacramenti.

Poi ci sono altri alleati del demonio, che sono le occasioni di male che il mondo può presentare: compagnie cattive, letture o spettacoli non buoni (oggi e particolarmente pericolosa la televisione, che va usata con parsimonia e stando bene attenti alla scelta dei programmi).

Fin da piccoli è necessario saper distinguere ciò che è bene da ciò che è male, quello che piace a Dio da quello che è contro i suoi insegnamenti: ubbidendo al Signore ci si comporta come gli angeli; disubbidendo a Dio ci si comporta come i demoni.

Non dite che i bambini non riescono a comprendono i Dieci Comandamenti; se li comprendevamo noi nel secolo passato che non avevamo tutte queste opportunità tecnologiche, interattive ecc..., figuriamo oggi! Non è corretto far passare i bambini come svegli ed intelligenti solo a riguardo dei giochi elettronici o per tenerli ore ed ore davanti alla televisione o persino al computer, e poi vederli incapaci di apprendere gli insegnamenti di Gesù che proprio a loro si rivolgeva come esempio per gli adulti.

Come i demoni hanno degli alleati, anche noi li abbiamo e sono, oltre quelli citati al punto 2, la Preghiera.

L'esempio pratico è pensare a quante suppliche rivolgono i bambini ai genitori quando vogliono ottenere qualcosa. Spesso sono molto insistenti, non si scoraggiano fino a quando non ricevono quanto chiedono. Qualcuno che si arrende riesce comunque ad ottenere qualcos'altro perchè la sua ubbidienza a non insistere venga premiata. Perchè allora deve diventare scandaloso che si insegni ai bambini di Pregare il Padre nostro la mattina e la sera?

Perchè scandalizzarsi se prima di mangiare e dopo aver mangiato si ringraziasse il Signore del dono del cibo? Piuttosto chiediamoci quanti genitori oggi pregano al mattino ed alla sera o per i pasti? Quanti genitori dicono in casa il Rosario con i propri figli? Quanti genitori insegnano ai propri figli di pregare il proprio angelo custode? Loro lo fanno?

Potrebbe un atleta raggiungere i suoi traguardi senza gli strumenti per praticare lo sport che vuole esercitare? La Preghiera, il Rosario è lo strumento che allena le nostre anime al bene, cioè a Dio. Senza Gesù non possiamo fare nulla, e la Preghiera è lo strumento che ci mette in comunione con Lui. Raccontiamo ai bambini storie vere come quella dei tre Pastorelli di Fatima di cui due beatificati e avevano solo 8 e 10 anni.

 

Come si vede, si può benissimo parlare del diavolo anche ai bambini, insegnando loro a non averne nessuna paura, perchè il diavolo non può farci nessun male se non siamo noi a volerlo. Ma si può prendere benissimo l’esempio dagli angeli e dai demoni per far distinguere il bene dal male, l’ubbidienza a Dio dalla disubbidienza a Lui; possiamo usare le favole come la Bella e la Bestia, o il Re Leone e tante altre storie, aneddoti, esempi che la storia ci insegna e, di conseguenza, insegnare loro il premio e il castigo che dipendono dal nostro comportamento.

E' perciò fondamentale che il primo esempio di bene lo diano i genitori. I bambini seguono molto gli esempi, sono come delle spugne: assorbono il mondo che li circonda, apprendono molto, sanno stupirsi e meravigliarsi, sanno compiere delle scelte, dimostrano di avere anche molto gusto, ed anche se da piccoli il loro modo di amare è associato a ciò che possono ricevere in cambio, se ricevono esempi gratificanti e dottrinalmente cristiani, sono in grado di comprendere che Gesù li ha amati gratuitamente e trovare così in Gesù il vero esempio, modello da seguire ed imitare. Le storie di bambini santi ce ne sono molte, pensiamo a santa Teresina del Bambin Gesù che a soli 24 anni è diventata santa ed oggi Dottore della Chiesa. Fin da bambina aveva imparato dai genitori, diventati beati anche loro, ad amare Gesù, la Vergine Santa e i Santi tanto che aveva deciso da bambina di mantenersi pura per diventarlo anche lei, e così è stato, ha raggiunto lo scopo. Diamo uno scopo ai bambini, diamo loro Gesù, e non deluderanno.

 

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Note

(1) si legga anche qui: https://www.riscossacristiana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=119&Itemid=66

(2) testo integrale:

https://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/peace/documents/hf_ben-xvi_mes_20051213_xxxix-world-day-peace_it.html

(3) testo integrale:

https://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2007/documents/hf_ben-xvi_hom_20070325_visita-parrocchia_it.html

 

 

 

 

Sant'Agostino: i Templi Cristiani offrono scampo

19.02.2013 10:49

 

La Città di Dio - Opera monumentale di sant'Agostino, Vescovo e Padre della Chiesa

 

Legge di guerra sospesa in onore a Cristo (1-7)

Le chiese cristiane offrono scampo ai vinti.

1. Da essa infatti provengono nemici, contro i quali deve essere difesa la città di Dio. Di costoro tuttavia molti, rinunciando all'errore d'empietà, divengono in essa cittadini ben disposti. Molti invece sono infiammati contro di lei da odio così ardente e sono ingrati ai benefici tanto evidenti del suo Redentore che oggi non parlerebbero male di lei se nel fuggire il ferro dei nemici non avessero salvato nei luoghi sacri la vita, di cui oggi sono arroganti. Non sono forse contrari al nome di Cristo anche quei Romani che i barbari per rispetto a Cristo hanno risparmiato? Ne fanno fede i sepolcri dei martiri e le basiliche degli apostoli che accolsero nel saccheggio di Roma fedeli ed estranei che in essi si erano rifugiati . Fin lì incrudeliva il nemico sanguinario, qui si arrestava la mano di chi menava strage, là da nemici pietosi venivano condotti individui risparmiati anche fuori di quei luoghi affinché non s'imbattessero in altri che non avevano eguale umanità.

Altrove erano spietati e incrudelivano come nemici. Ma appena giungevano in quei luoghi, in cui era proibito ciò che altrove era lecito per diritto di guerra, veniva contenuta l'efferatezza dell'uccidere e il desiderio di far prigionieri. Così molti scamparono. Ed ora denigrano la civiltà cristiana e attribuiscono a Cristo i mali che la città ha subito. Al contrario, non attribuiscono al nostro Cristo ma al loro destino il bene che in onore a Cristo si è verificato a loro vantaggio. Dovrebbero piuttosto, se fossero un po' saggi, attribuire le crudeltà e le sventure che hanno subito dai nemici alla divina provvidenza. Essa di solito riforma radicalmente con le guerre i costumi corrotti degli individui ed anche mette alla prova con tali sventure la vita lodevolmente onesta degli uomini e dopo averla provata o l'accoglie in un mondo migliore o la conserva ancora in questo mondo per altri compiti. Dovrebbero invece attribuire alla civiltà cristiana il fatto che, fuori dell'usanza della guerra, i barbari li abbiano risparmiati, o dovunque per rispetto al nome di Cristo o nei luoghi particolarmente dedicati al nome di Cristo, molto spaziosi e quindi scelti per una più larga bontà di Dio a contenere molta gente.

Perciò dovrebbero ringraziare Dio e divenire con sincerità seguaci del nome di Cristo per sfuggire le pene del fuoco eterno, mentre molti lo hanno adoperato con inganno per sfuggire le pene dello sterminio nel tempo. Infatti moltissimi di essi che si vedono insultare insolentemente e sfrontatamente i servi di Cristo son proprio quelli che non sarebbero sfuggiti alla morte e alla strage se non avessero finto di essere servi di Cristo. Ed ora per ingrata superbia ed empia follia si oppongono al suo nome con cuore malvagio per esser puniti con le tenebre eterne; e allora avevano invocato quel nome con parole sia pure false per continuare a godere della luce temporanea.

I templi pagani non offrono alcun scampo.
2. Sono state tramandate tante guerre prima e dopo la fondazione e la dominazione di Roma. Leggano ed esibiscano o che una città sia stata occupata da stranieri con la garanzia che i nemici occupanti risparmiassero coloro che avessero trovati rifugiati nei templi dei loro dèi o che un condottiero di barbari avesse ordinato nel saccheggio di una città di non uccidere chi fosse stato trovato in questo o quel tempio. Al contrario Enea vide Priamo che imbrattava di sangue i fuochi sacri che egli stesso aveva consacrato . E Diomede ed Ulisse, uccisi i custodi del tempio posto sulla rocca, afferrarono la statua di Pallade e con le mani insanguinate osarono toccare le bende verginali della dea. Ma non è vero quel che segue: Da quel fatto la speranza dei Greci fu ricacciata definitivamente in alto mare . Al contrario dopo quel fatto vinsero, distrussero Troia a ferro e fuoco, trucidarono Priamo che si era rifugiato presso l'altare . E Troia non fu distrutta perché perdé Minerva. Ancor prima che cosa aveva perduto Minerva stessa per andare perduta? Forse i custodi? Ma proprio questo è vero perché con la loro uccisione fu possibile trafugarla. Dunque non gli uomini erano difesi dalla statua ma la statua dagli uomini. Perché allora era venerata per custodire la patria e i cittadini se non riuscì a custodire i propri custodi?.

Perfino gli dèi si trovano in difficoltà.
3. Eppure i Romani si rallegravano di avere affidata la propria città alla protezione di questi dèi. O errore degno di tanta commiserazione! E si adirano con noi quando parliamo così dei loro dèi e non si arrabbiano con i propri scrittori. Pagano anzi per pubblicarli e per di più hanno ritenuto degni di compenso da parte dello Stato e di onori gli stessi insegnanti. Adduciamo come esempio Virgilio. I fanciulli lo leggono appunto perché il grande poeta, il più illustre e alto di tutti, assimilato dalle tenere menti non sia dimenticato con facilità, secondo il detto di Orazio: Il vaso di creta conserverà a lungo il profumo con cui è stato riempito appena modellato . Presso Virgilio dunque Giunone, ostile ai Troiani, è presentata mentre dice ad Eolo, re dei venti, per istigarlo contro di loro: Una gente a me nemica naviga il mar Tirreno per portare in Italia i vinti penati di Troia . Ma davvero sono stati tanto prudenti da affidare Roma perché non fosse vinta a codesti penati vinti? Giunone però parlava così da donna arrabbiata senza sapere quel che diceva.

Ma Enea, chiamato tante volte pio, così narra: Panto di Otreo, sacerdote del tempio di Apollo, con la mano consacrata sostiene i dèi vinti e conduce il nipotino e fuori di sé di corsa si avvicina alle porte . Ed Enea fa capire che a lui gli dèi, giacché non dubita di chiamarli vinti, sono stati affidati e non lui agli dèi, quando gli si dice: Troia ti affida le cose sacre e i propri penati . Dunque Virgilio dichiara vinti gli dèi e affidati a un uomo affinché, sebbene vinti, in qualche modo siano salvati.

È pazzia dunque il pensare che è stato saggio l'affidare Roma a tali difensori e che è stato possibile saccheggiarla soltanto perché li ha perduti. Anzi l'onorare dèi vinti come validi difensori significa soltanto conservare non buoni numi ma cattivi nomi.

Non è saggio dunque credere che Roma non sarebbe giunta a tanta sconfitta se prima non fossero andati perduti ma piuttosto che da tempo sarebbero andati perduti se Roma non li avesse conservati finché le è riuscito. Ciascuno può notare, purché rifletta, con quanta leggerezza si sia presupposto che essa sotto la protezione di difensori vinti non poteva essere vinta e che è andata perduta perché ha perduto gli dèi custodi. Piuttosto sola causa del perdersi ha potuto essere l'aver voluto dèi difensori che sarebbero andati perduti. Non è dunque che i poeti si divertivano a mentire quando venivano scritti in versi quei fatti sugli dèi vinti, ma la verità costringeva uomini saggi a parlar così. Tuttavia questi concetti si devono esporre diligentemente e diffusamente in altra parte. Ora per un po' sbrigherò, come posso, l'argomento già iniziato sugli uomini ingrati. Essi attribuiscono bestemmiando a Cristo i mali che meritatamente hanno subito a causa della propria perversità. Non si degnano di riflettere che sono risparmiati, anche se non credenti, in onore del Cristo. Usano inoltre contro il suo nome per frenesia di empia perversità quella stessa lingua con cui mentitamente adoperarono il medesimo nome per salvare la vita o per timore la fecero tacere nei luoghi a lui dedicati. Così pienamente sicuri in quei luoghi, sono scampati dai nemici per uscirne fuori a lanciare maledizioni contro di lui.

(...)

I mali della storia e la Provvidenza (8-28)

Buoni e cattivi...

8. 1. Qualcuno dirà: Perché questo tratto della bontà di Dio è giunto anche a miscredenti e ingrati? Perché? Certamente perché lo ha compiuto colui che ogni giorno fa sorgere il suo sole sopra buoni e cattivi e fa piovere su giusti e ingiusti . Alcuni di loro riflettendo con ravvedimento su questi fatti si convertono dalla loro miscredenza; altri invece, come dice l'Apostolo, disprezzando la ricchezza della bontà e longanimità di Dio a causa della durezza del loro cuore e di un cuore incapace di ravvedimento, mettono a profitto lo sdegno nel giorno dello sdegno e della manifestazione del giusto giudizio di Dio che renderà a ciascuno secondo le sue azioni . Tuttavia la pazienza di Dio invita i cattivi al ravvedimento, come il flagello di Dio istruisce i buoni alla pazienza. Allo stesso modo la misericordia di Dio abbraccia i buoni per proteggerli, come la severità di Dio ghermisce i cattivi per punirli. È ordinamento infatti della divina provvidenza preparare per il futuro ai giusti dei beni, di cui non godranno gli ingiusti, e ai miscredenti dei mali, con cui non saranno puniti i buoni. Ha voluto però che beni e mali nel tempo siano comuni ad entrambi affinché i beni non siano cercati con eccessiva passione, poiché si vede che anche i cattivi li hanno, e non si evitino disonestamente i mali, poiché anche i buoni spesso ne sono colpiti.

...nel disegno della bontà e giustizia divina.
8. 2. Inoltre differisce molto la condizione tanto di quella che si considera prosperità come di quella che si considera avversità. L'individuo onesto non si inorgoglisce dei beni e non si abbatte per i mali temporali; il cattivo invece è punito dalla sorte sfavorevole appunto perché abusa della favorevole. Tuttavia Dio manifesta abbastanza chiaramente la sua opera spesso anche nel dispensare tali cose. Se una pena palese colpisse ogni peccato nel tempo, si potrebbe pensare che nulla è riservato all'ultimo giudizio. Se al contrario un palese intervento di Dio non punisse nel tempo alcun peccato, si potrebbe pensare che non esiste la divina provvidenza. Lo stesso è per la prosperità.

Se Dio non la concedesse con evidente munificenza ad alcuni che la chiedono, diremmo che queste cose non sono di sua competenza. Allo stesso modo se la concedesse a tutti quelli che la chiedono, supporremmo che si deve servirlo soltanto in vista di tali ricompense. Il servizio a lui non ci renderebbe devoti ma interessati e avari. Stando così le cose, buoni e cattivi sono egualmente tribolati, ma non ne consegue che non siano diversi perché non è diversa la sofferenza che gli uni e gli altri hanno sopportato. Resta la differenza di chi soffre anche nella eguaglianza della sofferenza e, sebbene sia comune la pena, non sono la medesima cosa la virtù e il vizio.

Come in un medesimo fuoco l'oro brilla, la paglia fuma, come sotto la medesima trebbia le stoppie sono triturate e il grano è mondato e la morchia non si confonde con l'olio per il fatto che è spremuto dal medesimo peso del frantoio, così una unica e medesima forza veemente prova, purifica, filtra i buoni, colpisce, abbatte e demolisce i cattivi. Quindi in una medesima sventura i cattivi maledicono e bestemmiano Dio, i buoni lo lodano e lo pregano. La differenza sta non nella sofferenza ma in chi soffre. Infatti anche se si scuotono con un medesimo movimento, il fetidume puzza disgustosamente, l'unguento profuma gradevolmente.

Anche la sventura dei buoni...
9. 1. Dunque nella desolazione degli avvenimenti passati, se si valutano con la fede, che cosa hanno sofferto i cristiani che non è riuscito a loro vantaggio? Prima di tutto possono riflettere umilmente sui peccati, a causa dei quali Dio sdegnato ha riempito il mondo di tante sventure. E sebbene essi siano ben lontani dagli scellerati, disonesti e miscredenti, tuttavia non si ritengono così immuni dalle colpe da non giudicarsi degni di dover sopportare, a causa di esse, mali nel tempo. Si fa eccezione per il caso che un individuo, pur vivendo onestamente, cede in alcune circostanze alla concupiscenza carnale, sebbene non fino all'enormità della scelleratezza, non fino al gorgo della disonestà e all'abbominio dell'immoralità, ma ad alcuni peccati o rari o tanto più frequenti quanto più piccoli.

Eccettuato dunque questo caso, è forse facile trovare chi tratti come devono esser trattati coloro, per la cui tremenda superbia, lussuria, avarizia ed esecrande ingiustizie e immoralità, Dio, come ha predetto con minacce, distrugge i paesi ? Chi tratta con essi come devono esser trattati? Il più delle volte infatti colpevolmente si trascura di istruirli e ammonirli e talora anche dal rimproverarli e biasimarli o perché rincresce l'impegno o perché ci vergogniamo di affrontarli o per evitare rancori. Potrebbero ostacolarci e nuocerci nelle cose del mondo o perché la nostra avidità desidera ancora di averne o perché la nostra debolezza teme di perderle. Certamente ai buoni dispiace la condotta dei cattivi e pertanto non incorrono assieme ad essi nella condanna che è riservata ai malvagi dopo questa vita. Tuttavia, dato che sono indulgenti con i loro peccati degni di condanna perché si preoccupano per i propri sebbene lievi e veniali, giustamente sono flagellati con i malvagi nel tempo, quantunque non siano puniti per l'eternità. Ma giustamente, quando vengono per disposizione divina tribolati assieme ai cattivi, sentono l'amarezza della vita perché, amandone la dolcezza, hanno preferito non essere amari con i malvagi che peccavano.

 

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Le Ceneri la Quaresima

15.02.2013 09:22

 

Le Ceneri Memento Homo...

 

L'imposizione delle Ceneri quale oggi si pratica, è l'estensione e trasposizione di una antica penitenza pubblica che ritroviamo nelle pagine dell'Antico Testamento e sempre mantenuta dalla Chiesa fin dai primi secoli.

Ciò che riguardava, all'inizio, solo una categoria di persone fedeli, ha finito per diventare, in modo attenuato, un monito applicato a tutti senza distinzione e senza eccezione, dal Papa ai Vescovi, Sacerdoti, Religiosi/e e Laici.

La Chiesa inizia la Quaresima, tempo di penitenza e conversione, a cominciare dal Pontefice che ne da l'esempio, quell'esempio che tutti i fedeli sono invitati a seguire.

Le Ceneri rammentano la nostra condizione mortale e ci richiamano alla sola cosa che di più conta: convertirsi e credere al Vangelo perché il nostro corpo che viene dalla polvere, polvere ritornerà e solo l'anima resisterà nel tempo e nell'eternità, per questo vale la pena di usare questo Tempo per purificarla e santificarla, in modo da rivedere nel futuro beato i nostri corpi trasformati, risuscitati nella gloria.

Oggi assistiamo ad una esorcizzazione della penitenza, ad un rifiuto di vederci lì, polvere e cenere, giacenti in una bara, e per questo si esorcizza una inutile paura pur di nascondere la realtà degli eventi. E allora si fa baldoria, si cerca di vivere "pienamente" nella sfrenatezza e nella dissoluzione, si preferisce non credere pur di non affrontare la realtà; si preferisce rischiare l'Inferno.

In questo giorno la Chiesa ci rammenta che per quanto sia importante l'espiazione, più ancora è la Misericordia di Dio che siamo invitati ad incontrare e a desiderare.

E' necessaria la penitenza non perché Dio ha bisogno delle nostre afflizioni, ma piuttosto perché è attraverso la penitenza che noi, polvere e cenere, possiamo davvero toccare con mano l'esistenza di un Anima da salvare.

Memento homo, qua pulvis es, et in pùlverem revertéris:

Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai.

 

"Immutémur hàbitu, in cinere et cilicio: ieiunemus, et plorémus ante Dominum: quia multum misericors est dimitte peccata nostra Deus noster. / Mutiamo condotta, copriamoci di cenere e di cilicio; digiuniamo e preghiamo dinanzi al Signore perché il nostro Dio è tutto misericordia nel perdonarci" (Gioe.2,13)

 

Responsorio - dalla Messa nella forma Straordinaria

Emenedemus in melius, quae ignoranter peccavimus: ne subito praeoccupati die mortis, quaeramus spatium paenitentiae, et invenire non possimus.

Attende Domine, et miserere: quia peccavimus tibi.

Adiuva nos, Desu salutaris noster: et propter honorem nominus tui, Domine, libera nos.

Attende Domine, et miserere.

(Ripariamo al male commesso nella nostra ignoranza affinchè, colti all'improvviso dal giorno di morte, non cerchiamo inutilmente il tempo di pentirci e non ci sia possibile trovarlo.

Volgi il Tuo sguardo su di noi, Signore, e usa pietà perché peccammo contro di Te.

Aiutaci o Dio della nostra salvezza, e per l'onore del Tuo nome liberaci, o Signore!)

 

Vogliamo anche ricordare che il "grande digiuno" in questi Quaranta giorni non è invenzione della Chiesa. Questo tempo e questo modo di viverlo fu inaugurato proprio dalla legge e dai Profeti e venne consacrato dal Cristo stesso il quale disse per altro: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto.

Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli». (Mt.5,17-19)

 

Così spiega l'Imitazione di Cristo:

"Si sente dire da più parti quanto sia gravosa l’osservanza della legge di Mosè. Vorrei forse dire che la grande oppressione che si sente nell’osservare i dieci comandamenti è pari alla non conoscenza di Cristo nostro Signore.

Dove non vige l’amore, tutto diventa un peso. Dove ci si adopera solo per un senso del dovere, la più piccola fatica sembra un macigno sulle spalle.

Così è e cosi sarà spiritualmente in futuro per tutti coloro che sopporteranno la Legge. "In verità Io Vi dico: i giusti per legge gemeranno e digrigneranno i denti; ma il Signore siederà a tavola nelle case dei peccatori e li guarirà e li accoglierà come Suoi figli. I perduti Io li cercherò, i malati, i duramente imprigionati e i tormentati Io li guarirò, salverò e libererò; ma i giusti della Legge dovranno andarsene dalla Mia casa ingiustificati!"

L’esattore delle tasse e il peccatore li esalterà nella Sua Casa; ma il giusto lo caricherà di un pesante fardello davanti ad Esso nella Sua casa; una prostituta potrà cospargerGli d’unguento e la colpa di un’adultera vuole scriverla nella sabbia, e i peccatori Lo potranno toccare.

Dio ha dato la Legge, però non per essere compresa con l’intelletto mondano, bensì con il cuore. E Mosè stesso ha collocato l’intera Legge nell’amore a Dio. La Legge è bensì rimasta, ma l’amore si è spento già da molto tempo. Una Legge però, in cui non c’è più amore, non giova a nulla, e colui che la osserva senza amore, è un morto schiavo della stessa.

Tutto ciò che noi vediamo nella terra e nel cielo sta sotto la legge immutabile del “devi”.

Anche l’uomo deve subire questa rigida ed immutabile Legge, ma solo per il suo corpo; infatti il corpo dell’uomo, per quanto riguarda la sua forma, la crescita e la ingegnosa disposizione organica, come la durata della vita nella carne, viene diretto dall’onnipotenza di Dio e perciò Dio può anche guarire istantaneamente qualsiasi corpo ammalato, mediante la Potenza della Sua Volontà divina.

Con l’anima libera dell’uomo, invece, l’onnipotenza di Dio non può imporsi. Perciò anche le regole di comportamento che Dio ha dato agli uomini per le loro anime non sottostanno al “devi”, ma perlopiù al “dovresti”. Ecco la differenza tra coloro che vedono il “dovere” nella legge, e coloro che se ne addossano il peso solo con l’amore!

Noi abbiamo ricevuto le Leggi da Dio senza il “devi”, e le possiamo osservare se lo vogliamo.

L’amore di Cristo ridona l’amore alla Legge data tramite Mosè che le era stata tolta nel tempo. Fino ad allora si prendeva la Legge troppo alla lettera e si puniva con uguale severità anche coloro che spesso molto più casualmente che in seguito alla loro cattiva volontà avevano causato al loro vicino l’uno o l’altro danno.

Coloro che traviseranno i precetti di Dio, che sono “consigli” all’anima per ottenere il Regno di Dio, avrà ben da fare per gustare le maggiori beatitudini nel Regno dei Cieli!".

Santa Quaresima a tutti.

 

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Attenti al Fuoco di Paglia

06.02.2013 18:59

 

Abbiamo ricevuto alcune richieste a riguardo delle affermazioni fatte da mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia sulle gravissime prese di posizione da parte della Francia e via, via, posizioni che prenderanno tutti gli Stati Europei a riguardo dell'equiparazione dei "matrimoni omosessuali".

In un breve giro di consultazioni avevamo deciso, in un primo momento, di non entrare in questi argomenti giacché non sono materia prettamente ecclesiale quanto piuttosto delle scelte da parte degli Stati che ci tengono a restare lontani dalla Chiesa e vogliono restare nel mondo lontano da Dio, anzi, spesso mettendosi proprio contro Cristo.

Tuttavia, vista la voce ufficiale che si è elevata e che ha gettato scompiglio; vista la situazione di confusione che c'è nella Chiesa; visto che alla fine è materia dottrinale anche la morale, l'etica, gli stili di vita, abbiamo deciso di dedicare non tanto un articolo, ma di testimoniare la nostra presa di posizione, dissociandoci dal pensiero espresso da mons. Paglia, unendoci in totos alle riflessioni sagge di Riccardo Cascioli da "La nuova Bussola Quotidiana"

Invitiamo tutti i lettori a prendere conoscenza di questo articolo cliccando qui.

Dal canto nostro invitiamo e sollecitiamo, in quella correzione fraterna, mons. Vincenzo Paglia a non rilasciare in futuro dichiarazioni a braccio che rischiano di impegnare tutto il mondo Cattolico. Non è corretto quando queste dichiarazioni non sono frutto dell'insegnamento della Chiesa e portano a pensare diversamente dalla Dottrina, noi non ci riconosciamo nelle sue dichiarazioni.

Vogliamo ricordare a mons. Paglia e a voi Lettori, che esiste un Documento  del 2003 chiaro e firmato allora sia da Giovanni Paolo II quanto dal Pontefice Benedetto XVI quando era allora, cardinale Ratzinger, Prefetto per la CdF:

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
CONSIDERAZIONI CIRCA I PROGETTI DI RICONOSCIMENTO LEGALE
DELLE UNIONI TRA PERSONE OMOSESSUALI

 

Riportiamo solo alcune parti:

- L'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla complementarità dei sessi ripropone una verità evidenziata dalla retta ragione e riconosciuta come tale da tutte le grandi culture del mondo. Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone umane. Esso è stato fondato dal Creatore, con una sua natura, proprietà essenziali e finalità.(3) Nessuna ideologia può cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite.

- Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti omosessuali, infatti, « precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati ».

- Secondo l'insegnamento della Chiesa, nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali « devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione ».(7) Tali persone inoltre sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità.(8) Ma l'inclinazione omosessuale è « oggettivamente disordinata »(9) e le pratiche omosessuali « sono peccati gravemente contrari alla castità  ».

- Il Documento smentisce le affermazioni pretese da mons. Paglia:

A sostegno della legalizzazione delle unioni omosessuali non può essere invocato il principio del rispetto e della non discriminazione di ogni persona. Una distinzione tra persone oppure la negazione di un riconoscimento o di una prestazione sociale non sono infatti accettabili solo se sono contrarie alla giustizia.(16) Non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma, al contrario, è da essa richiesto. (...) Neppure il principio della giusta autonomia personale può essere ragionevolmente invocato. Una cosa è che i singoli cittadini possano svolgere liberamente attività per le quali nutrono interesse e che tali attività rientrino genericamente nei comuni diritti civili di libertà, e un'altra ben diversa è che attività che non rappresentano un significativo e positivo contributo per lo sviluppo della persona e della società possano ricevere dallo Stato un riconoscimento legale specifico e qualificato. Le unioni omosessuali non svolgono neppure in senso analogico remoto i compiti per i quali il matrimonio e la famiglia meritano un riconoscimento specifico e qualificato. Ci sono invece buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale.

- Se tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, i politici cattolici lo sono in particolare, nella linea della responsabilità che è loro propria. In presenza di progetti di legge favorevoli alle unioni omosessuali, sono da tener presenti le seguenti indicazioni etiche.
Nel caso in cui si proponga per la prima volta all'Assemblea legislativa un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale.

- Conclusione, dice il Documento:

La Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all'approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Il bene comune esige che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l'unione matrimoniale come base della famiglia, cellula primaria della società. Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell'umanità. La Chiesa non può non difendere tali valori, per il bene degli uomini e di tutta la società.

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Non abbiamo altro da aggiungere se non che ricordare a questi Vescovi la posizione chiara della Chiesa e che non possono parlare a nome di Essa quando impongono e avanzano con le loro opinioni personali, imponendo un potere "clericale" - di pensiero eretico - che è stato sempre condannato da tutti i Santi.

 

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Il vero insegnamento di Benedetto XVI su Giuda Iscariota

04.02.2013 10:39

 

Il vero insegnamento di Benedetto XVI su Giuda Iscariota

 

Amici Lettori,

questo articolo nasce da una richiesta di aiuto di una lettrice che, alla pagina dedicata al "Libro degli ospiti", così ci ha scritto:

Carissimo Staff del blog, da due settimane sto diventando matta per poter risolvere un grave dubbio del mio parroco che però mi attribuisce come ignoranza.

I fatti son questi: il 26 agosto 2012 il Papa ha fatto un angelus in cui alla fine ha parlato di Giuda e del suo problema con Gesù, del tradimento. Il nostro parroco, mentre due settimane fa ci ha fatto una catechesi, ci ha detto che anche il Papa è d'accordo che Giuda "fu tradito da Gesù" perchè visto che Gesù sapeva che egli lo avrebbe tradito, sapeva quindi della sua debolezza, lo aveva già perdonato e quindi anche salvato, perchè Gesù si servì della debolezza di Giuda per mandare avanti il suo piano. Giuda lo comprese e si sentì tradito e così si vendicò.

Appena abbiamo finito l'incontro, dopo il primo shock io con un'altra catechista siamo andate dal parroco a chiedere spiegazioni.

Lui ci ha dati due giornali (capite? per spiegare il Papa ci ha rimandato a due giornali!!!!) con un titolo tremendo: Benedetto XVI riscrive la teologia: Gesù ha tradito Giuda!

messo tra virgolette pensavamo che si trattasse di una frase fedele, ma andando a leggere il testo sul sito del vaticano, la frase non esiste e il Papa disse una cosa diversa.

Ora vi chiediamo di aiutarci a dare una risposta netta al nostro parroco per convincerlo che la sua interpretazione e la sua catechesi a noi, è sbagliatissima!!

La nostra piccola comunità con 14 fra catechisti e diaconi, si sta dividendo per chi dice una cosa e sta con il Papa e chi appoggia il parroco dicendo che il Papa ha riscritto il caso di Giuda.

Aiutateci

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Dopo averle dato una breve risposta le abbiamo promesso un articolo più dettagliato perché l'argomento lo merita, ritenendo di fare così un servizio alla Carità - nella Verità non solo a chi lo ha richiesto, ma anche a Voi che leggete.

Come è stato già spiegato la frase usata dal titolo di alcuni giornali: "Gesù ha tradito Giuda": l'Angelus choc di Benedetto XVI - 27.8.2012

è un falso!

Questa frase non è mai stata pronunciata dal Santo Padre!

Basterebbe questo per mettere a tacere tutto, ma a quanto dimostrato dalla richiesta di aiuto, solo due settimane or sono un Parroco ha dimostrato di essere caduto lui nella trappola delle frasi ad effetto, e ci preoccupa davvero pensare a quanti, fra Clero e Laici, sono forse ancora convinti che il Papa abbia espresso quella frase!

Da qui la convinzione che forse era meglio dedicare un articolo non sul fatto in sé che è parte di quella propaganda modernista, quanto piuttosto sul testo del Pontefice a dimostrazione della sua perfetta dottrina nella Tradizione.

 

Angelus del 26.8.2012

https://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/angelus/2012/documents/hf_ben-xvi_ang_20120826_it.html

il passo integrale originale:

"Infine, Gesù sapeva che anche tra i dodici Apostoli c’era uno che non credeva: Giuda. Anche Giuda avrebbe potuto andarsene, come fecero molti discepoli; anzi, avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro. Perché? Perché Giuda si sentiva tradito da Gesù, e decise che a sua volta lo avrebbe tradito. Giuda era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani. Gesù aveva deluso queste attese. Il problema è che Giuda non se ne andò, e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici: «Uno di voi è un diavolo!» (Gv 6,70). Preghiamo la Vergine Maria, che ci aiuti a credere in Gesù, come san Pietro, e ad essere sempre sinceri con Lui e con tutti".

 

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Un giornale, commentando a caldo l'Angelus in questione, scriveva:

"Papa Benedetto XVI prova a risolvere il mistero del tradimento di Giuda nei confronti di Gesù. E lo fa con una tesi sorprendente: "Giuda voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani, ma Gesù aveva deluso queste aspettative. Così, sentendosi tradito da Gesù, Giuda decise che a sua volta lo avrebbe tradito". E' questo dunque il Ratzinger-pensiero..."

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Onestamente leggendo non riscontriamo nella frase alcuna tesi "sorprendente".

Per i Media la "tesi sorprendente" risiederebbe nella motivazione politica attraverso la quale il Papa avrebbe attribuito il tradimento di Giuda nella sua appartenenza ad uno schieramento politico e partitico del suo tempo, dando così a questa immagine l'assolutismo e il motivo del suicidio.

In verità le cose non stanno così. Il Papa innanzi tutto ha fatto delle ipotesi ma nello spiegare le domande che pone non si dissocia affatto dal vero motivo perché Giuda tradì e si impiccò.

Basta infatti prendere la "Spiegazione del Catechismo  di San Pio X" di Padre Dragone, timbrato Soc. San Paolo, 7.3.1963 - Sac. G.Alberione, con Imprimatur e leggere in diverse pagine, specialmente pag.225 alla voce: perché il peccato grave si chiama mortale?

Nell'esempio di "peccato grave" leggiamo, dopo la citazione di Atti 1,15-19 dove si parla del suicidio di Giuda: "Giuda indubbiamente andò perduto, perché Gesù Cristo lo chiama "figlio della perdizione" (Gv.17,12).

Il Papa Benedetto XVI nell'Angelus dice: "...avrebbe forse dovuto andarsene, se fosse stato onesto. Invece rimase con Gesù. Rimase non per fede, non per amore, ma con il segreto proposito di vendicarsi del Maestro".

Non c'è una "tesi sorprendente" nelle parole del Pontefice, semmai c'è una più chiara presa di posizione, laddove vi fosse ancora qualcuno nel dubbio, che Giuda agì con deliberato consenso, agì in modo disonesto e la sua colpa fu la falsità.

Dice infatti il Papa ancora nell'Angelus inquisito:

"Il problema è che Giuda non se ne andò, e la sua colpa più grave fu la falsità, che è il marchio del diavolo. Per questo Gesù disse ai Dodici: «Uno di voi è un diavolo!» (Gv 6,70)".

Diverso fu quando Gesù ammonisce Pietro non solo a riguardo della profezia del rinnegamento, ma anche quando gli dice: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt.16,23), Gesù non gli dice " che è un diavolo", ma che in quel caso, avendoLo tentato per non recarsi a Gerusalemme e lasciarsi crocifiggere, Pietro stava ragionando come satana.

Vi è infatti poi la conferma di Gesù che prega per Pietro affidandogli il compito di "confermare gli altri" nella medesima fede che aveva prima professato, illuminato dalla Grazia (cfr Lc.22,31).

Come ben si legge siamo davanti alla conferma di ciò che i Padri hanno sempre pensato ed insegnato su Giuda.

Leggiamo alcuni brevi passi:

- Dal testo del Ricciotti, pag. 687:

"Avvenne tutto secondo il convenuto. Gesù stava ancora parlando con gli apostoli appena svegliati, quando Giuda entrò nel giardino, seguito a poca distanza dalle guardie; si avvicinò a Gesù e lo baciò, esclamando : « Io ti saluto, o Maestro! »".

Il tradimento era consumato. Il sudore della mortale agonia era ancora raggrumato sulla fronte del Signore.

Secondo il testo greco, Giuda avrebbe moltiplicato i baci sul volto di Gesù. La brama del tradimento lo divorava dentro, mentre fuori si moltiplicavano i segni dell'amore per ingannare chi lo stesse vedendo.

 

- San Giovanni Crisostomo dice: « Giuda, con quei baci prolungati, volle ingannare gli apostoli. Si staccò dalla ciurmaglia, si avanzò solo, quasi a farsi credere arrivato nel Getsemani a caso ».

- Sant'Ambrogio scrive: « Col segno dell'amore Giuda inflisse la ferita; col gesto della carità effuse il sangue; con lo strumento della pace colpì a morte! Il servo ha tradito il suo Signore; il discepolo, il suo maestro; l'eletto apostolo, il suo creatore » (In Le, libro X, n. 63.)

- " « Amico! » Bastava mutare quel bacio di tradimento in un sospiro di fiduciosa contrizione e Gesù avrebbe stretto fra le sue braccia quel figlio della morte e gli avrebbe ridato la vita. Ma quel sospiro di fiduciosa contrizione non fu emesso. Gesù non finse. Lo chiamò « amico ». Volle far capire a Giuda che da parte sua teneva aperto il cuore; che lo amava di vero amore. Ma quell'infelice, dopo tale segno di benignità e di mansuetudine, rimase insensibile e crudele più d'una belva.

Sant'Agostino dice: « Giuda! baci e insidii ti fingi amico e sei traditore! »" (Mons . Gorla, o.c, pp. 274-275).

 

E c'è anche un'altra frase del Pontefice che ci aiuta, piuttosto, a comprendere l'insegnamento dei Padri della Chiesa sul caso Giuda, dice:

" Giuda era uno zelota, e voleva un Messia vincente, che guidasse una rivolta contro i Romani. Gesù aveva deluso queste attese..."

Quindi è Giuda che tradisce perché si sente tradito da Gesù circa le sue aspettative. Giuda non credeva che Gesù fosse vero Dio!

Egli "non credeva nella divinità di Gesù", ripetono sant'Ambrogio e sant'Agostino.

Se avesse creduto, avrebbe avuto coscienza che il Maestro divino gli leggeva nel cuore; avrebbe chiesto a Lui perdono. Non chiese perdono, perché era convinto che Gesù fosse un illuso. Questa mancanza di fede nel divin Maestro, lo indusse a venderlo al sommo sacerdote.

E cosa dice il Pontefice Benedetto XVI nell'Angelus a riguardo di ciò che pensava Giuda? che "Gesù aveva deluso queste attese".

Inoltre sono gli Evangelisti che presentano Giuda come ladro, come amministratore fraudolento della cassa comune.

Un giorno Gesù andò a Betania dalle sorelle di Lazzaro. Durante il convito, Maria entrò nella sala, recando un vaso d'alabastro contenente 327 grammi di nardo autentico di gran valore, valutato più di 320 lire in oro. Giunta al divano di Gesù, spezzò il collo del vaso ed effuse abbondantemente il profumo sul capo e sui piedi del Signore. Questa prodigalità sorprese Giuda, il quale protestò apertamente, affermando : « Perché questo sciupio d'unguento? Lo si poteva vendere per 300 denari, e dare il ricavato ai poveri!» ("). Ma alla protesta di Giuda, san Giovanni scrive: «Disse però questo, non perché gl'importava dei poveri, ma perche era ladro, e avendo egli la cassetta asportava le cose messevi dentro » ( cfr Gv. 12,6).

Dunque Giuda era ladro, e sottraeva il denaro della cassa comune. Ma, oltre che essere ladro, era incancrenito nell'avarizia (uno dei 7 vizi capitali) : « più di 300 denari » era una somma cospicua, quasi un anno intero di salario d'un operaio, e il ladro al vedersi sfumare questa bell'entrata scattò facendosi scudo dei poveri, tanto che Gesù dovette intervenire per frenare quella avidità e quella falsità, e la Sua bontà fece in modo di non umiliare pubblicamente Giuda ma affermando che in quell'ora Santa era giusto spendere per adorare il Corpo del Signore perché "i poveri li avrete sempre fra voi".

 

Vi è da dire che, come leggiamo nei Vangeli, Giuda "si pentì" di quanto aveva fatto.

Qui può scattare in molti il dubbio: ma se si è pentito allora si è salvato?

La Chiesa non ha il compito di condannare o la missione di mandare la gente all'Inferno, tuttavia ammonisce che l'Inferno esiste e ci si va a determinate condizioni.

Qualcuno usa maldestramente anche la Catechesi del Mercoledì  -18.10.2006 -dedicata a Giuda nella quale il Papa Benedetto XVI dice:

 ".. gli evangelisti insistono sulla qualità di apostolo, che a Giuda competeva a tutti gli effetti: egli è ripetutamente detto “uno dei Dodici” (Mt 26,14.47; Mc 14,10.20; Gv 6,71) o “del numero dei Dodici” (Lc 22,3).

Anzi, per due volte Gesù, rivolgendosi agli Apostoli e parlando proprio di lui, lo indica come “uno di voi” (Mt 26,21; Mc 14,18; Gv 6,70; 13,21). E Pietro dirà di Giuda che “era del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero” (At 1,17).

Si tratta dunque di una figura appartenente al gruppo di coloro che Gesù si era scelti come stretti compagni e collaboratori. Ciò suscita due domande nel tentativo di dare una spiegazione ai fatti accaduti.

La prima consiste nel chiederci come mai Gesù abbia scelto quest’uomo e gli abbia dato fiducia. Oltre tutto, infatti, benché Giuda fosse di fatto l’economo del gruppo (cfr Gv 12,6b; 13,29a), in realtà è qualificato anche come “ladro” (Gv 12,6a).

Il mistero della scelta rimane, tanto più che Gesù pronuncia un giudizio molto severo su di lui: “Guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!” (Mt 26,24).

Ancora di più si infittisce il mistero circa la sua sorte eterna, sapendo che Giuda “si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente»” (Mt 27,3-4).

Benché egli si sia poi allontanato per andare a impiccarsi (cfr Mt 27,5), non spetta a noi misurare il suo gesto, sostituendoci a Dio infinitamente misericordioso e giusto.

(..)

 Giovanni dice espressamente che “il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo” (Gv 13,2); analogamente scrive Luca: “Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici” (Lc 22,3).

In questo modo, si va oltre le motivazioni storiche e si spiega la vicenda in base alla responsabilità personale di Giuda, il quale cedette miseramente ad una tentazione del Maligno. Il tradimento di Giuda rimane, in ogni caso, un mistero. Gesù lo ha trattato da amico (cfr Mt 26,50), però, nei suoi inviti a seguirlo sulla via delle beatitudini, non forzava le volontà né le premuniva dalle tentazioni di Satana, rispettando la libertà umana.  

In effetti, le possibilità di perversione del cuore umano sono davvero molte. L'unico modo di ovviare ad esse consiste nel non coltivare una visione delle cose soltanto individualistica, autonoma, ma al contrario nel mettersi sempre di nuovo dalla parte di Gesù, assumendo il suo punto di vista.

Dobbiamo cercare, giorno per giorno, di fare piena comunione con Lui. Ricordiamoci che anche Pietro voleva opporsi a lui e a ciò che lo aspettava a Gerusalemme, ma ne ricevette un rimprovero fortissimo: “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,32-33)! Pietro, dopo la sua caduta, si è pentito ed ha trovato perdono e grazia. Anche Giuda si è pentito, ma il suo pentimento è degenerato in disperazione e così è divenuto autodistruzione..."

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Anche nel 2006 si scrisse che "il Papa aveva assolto Giuda" estrapolando la frase: "Benché egli si sia poi allontanato per andare a impiccarsi (cfr Mt 27,5), non spetta a noi misurare il suo gesto, sostituendoci a Dio infinitamente misericordioso e giusto",

ma è falsa anche questa interpretazione perché è sempre stato vero che non spetta neppure al Papa condannare Giuda "uno dei Dodici", all'Inferno. Il Papa può solo ammonire e ricordare, come è attraverso il Catechismo, che esistono delle gravi condizioni per le quali si va all'Inferno.

I Padri stessi non hanno mai detto che "Giuda è all'Inferno" ma hanno sempre detto che la sua posizione è quella del dannato. Se poi ci sia finito o meno, all'Inferno, questo spetta solo a Dio. La vicenda di Giuda ci insegna molte cose ed è ammonizione per noi per non imitarlo, quindi Giuda non è un santo e non è da imitare.

 

La eventuale condanna di Giuda non sta nel "tradimento" in sé del quale si è pentito, ma risiede in una situazione generale nella quale Giuda convive disperando (=suicidio) proprio di quel perdono perché non vedeva in Gesù il "Verbo-Dio Incarnato" ma il liberatore politico che lo aveva deluso. Giuda non si convertì, per questo si impiccò.

In Giuda vi erano due amori : uno per il danaro, l'altro verso la persona di Cristo stesso, certamente gli era affezionato, aveva assaporato che stare con il Cristo non mancava nulla e si stava bene.

Infatti senza quest'amore verso Gesù non si spiega la fine stessa del traditore.

Se Giuda avesse tradito Cristo unicamente mosso dall'interesse per la Sua divinità salvatrice, non si comprenderebbe perché il traditore « restituì il lucro, rinnegò tutto il suo tradimento, si abbandonò alla disperazione, si suicidò ».

Se Giuda non avesse sentito per Gesù un amore tanto grande quanto quello per il danaro, non avrebbe restituito il denaro né affermato che aveva "tradito un innocente".

Il punto dolente è che l'amore di Giuda per Gesù non era quell'amore generoso di Pietro il quale pur rinnegando Gesù, si pentì davvero e "pianse amaramente".

Pietro non aveva rinnegato il Maestro per scopi venali, o perché lo riteneva il liberatore dal giogo romano, ma perché "ebbe paura".

La situazione è ben diversa. Il cuore di Pietro soffre davvero per l'Uomo-Dio, Pietro è in quel momento confuso. Certo, Gesù lo aveva avvertito che lo avrebbe rinnegato, ma come poteva comprendere Pietro che il tutto sarebbe accaduto in una notte e in un modo così incomprensibile? La paura prese il sopravvento, ma quando incontrò lo sguardo di Cristo, comprese la profezia e "pianse amaramente" scappò ma non era disperato, scappò rinchiudendosi nel Cenacolo per attendere cosa fare, come rimediare. Pietro non aveva perduto la speranza! Si pentì e si convertì.

In Giuda invece non vi era nel suo amore per Gesù alcunché di sacro; un amore che — mentre lo spingeva al tradimento — lo legò ancora talmente a Gesù stesso che Giuda si pentì è vero, ma rimase nella disperazione e si uccise perché non credeva possibile rimediare alla sua posizione.

Ecco perché la peggiore iniquità di Giuda non consistette tanto nel vendere Gesù, quanto nel disperare del suo perdono.

Questo suicidio fu come un rifiuto alla mano tesa dal Cristo.

"Questo disperare del perdono dimostra che Giuda aveva per il Giusto da lui tradito un'altissima stima, la quale gli fece misurare l'abissale nefandezza del delitto commesso ; una stima però incompleta e quindi ingiuriosa, perché Giuda riteneva Gesù incapace di perdonare al traditore. Gesù fu ingiuriato da Giuda dal suo disperare il perdono : qui fu l'oltraggio sommo ricevuto da Gesù e l'iniquità somma commessa da Giuda" ( Ricciotti, o.c, pp. 646-648 ).

Ad essere più pignoli Giuda commise quel peccato contro lo Spirito Santo: disperare nella salvezza, che è imperdonabile non da parte di Dio ma del soggetto che non si perdona dopo il pentimento, dispera della salvezza e chiude la porta a Dio.

Leggiamo ancora cosa dicono i Padri della Chiesa:

- San Giovanni Crisostomo: « Più ingrato, più perfido, più ostinato di tutti fu Giuda. Atterrato con gli altri, rialzato con loro, non si ravvide, non si converte. Anzi, alla durezza d'animo, aggiunse l'empietà, l'ipocrisia, l'insulto! L'avarizia gli fece perdere totalmente la fede! » ( Omelia LXXXII, In Gv. )

- San Bernardo: « Misericordia, pietà, clemenza del mio Dio! Come in questo fatto manifesti la tua tenerezza! Come una madre amorosa, la quale, vedendo vicino a cadere il bambino, corre ad arrestarlo sull'orlo del precipizio, così Gesù, vedendo il suo discepolo sul punto di consumare la sua riprovazione e piombare nell'inferno, adoperò verso di lui, tutti i tratti della sua carità per riconquistarlo alla salute, alla grazia, alla vita! » (Sermone, De Passione.).

- Sant'Agostino: « O Giuda, che infamia è mai la tua! Usare il segno della pace, per rompere il sacramento della pace! Il segno dell'amore, per arrecare la morte! » (Sermone XV, De tempore. ).

- Sant'Ambrogio: « Giuda, come osi appressare le tue immonde labbra a quel volto, cui, con tanta riverenza, osarono appressarsi le labbra purissime di Maria? Come versi il fiele della perfidia su quella bocca divina, da cui discende la grazia e la vita? Come cambi, in segno di tradimento, l'espressione dell'amicizia, il sigillo della fedeltà » (In Salmo, XXXIX ).

- San Bernardo: « 0 Dio d'infinita tenerezza e bontà! Che degnazione la tua di avere, non solo chiamato amico il tuo traditore, ma ancora di avere applicato dolcemente la tua bocca divina — che non conobbe mai inganno — ad una bocca d'inferno, dalla quale non esce che malignità e perfidia!» (Sermone, De Passione).

- San Giovanni Crisostomo: « Gesù, dicendo al traditore : " Giuda, con un bacio tradisci il figlio dell'uomo? ", dimostra al traditore che, lungi dall'essere adirato con lui, lo compassiona, lo compiange, lo vuole salvo; poiché, chiamandolo per nome, dimostra a lui un segno di premura, di affezione, di amore » ( Cateti., In Le ).

- San Bernardo: « Gesù non dimostrò ripugnanza di lasciarsi avvicinare dal traditore; non si scostò da lui; non torse il viso; non allontanò la fronte. Anzi gli andò incontro; si piegò su di lui; lo abbracciò; ricevette il suo bacio » ( Sermone, De pass. Dom).

- San Massimo: « Giuda, non potendo liberarsi dal supplizio dì una vita rea di sì grande delitto, disperando di correggersi, non ebbe più forza di sopportarsi. Da reo, si fece giudice del suo delitto ed esecutore della sua condanna, poiché non poteva perire più degnamente un Giuda che per le mani di Giuda» ( Sermone II, De Passione ).

- San Leone Magno: « Giuda, come peccò nell'interesse della sua avarizia, così non si pentì che nell'interesse del suo orgoglio. Peccatore e penitente, Giuda fu sempre l'idolo di se stesso. La sua penitenza offese Dio più dello stesso suo peccato. Fu essa un peccato novello, ed il maggiore di tutti i peccati. Questa sua penitenza, invece di cancellare la sua colpa, l'aggravò e vi pose il sigillo » ( Sermone V, De Passione ).

 

Dobbiamo chiederci dunque: cosa insegna a noi il caso di Giuda?

A guardarci dall'ingratitudine e dall'avarizia, dal peccato contro lo Spirito Santo.

Le passioni umane conducono alla disperazione. Giuda, possiamo dire, fu il primo a dimostrarci l'autenticità delle parole di San Paolo:

1 Cor 11,27-30 “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.

È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti”.

L’autorevole Bibbia di Gerusalemme commenta quest’ultimo versetto con le seguenti parole: “Paolo interpreta un’epidemia come una punizione divina per la mancanza di carità che ha reso l’Eucaristia impossibile”.

Giuda si pentì, ma non si convertì, egli agì in quel modo perché non si convertì.

Pentirsi e convertirsi sono due atti diversi: ci si può pentire per un gesto compiuto, ma per salvarsi non basta, occorre la riparazione del gesto compiuto.

Pietro quando rinnegò Gesù si pentì e pianse amaramente convertendosi e aspettando cosa potesse fare per porre rimedio a quel gesto ed infatti morì martire in nome di Cristo; anche Saulo dopo il pentimento si convertì diventando un grande apostolo e morendo martire;

Giuda pur pentendosi non attese cosa dovesse fare, non si convertì a Cristo, attese piuttosto dai sacerdoti una parola di pietà dopo il pentimento e la restituzione dei 30 danari. Non ricevendo compassione da loro, corse disperato ad impiccarsi.

 

Così dice Sant'Agostino: "Giuda consegnò Cristo e fu condannato. Giuda consegnò e viene condannato: il Padre consegnò il Figlio e viene glorificato. Giuda, ripeto, consegnò il Maestro e viene condannato: il Figlio stesso si consegnò e viene lodato.  (..) Che fece dunque Giuda? Che fece quindi di buono? Da lui si fece derivare il bene, ma non lo fece da sé. E infatti Giuda non disse: Consegnerò Cristo perché sia salvo il genere umano. In Giuda fu l'avarizia a consegnare, in Dio la misericordia. A Giuda venne corrisposto solo quel che fece, non quello che Dio fece di lui" (Disc. 301).

 

 

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